Capitolo VII

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Mi svegliai con fatica: non avevo dormito
molto bene. Mi stiracchiai portando le braccia indietro e distendendo le gambe contraendone i muscoli. Sbadigliai, mentre mi strofinai gli occhi. Man mano cercai di aprirli, ma venivano accecati dalla luce sempre di più. Era una giornata stupenda, ma la mia voglia di alzarmi per andare a lavoro era bassa. Avrei sicuramente visto Javon.
Aprii gli occhi e mi alzai lentamente. Rimasi seduta sul letto a guardare il vuoto. Sembravo completamente stordita. Mi alzai, poggiando prima un piede con cautela e poi l'altro e cercai di tenere l'equilibro, mentre i miei occhi rimanevano semi aperti. Aprii il mio armadio e presi i primi vestiti che trovai, ma per fortuna non erano niente di così male, forse: indossai un pantaloncino attillato della nike e una maglia lunga e bianca della palm angels. Decisi, poi di darmi una veloce sistemata al viso, facendo un trucco leggero, accompagnandolo dal mio gloss preferito alla fragola che mi risaltava le labbra. Sistemai i capelli, giocandoci e lasciandoli cadere sulle spalle, per poi prendere la mia borsa.
Salutai mamma, lasciandole un bacio sulla fronte. Papà invece non c'era. Afferrai dal mobiletto le chiavi della macchina e mi diressi in auto velocemente. Aprii la portiera e salii mettendo subito la cintura. Rimasi ferma per un po' facendo un grosso sospiro.
"Che dovrei fare appena lo vedo?", la mia testa iniziò a farsi domande, "Se anche lui ora non volesse rivolgermi la parola o tantomeno vedermi?
Porca miseria, gli avevo lasciato il visualizzato. Avevo dimenticato di rispondergli", mi accorsi troppo tardi.
Ritornai alla realtà ed iniziai a guidare. Non ero neanche tanto concentrata nel farlo, ma cercavo di non perderne il controllo. Quello si che sarebbe stato un grosso problema. Sono solita ad ascoltare la musica in macchina, ma quest'oggi non ne ero in vena. Quando mi fermai al semaforo, diedi un'occhiata allo specchietto e mi guardai, per poi posare lo sguardo sulle mie mani poggiate sul volante. Lo strinsi con forza quando ripensai alle parole di Mike. Come poteva davvero voler farmi licenziare?
Sobbalzai quando la macchina dietro suonò il clacson. Guardai il semaforo ed effettivamente era verde, quindi ripartii.
Non appena arrivai, parcheggiai la macchina proprio davanti all'entrata; questa volta avevo avuto fortuna con il parcheggio. Avevo ancora un sonno tremendo. Sbadigliai, portando la mano a coprirmi la bocca. Avevo ancora gli occhi semichiusi, che lacrimavano dal sonno. Decisi di entrare con cautela, facendo attenzione a qualunque tipo di scalino.
"Allison".
Continuai a camminare verso quello che era il mio armadietto. Cercai di aprirlo, ma la serratura sembrava ancora bloccata quando provai ad inserire il mio codice. Guardai il numero inciso su ogni porticina frontale degli armadietti e notai che quello era quello sbagliato: il 49. Mezza addormentata, appoggiai la testa contro quest'ultimo e rimasi con gli occhi chiusi.
"Allison", sentii una mano che si poggiò sulla mia spalla, al che mi girai subito di scatto cercando di guardare chi fosse.
"Mh?", con gli occhi strizzati cercai di capire.
Dopo un po' il tono della sua voce mi ricordò Mike:"Stai bene?".
Mi limitai ad annuire:"Mh mh". Lasciai la borsa a terra davanti al mio armadietto ed andai verso lo studio. Non feci caso a chi era presente: sentivo qualche voce ma il sonno mi prosciugava i pensieri. Mi sedetti subito, sulla prima sedia che trovai ed appoggiai le braccia conserte al tavolo, nascondendo la testa fra esse. Non ce la facevo a stare in piedi; tantomeno riuscivo a stare sveglia.
"Si può sapere che ti prende?", era una voce familiare ed io sapevo a chi apparteneva, ma non riuscivo nemmeno a rispondere.
"È da ieri che non mi parli e stai così. Puoi dirmi qualcosa?", sentivo la sua voce che si avvicinava di più.
Alzai il viso verso di lui con gli occhi assonnati, che erano sull'orlo di far uscire lacrime dalla stanchezza. Guardai il produttore che era seduto di fianco a lui e gli chiesi:"Che cosa c'è bisogno di fare oggi?".
Puntò gli occhi su Javon per poi guardare me:"Stavamo scegliendo il tessuto per la lavorazione del vostro progetto".
Javon continuava a fissarmi intento di capire cosa avessi:"Io ho già scelto qualcosa, ma volevo aspettarti per sapere il tuo parere. Magari a te non piacciono ed io voglio che siano scelti insieme". Si vedeva che stava trattenendo qualcosa. Lui aveva bisogno di parlarmi. Come mai ora si comportava così? Non era lui quello che diceva che la mia presenza qui era inutile? A che cosa serviva il mio parere se quello che avrebbe fatto guadagnare di più era lui? Ho bisogno di capire la sua versione.
Il produttore mi fece vedere un tessuto di pelle di camoscio bianco. Me lo porse ed io allungai una mano per sentirne la qualità:"Mh sì, ci potrebbe stare questo. E l'altro tessuto?"
"Che altro tessuto?", intervenì Javon.
"Le scarpe da boxe di solito sono realizzate con pelle di camoscio e una copertura in rete. Quindi ci manca quella.", mi alzai per andare verso il bancone dei tessuti, "Tipo questa è perfetta", toccai un tessuto in rete bianco.
"E la suola?", chiese Javon al produttore.
"La suola è già stata scelta. Sarà dura, ma flessibile e del blu che è stato richiesto", rispose.
Mi riavvicinai a loro, sedendomi di fronte a loro.
"Abbiamo finito?", Javon guardò il ragazzo impaziente.
"Si, abbiamo finito per oggi"
"Ci può lasciare un attimo soli?", chiese.
Lo guardai e il mio cuore prese a battere fortemente alla sua richiesta, proprio come quella volta in cui lo vedetti seduto su quella panchina davanti alla pizzeria, che mi aspettava, aspettava me. E anche ora aspettava, ma aspettava qualcosa da me. Il mio cuore continuava a battere, lo sentivo in gola, mentre il mio stomaco si stringeva sempre di più. Mentre un brivido mi passò velocemente per tutta la schiena, spostai lo sguardo sulle mie mani, che si cercavano tra loro. Le strinsi insieme e giocai con le dita l'una dell'altra aspettando.
Quando rimanemmo solo io e lui, si avvicinò con la sedia al tavolo e mi guardò; mi guardò come se aspettasse qualcosa da me. Come se io avessi dovuto iniziare a parlare, a dire qualcosa per rompere quel momento di soggezione che si era creato per colpa sua.
"Allora?", non guardavo com'era messo; non guardavo le sue espressioni; non lo guardavo, non guardavo lui.
"Cosa dovrei dirti?", alzai il viso lentamente. Il sonno sembrava essermi passato, perché il mio cuore si era risvegliato.
"Se mi spiegassi che diamine è successo, credi che non potrei aiutarti?".
Quando lo guardai, aveva il viso inclinato di più verso il lato destro e sul suo viso angelico aveva un'espressione stranita ed allo stesso tempo preoccupata; un'espressione che non gli donava. Non sembrava arrabbiato con me.
Scossi la testa e cercai di rimanere il più calma possibile:"Dovrei darti io delle spiegazioni? Dopo che tu hai provato di farmi licenziare? Perché? Perché lo hai fatto? Perché sei andato a dire certe cose?"
Spalancò gli occhi incredulo:"Cosa? Ma di che stai parlando Allison?"
"Adesso fai anche il finto tonto, non è così?".
"Pensi che io ti stia mentendo? Allison, io davvero non so di che diavolo parli. Queste cose te le ha dette Mike, non è vero?", il suo sguardo diventò sempre più attento e concentrato.
"Sì, ma adesso che cosa importa?", incrociai le braccia, mentre giocavo col mio labbro inferiore mordicchiandolo.
"Merda.", si mise le mani tra i capelli e poi sul viso nascondendolo, scuotendo la testa. Dalla sua tasca prese il telefono:"Ho registrato la chiamata". Lo sbloccò ed iniziò a scorrere col dito.
Guardai le sue mani, poi guardai lui:"Di che parli?".
"Ascolta", e a questo punto avviò una registrazione.
Si trattava di una chiamata; una chiamata registrata. Mike e Javon, iniziarono a parlare.
"Ascoltami per una volta per favore. Voglio togliere di mezzo i progetti di Allison. Lei è inutile, tu sei più famoso a livello mondiale e il tuo brand lo comprerebbe chiunque.", era la voce di Mike, "Quindi cerca di far allontanare Allison da quello che fai tu, almeno avrà più valore".
Mi si fece la pelle d'oca ascoltando quelle parole. Era un falso, un uomo schifoso. Poi sentii la voce di Javon intervenire:"No, non farò mai una cosa del genere, te lo puoi anche scordare" e finì lì.
"Sono riuscito a registrare una piccola parte di tutto", mi guardò, mentre sfiorò la mia mano con le sue dita. La allontanò subito, quando sentì di avermi toccato anche solo quel poco.
"Mi dispiace.", mi limitai a dire, "Mi dispiace per tutto".
"Ehi, non è colpa tua", guardò le nostre mani vicine e non esitò più ad avvicinarla per accarezzare la mia.
Guardai la sua mano che mi accarezzava con dolcezza, per poi alzare il viso triste sui suoi occhi:"Mi dispiace anche se la gente pensa quello di noi. Pensavo fossi arrabbiato con me, dopo la cena, per colpa di quello che stanno iniziando a dire in giro sui social".
"Neanche questa è colpa tua.", fece un piccolo sorriso e poi aggiunse:"Ti dà fastidio?", guardò le nostre mani.
Scossi la testa facendo segno di no:"Spero di non aver rovinato nulla", mi sforzai di sorridere anche io.
"Niente", sorrise ancora di più, per poi spostare la mano:"Che dici? Oggi invece ti va di venire a pranzo da me?", si alzò in piedi scherzoso poggiando le mani ai suoi fianchi, mentre gli sfuggì una piccola risata.
Mi alzai in piedi anche io sorridendo e facendo finta di pensarci:"Mmh, no, mamma mi ha preparato il pranzo anche oggi, accipicchia", gli puntai un dito contro ridendo al sentire la sua risata.
Ritornammo a scherzare insieme, ritornammo per un attimo quelli di prima. Risentii la felicità nel sangue.

𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐫𝐨𝐧𝐠 𝐖𝐚𝐲 | Javon WaltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora