12.

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Simone non parla più con Manuel e Manuel è arrabbiato con tutti per tutto.

Ce l'ha con Alex, per aver lasciato Simone, ce l'ha con Simone, per non parlargli più, ce l'ha con sé stesso, per non capire.

Quella notte fa un sogno strano, sogna la vigilia di Natale.

Lui e Simone sono sdraiati su un prato, e lui lo bacia. Stanno ore a baciarsi ed accarezzarsi, le mani di Manuel dappertutto, la bocca di Simone sul suo collo.

Nessuno si stacca, e nessuno dice ""Dimmi, Manuel, cosa avrei dovuto fare? Dirti di no? Respingerti? Mentre eri messo così?"

Non sa come, ma c'è un salto temporale e all'improvviso sono a casa.

Sono sul letto, Simone è nudo e Manuel lo sta baciando dappertutto. Lo sta accarezzando, lo sta toccando, si sta prendendo cura di lui.

Si sveglia di soprassalto, e quando realizza ciò che ha sognato nasconde la testa sotto al cuscino. Si vergogna di sé stesso.

Si sveglia la mattina dopo, si gira verso il letto di Simone e lui non è più lì. Il sole è già alto, prende il telefono, controlla l'orario e legge 11.26. Ha dormito abbastanza, pensa.

Si alza, scende in salotto e vede che Simone è sul divano e sta leggendo un capitolo del libro di matematica. Va a prendere un pacchetto di biscotti dalla cucina poi ritorna da lui.

"Giorno" gli dice "che fai?" mentre lo guarda ripensa alle sue mani tra i suoi capelli, sui suoi fianchi, sulla sua schiena. Non riesce a scacciare quel senso di vergogna che gli schiaccia il petto. Vorrebbe scomparire.

Lui non si degna nemmeno di guardarlo in faccia. "Matematica." dice.

"Oh, ma 'sta roba è da fa' per le vacanze?"

Lui annuisce.

"Che m'aiuti? Nun ce capisco un cazzo."

Simone si schiaccia controvoglia contro il bordo del divano, facendogli spazio. Inizia a parlare di funzioni, di assi, di seno e coseno.

"Oh, devi annà più piano." lo blocca "so' ripetente, io."

Simone lo guarda e alza gli occhi al cielo. Prende una matita dall'astuccio, e inizia a disegnare circonferenze, angoli e piani. Con calma gli spiega tutto, gli ripete ciò che non capisce, e Manuel cerca di non pensare al fatto che per una volta è felice di riavere il suo Simone, è contento di aver ritrovato il suo migliore amico.

Alla fine, gli chiede di fare da solo, di risolvere un problema da sé.

Capisce quasi tutto, ma a metà sbaglia a disegnare un angolo, e Simone gli prende la mano con la matita e traccia la linea giusta. Manuel alza gli occhi dal foglio e lo guarda. Con suo disappunto, si accorge che lui è molto concentrato sul foglio, invece, e non appena si rende conto del suo sguardo allontana la mano.

Manuel sente un buco al centro del petto.

Nel suo sogno, la mano di Simone era stretta alla sua per tutto il tempo.

"Ho capito!" esulta Manuel quando hanno finito il problema, e lui si mette a ridere "ripetente nel senso che per capire una cosa ti ci vuole una giornata intera, altroché."

Qualcosa scatta nella testa di Manuel, non sa bene cosa, non capisce più niente, ma ad un certo punto, mentre guarda Simone ridere, afferra la sua testa con entrambe le mani e lo bacia.

Simone si stacca immediatamente. "Che cazzo stai facendo?" urla.

Manuel non dice niente. Si rende conto di ciò che ha fatto, della reazione di Simone, e gli viene da vomitare.

"Allora? Che cazzo pensavi di fare?"

Non risponde. Chiude gli occhi, e con suo grande orrore sente gli occhi pizzicargli.

"Nel sogno non finiva così" sussurra, e crede di star impazzendo. Apre gli occhi inumiditi, ed è capace di leggere il disgusto sulla faccia di Simone.

"Cosa stai dicendo?" gli chiede lui. Lo guarda, ed è quasi compassionevole. Non aspetta nemmeno una risposta, forse non gli interessa, si alza e se ne va in giardino.

Manuel va in camera. Si sdraia sul letto e si gira verso la finestra.

Un flash attraversa la sua mente. Simone che lo bacia al museo, la sua reazione schifata e le sue parole piene di cattiveria.

Chissà se lui si è sentito così quel giorno.

Chissà se si è sentito sbagliato, umiliato, pieno di vergogna.

Manuel vorrebbe prendersi a pugni, e pensa di meritarsi almeno un po' quello che sta provando in quel momento.

Mentre sta formulando quel pensiero, la porta della camera si apre. Manuel riconosce i passi, le movenze di Simone.

"Ho capito." gli dice senza girarsi.

"Cosa?" gli chiede. Non ha davvero voglia di starlo a sentire, se ne rende conto dal tono della sua voce.

"Come te sei sentito al museo."

"No che non l'hai capito." gli risponde secco dopo qualche secondo. "Non lo capirai mai."

"Credi che per me sia più facile che per te?" a Manuel quella domanda richiede tanto coraggio, significa ammettere che, in fondo, loro due hanno vissuto le stesse emozioni. Che non sono tanto diversi quanto a Manuel piaceva pensare.

"Certo che lo è."

"Come fai a dirlo?" quella di Manuel è una domanda genuina, senza nessun accenno di polemica o accusa; è quasi più una resa.

"Lo dico perchè non t'ho mai detto davanti a cinquanta persone che per fortuna non sono frocio come te. Lo dico perchè non t'ho mai scopato con cattiveria mentre tu t'aggrappavi a me per poi dirti che a me tu neanche piaci. Lo dico perchè non t'ho mai guardato come se mi facesse schifo il modo in cui tu guardavi me. Tu non hai idea di quello che ho passato io Manuel, mai l'avrai, e questa è una tua grande fortuna. Quindi chiudi quella cazzo di bocca e lasciami in pace."

Manuel si gira e lo guarda negli occhi.

Simone non è scomposto neanche un po', chissà quante volte ha formulato quel pensiero nella sua testa, per dirlo così.

Manuel si mette a sedere sul bordo del letto"su questo c'hai ragione, Simò, ma davvero non capisci quant'è difficile per me ammettere che me piaci? Davvero non te passa neanche un po' per quella capoccia che c'hai che se me so comportato da merda con te è perchè me facevo schifo? Nun ce credo che non lo sai come me so sentito dopo cha m'hai baciato. Io lo so Simò che tu sai cosa vuol dire farsi schifo. Lo so che anche tu te sei fatto schifo. Dobbiamo farci la guerra tra chi s'è fatto più schifo? Non possiamo aiutarci a farci un po meno schifo?"

Manuel vede Simone sussultare, forse non si aspettava niente di tutto quel discorso, nemmeno lui si aspettava di sentire quelle parole uscire dalla sua bocca, ma tant'è.

"Io non mi faccio più schifo, Manuel, e se sto bene non è certo grazie a te. Tu sei stato una di quelli che mi hanno spinto a farmi schifo, e io non posso provare compassione per te adesso, dov'eri tu quando avevo bisogno di qualcuno che mi facesse sentire normale?"

Manuel è rassegnato, sommesso. Viaggia tra il dolore e i sensi di colpa. Eppure vuole far sapere a Simone che non è più così, non è più quella persona lì. "Ma che pensi che non lo so? Pensi che nun me sarei preso a sberle pe come t'ho trattato? Non lo vedi che sto cercando de fatte capì che non so più così merda? Io sto cercando de rimedià ai danni che ho fatto, ma tu me lo devi lascià fare, Simò."

Simone scuote la testa, si avvicina a lui e gli punta un dito sul petto. Manuel ha paura.

"Ma che davero m'hai appena detto che te piaccio?"

In virtù della legge moraleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora