Capitolo X

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Ieri sera, quando tornai a casa, dopo essermi messa qualcosa di comodo, mi sdraiai sul letto. Nel momento in cui presi il telefono in mano, non smise più di vibrare dalle così tante notifiche. Ne cliccai una per sbaglio, mentre cercavo di disattivarle, e mi fece entrare su una foto pubblicata da una mia fanpage. Si trattava di me e James. Come avevano fatto con me e Javon; ancora. Dovevo aspettarmelo, ma non mi era venuto in mente. La foto riprese il momento in cui James provò di baciarmi, ma per fortuna non eravamo ancora del tutto vicini. Dio. I paparazzi mi perseguitano. D'altronde è questo il loro lavoro. E poi pensai:"E se James mi avesse invitato a cena solo perché sapeva sarebbe successo ciò e quindi provando a far pensare a Javon che io sono fidanzata e che appartenevo a lui?". È da ieri che James cerca in tutti i modi di contattarmi: mi scrive su WhatsApp dandomi il buongiorno, la buonanotte, chiedendomi come sto e preoccupandosi per me. Cercherà in tutti i modi di riconquistarmi.

Questa mattina ero a lavoro. Cercavo di ignorare Mike e stavo il più vicino possibile a Javon, tanto per fargli capire che il suo piano non aveva funzionato. Insieme eravamo in piedi davanti alla macchina di produzione a controllare la lavorazione della nostra prima scarpa. Controllavo i tessuti, se erano giusti e ben sovrapposti; le sue cuciture, che dovevano essere ben lineate; la suola, che doveva essere rialzata, dura, ma allo stesso tempo elastica; poi guardai il colore:"Che dici?", gli chiesi.
Lui sorrise e basta. Guardò l'altra scarpa che stringeva tra la mani con occhi che sembravano quasi scoppiare di scintille. Si vedeva lontano un chilometro che per lui quel progetto valeva più di quanto sarebbe stato il suo prezzo finale e il guadagno che avrebbe ricavato. Le sue mani percorrevano lentamente la scarpa accarezzandone i tessuti con attenzione e delicatezza. Ci giocò fra le mani come se fosse un professionista; riusciva a maneggiarle perfettamente.
"Credo che meglio di così non si possa realizzare.", ammise sorridente.
Guardai il suo profilo perfetto. Mi piaceva tantissimo il suo taglio di capelli: la linea che percorreva tutto il lato del taglio era davvero attraente.
"Sai che ieri sera stavo pensando al pranzo?", continuò cambiando argomento.
Alla sua affermazione mi scappò un sorriso:"E perché?". Sapere che lui ripensava ai nostri momenti mi rendeva felice. Felice perché sapevo che lui non mi avrebbe mai odiata, come diceva Mike. Felice perché notavo quanto ci tenesse a me, nonostante tutto.
Riposò la scarpa che teneva fra le mani e girò il viso verso di me:"Perché mi sono ricordato che non ti ho mostrato la mia collezione di scarpe", gli scappò una risata nel mentre che portava la mano fra il suo ciuffo, "Però non è colpa mia, sei tu che te ne sei andata. Cos'avevi di così importante da fare invece che vedere le mie bellissime scarpe?".
Guardai per un attimo i movimenti della sua mano, che sembravano scompigliare i capelli, ma con una mossa alquanto semplice li sistemarono:"Avrei voluto rimanere davvero, ma avevo un'urgenza", gli spiegai seriamente.
Il suo sguardo alla parola "urgenza" si fece più preoccupato: "Di che tipo?", inclinò il viso più verso il lato sinistro, arricciando appena le sopracciglia.
Girai il viso facendomi scappare un sorrisino e spostando lo sguardo verso l'alto:"Un appuntamento". Con la coda dell'occhio riuscii ad avvertire un cambiamento nel suo sguardo: alzò prima le sopracciglia incredulo e poi abbassò lo sguardo verso il pavimento. Quando riposai gli occhi su di lui si stava sistemando l'anello che portava all'anulare. Poi mi guardò:"Ah si?".
"Mh mh", risi, "Ma non era niente di che", aggiunsi.
Rimase anche lui con un piccolo sorriso mentre mi parlava:"Ah no?", incrociò le braccia al petto.
Feci un'espressione stranita e continuai a ridere. Portai una mano sulla sua spalla e lo spintonai appena. Quest'ultima venne spinta indietro, ma lui non si mosse dal suo posto:"Smettila", gli ribattei contro guardando la sua corporatura resistente.
Si guardò la spalla facendosi spuntare un piccolo sorriso laterale. Ad un tratto sentii un suono di un telefono: era il suo, ne vedevo la luce attraverso la tasca dei suoi pantaloni. Glielo indicai e quando lo sentì vibrare lo tirò fuori. Appena lesse chi lo stava chiamando fece una faccia scocciata, roteando addirittura gli occhi al cielo. Rispose davanti a me, iniziando a fare qualche passo:"Mamma", riuscii a sentire. Fece qualche passo indietro voltandosi di spalle, poi rigirò venendo verso di me:"Ma no mamma, oggi ho il match", poggiò una mano sul suo fianco mentre giocava col suo labbro inferiore in attesa di una risposta dalla madre. "Perché?", abbassò poi gli occhi sulle sue scarpe. "Va bene, si. Si ok mamma, glielo posso chiedere" "Ciao, ciao". Quando finì di parlare, chiuse la chiamata ed aprì la fotocamera.
Mi avvicinai appena notando che i passetti che aveva fatto lo avevano portato ad allontanarsi leggermente da me:"La Jessi?", domandai ridendo.
"Sì proprio lei", inquadrò le scarpe con la fotocamera e fece un bello scatto, "A proposito di mia mamma", ripose il telefono in tasca, "Mi ha chiesto se ti andrebbe di venire a vedere il mio incontro".
"Di boxe?", gli domandai anche con serietà, stupida come sono.
"No, di golf", rispose anche lui, sembrando più serio di me.
"Come golf?", mi sorpresi.
Rise alla mia stupidità:"Certo che è di boxe, secondo te?".
Sorrisi portandomi una mano dietro la testa per grattarmi la nuca:"Vabbè e... quando sarà?", gli chiesi dimenticando la mia figuraccia.
"Oggi pomeriggio. Dalle 16 alle 18. Se vuoi dopo pranzo vieni a casa con me, così andiamo direttamente tutti insieme"
Annuii e non appena il suono della campana risuonò in tutta la struttura per l'ora di pranzo, io e Javon varcammo la soglia dell'uscita della stanza di produzione ed arrivammo al corridoio che ci portò davanti ai nostri armadietti. Il mio era il 50esimo, mentre quello di Javon era il 52esimo. Mi avvicinai alla serratura del mio armadietto e socchiusi gli occhi per vedere meglio in modo tale da inserire il mio codice. Javon faceva la stessa cosa più in là da me e notavo che il suo sguardo si spostava verso di me:"Ehi, non sbirciare", gli dissi ironicamente, mentre lo sentii ridere ed aprire il suo armadietto. Aprii finalmente anche il mio e dal suo interno ne trassi la mia borsa termica. Quando lo richiusi e mi riavvicinai a lui, entrambi avevamo una mano occupata per tenere le nostre borse. Ci demmo un'occhiata e poi gli feci cenno di venire con me. Percorremmo di nuovo il corridoio: la prima sala era già piena, così ci spostammo verso la seconda. Mi seguì, rimanendo al mio fianco continuamente. Facemmo un po' di fatica a trovare un tavolo vuoto solo per noi, ma quando ci riuscimmo ci sedemmo finalmente tranquilli, dopo aver cercato di schivare passo per passo tutte le persone che ingombravano la struttura.
Sospirai dalla fatica ed aprii poi la mia borsa.
"Che cos'hai da mangiare?", mi domandò seduto affianco a me.
"Un panino e basta", lo tirai fuori e stessa cosa fece lui col suo pranzo: aveva anche lui un panino, da quello che riuscivo ad intravedere con bresaola ed insalata. Iniziai a gustare il mio panino con tacchino e formaggio, lasciandoci un piccolo morso, e non appena ebbi finito di masticare gli chiesi:"Non sei in ansia per il match?".
Finì di masticare anche lui e rispose:"Un po' d'ansia c'è sempre, ma ormai sono abbastanza abituato a controllarla", si pulì le labbra con un fazzoletto, dando poi un altro morso. Poi riprese:"Te ne intendi di boxe?".
"Un po'", presi un po' di tacchino dal mio panino, "Apri la bocca", risi.
Fece come gli chiesi, poi feci ricadere il pezzo di tacchino all'interno della sua bocca e lo masticò gustandone il sapore.
"Com'è?", gli chiesi prima di lasciare un altro morso al panino. Lui si limitò ad annuire mentre masticava e non appena trovò occasione di parlare disse:"Buono, ma è meglio il mio", se ne vantò scherzosamente.
Feci la paperella con la mano roteando gli occhi al cielo.
"Apri la bocca", rise anche lui, mentre dal suo panino estrasse un pezzo della sua bresaola. Feci come mi venne chiesto e non appena ne sentii il gusto la masticai assaporandola lentamente. Finii di masticarla e guardai Javon con gli occhi spalancati e la bocca semi aperta:"Ma è buonissima". E lui rise ancora di più alla mia espressione.

𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐫𝐨𝐧𝐠 𝐖𝐚𝐲 | Javon WaltonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora