Capitolo VI

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Ero con Javon a lavoro stamattina e stavamo controllando se i lavori del nostro progetto fossero già iniziati. Ma quest'oggi si comportava in maniera differente con me, sembrava strano. Era freddo e senza alcuna emozione. Non sembrava felice. Quando lo notai, mi presi il coraggio di chiedergli se fosse tutto ok e lui mi rispose semplicemente di si. Cercava di non far notare il suo umore, ma era più che evidente che sembrava agitato anche nel parlarmi. Avevo paura che le notizie che giravano su di noi lo avevano reso così con me.
"So che probabilmente ti ha dato fastidio che le notizie fra noi girassero.", ammisi, "Mi dispiace".
"No, non ti preoccupare. Non è questo il problema, è tutto ok, davvero", ribatté. E quando cercò di voltare il viso verso di me, guardandomi negli occhi, non ci riuscì per molto, tanto che abbassò lo sguardo e girò nuovamente il viso sulle scarpe.
Lo guardai. Lo guardai senza dire niente, per poi limitarmi a far uscire un "Mh" preoccupato e sospettoso. Perché non riusciva più a guardarmi?
Stavamo guardando le scarpe che avevano già finito di realizzare, quando ad un certo punto sentii la voce di Mike alle mie spalle:"Vieni un attimo con me Allison? Ti devo parlare".
Guardai Javon per un attimo, per poi girarmi verso di lui:"Certo".
Lo seguii fino alla zona degli armadietti e ci fermammo in quel piccolo spazio.
"Ho parlato con Javon a telefono ieri sera. Mi ha detto che non si trova bene con te a lavoro e che è inutile farti rimanere qui se quello che fa incassare di più è lui. Mi ha detto di non dirti queste cose, ma mi sembrava invece più che giusto".
Il mio cuore si fermò per un attimo. Non riuscivo a parlare, tantomeno a descrivere quello che stavo provando. Sembrava come se fossi morta per un attimo. Le mie labbra tremavano e mi venne la pelle d'oca:"Che diamine stai sparando Mike?", la mia voce era spezzata; balbettai appena. Scossi la testa:"Non è vero".
Mike mi guardò e si avvicinò poggiando una mano sulla mia spalla:"Mi dispiace".
Feci una cosa che non mi aspettai mai di fare: lo abbracciai. Abbracciai il mio capo. Lui si limitò ad accarezzarmi la schiena con una mano. Mi staccai subito, pensando che non fosse rispettoso:"Grazie di avermelo detto". Mi fece un piccolo sorriso triste.
Mi voltai e ritornai da Javon. Ero arrabbiata, triste. Si notava. Non gli rivolsi più parola e tantomeno cercavo di guardarlo. Facevo solo il mio lavoro: afferravo le scarpe che scorrevano e man mano le controllavo tutte per vedere se la realizzazione era riuscita con successo o se ci fosse qualcosa che non andava.
Mi guardò:"Alli?", disse.
Sentire il mio nome da lui mi rabbrividì. Non lo guardai, ma mi fermai:"Non ti permettere a rivolgermi parola".
Fece un passo in avanti:"Ma che stai dicendo Allison?".
"Stai lontano, per favore.", lo fermai prima che potesse fare qualche altro passo ed avvicinarsi di più, "Mi ero aperta così tanto con te. Ci trovavamo bene insieme quella sera, lo avevi ammesso anche tu. Sembravi un ragazzo tanto dolce, simpatico e rispettoso. Perché lo hai fatto?", presi il coraggio per girarmi verso di lui.
Mi guardò sbalordito ed incredulo di quello che stessi dicendo:"Fatto cosa Allison?".
"Hai anche il coraggio di ritirare tutto. Di far finta di niente. Sono io quella che non vuole più lavorare con te", il mio tono si marcò di più e diventò sempre più alto. Coloro che sedevano vicino a noi, che ci circondavano, si voltarono. Sentirono alcune parole e rimasero a fissarci.
"Che cavolo ti prende? Se è uno scherzo non è per niente bello", anche lui alzò il tono. Non mi aspettavo che potesse permettersi di alzare il tono con me, soprattutto dopo quello che aveva fatto.
Lo guardai triste, quasi sull'orlo di far uscire qualche lacrima, mentre scuotevo la testa lentamente e la mia espressione sembrava schifata. Sospirai. Guardai in basso verso il nulla. Poi mi girai verso la scarpa che ancora tenevo in mano e la riposai lì, sul rullo trasportatore. Di fretta me ne andai via da lui. Presi le mie cose dall'armadietto. Mi misi la mia borsa a tracolla riposandoci le cose al suo interno, per poi chiuderla. Sbattei appena la porta dell'armadietto ed uscii dalla struttura.

Ero tornata a casa. Quando entrai e sbattei anche la porta di casa con forza, mio padre si spaventò e sobbalzò dal divano leggermente:"Allison?".
Lo ignorai e feci ricadere la mia borsa sul pavimento. Mi avvicinai al tavolo e dal cesto della frutta presi una mela. La morsi con violenza e mi sedetti sul divano affiancando mio padre. Avevo un braccio che mi circondava la vita e lo sguardo fisso in avanti, mentre continuavo a mangiare la mela con aggressività e rabbia.
"Allison, che succede?", mi guardò mio padre preoccupato, mentre si girò verso di me.
Non riuscivo a rispondere; non riuscivo a parlarne:"Nulla papà, nulla", mentii.
Papà capì che doveva lasciarmi stare. Quando sono così rischio di arrabbiarmi con chiunque ho intorno e i miei genitori lo sapevano meglio di chiunque altro.
Stavo buttando il torsolo della mela, quando ad un certo punto sentii il mio telefono vibrare. Mi girai verso il tavolo, dove lo avevo appoggiato e ci andai incontro controllando la notifica. Era Javon:"Perché ti sei comportata così Allison? Non vuoi parlarmene?", mi scrisse.
Ignorai il suo messaggio lasciandogli semplicemente il visualizzato, ma mi riscrisse subito:"Domani sera fatti trovare a casa mia", e mi mandò la via, "alle 19/20, vedi tu".
Mi salì l'ansia a leggere quel messaggio. A casa sua? Mi sarei sentita a disagio. Ci mancava solo questo ora. Poi ricordai: domani avrei avuto anche l'appuntamento con James. Mi sbattei una mano in fronte. Dio, rifiutare il suo invito sarebbe stato da egoista. Non sapevo che fare, tantomeno cosa pensare. Questa giornata non poteva andare peggio di così. Riposai il telefono sulle mie gambe guardandolo e ripensando ai messaggi di Javon. Una parte di me avrebbe voluto vederlo, ma l'altra parte avrebbe voluto eliminarlo dai miei occhi. Voleva farmi licenziare; voleva farmi perdere il lavoro. Ma per fortuna Mike mi conosce, sa quanto sostengo il brand e non potrebbe mai licenziarmi.
"Andrò a cena con James", pensai. Mi scossi dai miei pensieri e posai delicatamente il telefono sul comodino.

𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐫𝐨𝐧𝐠 𝐖𝐚𝐲 | Javon WaltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora