Il sangue mi colava dal taglio che avevo sulla testa, losentivo scivolare caldo e appiccicoso sul viso.
L'uomocontinuava a parlarmi e a pretendere delle risposte, mentre io avevo solo voglia di lasciarmi andare al sonno e alladisperazione.
«Come ti chiami? Rispondimi, dannazione!», aveva lavoce roca da grande fumatore.
Farfugliavo, mi sentivo debole e stordita, e tutto quelloche riuscivo a fare era guardare ipnotizzata la luce giallognola dei lampioni che veniva catturata e riflessa dal rubino che si trovava sul suo ciondolo a forma di virgola.
Mifece scivolare fuori dalle lamiere della macchina e mi prese in braccio, senza smettere di parlare.L'odore di erbe amare che gli impregnava i vestiti midava la nausea e il dolore che provavo alla gamba non faceva che aumentare.
L'uomo mi posò sul ciglio della strada e si tolse la cintura; con mani esperte iniziò a strappare i jeans che indossavo nel punto in cui il metallo mi aveva dilaniata. Vidiqualcosa scintillare tra le sue dita sporche di sangue, poi ildolore aumentò talmente tanto da farmi urlare.
Buio.
Al mio risveglio paramedici vestiti di bianco, leluci bianche e rosse dell'ambulanza, l'odore del disinfettante e i sacchi neri.
I sacchi neri.
Mi svegliai con la cicatrice che avevo sul fianco chepulsava fastidiosamente e le zanne che premevano dolorosamente contro le labbra per uscire.
Mi trascinai in bagnoe accesi la luce.
Nello specchio, un paio di occhi alieni, dalle pupilleverticali, mi fissarono di rimando. Sentii che stava arrivando e non riuscii a impedirlo: il primo schiocco fu quellodelle ossa del collo, aprii la bocca per urlare, ma non ciriuscii.
Mutai agonizzando nel suono umido del mio corpo che si disfaceva per ricomporsi. Fu rapido, in meno diun minuto ero sulle mie quattro zampe.L'istinto iniziò a guidare i sensi che mi inondarono dicentinaia di informazioni differenti, e sentii il pensieroche iniziava a soccombere, andando in tilt. Mi imposi diriprendere il controllo, dovevo capire come imparare agestire quel cervello così diverso dal mio che, ormai, volente o nolente mi apparteneva. Alzai la testa e mi guardaiintorno, il mio sguardo cadde nuovamente sullo specchio,mi paralizzai.
L'enorme testa di una tigre dal pelo doratomi osservava crudele e diffidente con occhi giallo-marrone screziati d'oro. Alzai il labbro superiore e scoprii lezanne aguzze e mortali, voltai la testa un paio di volte perpotermi osservare meglio. Mi alzai sulle zampe posteriorie abbassai la testa per non sbatterla contro il soffitto; ilpelo era lucido, folto e morbido.
Sul lato sinistro, se si osservava attentamente, si poteva notare una sottile ragnatela che divideva il pelo in piccole ciocche: le cicatrici chemi rifiutavo di far scomparire.
Sbuffai rivolta allo specchio e con lentezza mi portai una zampa grande come ilpetto di un uomo adulto alla bocca e la leccai, nel classicogesto che avevo visto fare ai gatti per tutta una vita.
Mi venne da ridere, la tigre emise uno strano suono:ecco come ridevano le tigri.
Uscii dal bagno e mi trovai davanti alla porta della camera, che dava sul corridoio. Con una zampa, cercando didosare la forza, riuscii ad aprirla. Ero a metà delle scalequando la sensazione di essere osservata mi fece bloccare,alzai la testa e vidi un'ombra davanti alla porta aperta dell'ingresso.
La bestia si mise in guardia, pronta ad attaccare; la parte umana cercò di placarla e di farla ragionare,solo che era quasi impossibile.
Una tigre non ragiona, una tigre attacca per sopravvivere, mangia per sfamarsi, è cauta perché deve.

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Feline
FantasíaVol I In Germania, nascosta fra le fronde delle foreste più fitte, riparata dai corsi d'acqua più insidiosi, e soprattutto protetta dalla magia, la Tenuta è la comunità segreta che l'anziana Isolde ha costituito anni fa. Qui, organizzati in clan, al...