🍂Capitolo 5🍁

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CAN

Ho trascorso l’intera mattinata alla scrivania di mio padre con lo sguardo rivolto alla sala antistante. Seguivo ogni movimento di Sanem, dalla postazione di Ayhan a quella di Emre, a seconda di chi dei due si occupava dei clienti. Notavo come, di tanto in tanto, anche il suo sguardo fuggiva dallo schermo del pc per voltarsi fintamente alla ricerca di qualcosa, per poi sollevarlo e oltrepassare la porta a vetri che ci separava. Solo un paio di volte ho tenuto fissi i miei occhi nei suoi, che dopo pochissimi istanti distoglieva come fosse stata turbata, ma in più di un’occasione ho catturato il momento in cui non riusciva a fare a meno di voltarsi mentre io fingevo di non accorgermene lasciandole l’occasione per guardare.

Mi chiedo se dentro di lei provi almeno la sensazione di avermi già conosciuto, nonostante le parole di Leyla mi preoccupino: se davvero Sanem crede che io c'entri qualcosa con il suo incidente sarà difficile avvicinarmi senza che lei non dubiti di me. Non le ho neanche ricordato di quando al suo risveglio mi presentai anch’io in ospedale e lei non mi riconobbe. Nonna Huma mi presentò ai suoi genitori come uno dei suoi vicini di casa accorso in aiuto, per non alimentare altra preoccupazione in loro. Fanno parte di quella generazione ancorata alle vecchie tradizioni e dire loro, così su due piedi, che la loro figlia aveva conosciuto qualcuno li avrebbe scossi ancora di più. Sanem mi aveva parlato di loro, spiegandomi che avrebbe loro detto di me solo quando saremmo tornati nella nostra Istanbul. Non avevo avuto nulla da obiettare, avrei rispettato tutti i suoi tempi, perché con lei mi sono reso conto, per la prima volta, che vale la pena aspettare ogni cosa.
Ecco, potrei dirle che ci siamo già visti all’ospedale di Tenerife, ma le creerei solamente altre incertezze. Per cui, se non ricorda nemmeno di quei pochi attimi in quella stanza d’ospedale, non le confonderò i pensieri.

«Can!» mi richiama mio padre entrando nell’ufficio. «Ho parlato con quel mio amico. Ti aspetta oggi nel pomeriggio. Potrai incontrare già il suo collega.»

«Dici sul serio?» gli chiedo sorpreso ma sorridendo grato.

«Se vuoi ti accompagno, approfitto per salutarlo. Ora cosa ne dici di andare a pranzo?»

D’istinto riporto lo sguardo oltre la porta.

«Potremmo andare tutti insieme» propone mio padre, ammiccando.

«Credo sia un’ottima idea» confermo, alzandomi e avviandomi. «A proposito… grazie, papà!»

«Spero che tu possa ritrovare presto la felicità.»

«Pensare che ce l’ho a pochi passi da me… anche se al momento è irraggiungibile!» sospiro.

«Forza, andiamo!» dice, dandomi una confortevole pacca sulla spalla.

Raggiungiamo gli altri e mio padre quasi li obbliga a spegnere i computer per andare tutti a pranzo insieme. Noto l’imbarazzo di Sanem. Mi avvicino con calma.

«Sei invitata anche tu» le sorrido.

«Non voglio approfittare» esclama timidamente.

«È un piacere averti con noi, ora fai parte dello staff. E poi… non vorrai mica rimanere da sola?»

«Non è un problema per me. Posso arrangiarmi.»

«Non ti trovi bene?» le chiedo preoccupato.

«No, non è per questo. Al contrario, siete tutti così gentili e disponibili. Ma, appunto, non voglio approfittarne.»

«Beh, vorrà dire che se non accetti l’invito sarò costretto a rimanere con te» le dico seriamente.

«Ma no, non devi!» esclama subito, quasi come a voler mettere un freno alla mia controproposta.

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