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Si ripresero mano nella mano e si incamminarono prima in camera loro così che si sarebbero cambiati a richiesta di Norman. All'interno della struttura c'era un ristorante e non voleva fare o far fare brutta figura.

Salirono le scale mentre Norman iniziava a parlare di quel che ha fatto di interessante durante quegli anni non trascorsi insieme. I giri fatti i primi anni a Disneyland, dove andava sempre nel labirinto dello Stregatto o prendeva il gelato del Cappellaio Matto perché a Ray piacevano e Norman voleva sentire una parte di lui con sé.

Ray raccontò dei libri che Norman gli aveva consigliato ma che, purtroppo, non aveva potuto leggere per la scuola e per i viaggi che faceva per tutta la Francia, in Corsica o, spesso, in Belgio. Andava a trovare i parenti o facevano spesso una vacanza in famiglia. Quasi sempre nei posti freddi, ma si stava bene. Norman aveva la pelle delicata per il suo albinismo e si scottava facilmente.

Ray non aveva questo problema ma non gli piaceva tanto esser esposto al sole.

Parlava, poi, di quel che stavano studiando a scuola così che Norman, appena avrebbero reiniziato l'anno scolastico, sarebbe stato al passo. Anche se Norman aveva anticipato gli argomenti mesi prima perché voleva facilitarsi il tutto, anche se lui già sapeva di cosa si trattava. Continuava ad ascoltare, anche se Ray sapeva che Norman già conosceva queste cose, perché era un genio. Il suo genio.

Andarono a prendere Degas e si cambiarono.

Norman mise una camicia azzurra, pantaloni a palazzo bianchi e scarpette vecchio stile tendente al color polvere.

Ray mise una camicia bianca, una giacchetta in pelle smanicata sopra, pantaloni a zampa d'elefante neri e scarpe da ginnastica altrettanto nere.

Sistemò i capelli e guardò Norman.

«Andiamo?»

«Certamente»

Gli rivolse per l'ennesima volta quel sorriso che tanto amava.

Si ripresero le mani, presero le chiavi dell'appartamento e uscirono con le dita incrociate con quelle dell'altro.

Ripercorsero quelle scalinate che, nel giro di un'ora, avevano già fatto almeno due volte.

Di Yuugo e Lucas, non se ne sapeva ancora nulla.

Incontrarono i loro sguardi e sorridettero, andarono a sedersi in quello che era il "ristorante" dell'hotel in cui alloggiavano.

Si guardarono tra di loro e ammiravano la stanza che li circondava: pareti bianche con carta da parati dorata, finestre enormi con vetri dal colore trasparente e con cubetti gialli e ciano. Le tende erano altrettanto bianche, il pavimento a scacchi. Ogni Sala era differente e affascinante. Incuriosiva, ecco.

Andarono al loro tavolo, quello con scritto il numero 81. Ma non c'era solo il numero della loro camerata, anche quella dei fratelli. Così sarebbero stati tutto il tempo insieme.

«Chissà dove sono..»

«Chiamo Yuugo»

«Va bene, Ray.»

Prese il cellulare, lo sbloccò e digitò velocemente il numero del fratello. Lo chiamò e attese una risposta da parte sua.

•~•~•~•~•~•~•~•

Lucas..

Quello era il nome che riempiva la stanza. Quel nome che, senza risposta, diventava poi un suono.

Prese il telefono di fretta e controllò chi fosse.

«Cazzo, Lucas.. Dammi un secondo. Ray mi sta chiamando»

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