🍂Capitolo 10🍁

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CAN

Sento bussare alla porta. Deve essere Emre che poco fa mi ha mandato un messaggio per avvisarmi che stava venendo da me. Ha qualcosa di importante da dirmi e sicuramente riguarda l’agenzia e il nuovo ruolo che nostro padre ha deciso di affibbiargli. Non riesco a capire come mai non ne sia contento. Ho sempre pensato che un domani sarebbe stato lui ad avere la direzione della Harika Geziler, mentre io avrei continuato solamente a garantire le nuove strutture alberghiere in seguito ai miei sopralluoghi, facendo l’utile e il dilettevole, concedendomi, in contemporanea all’impegno lavorativo, il piacere di un viaggio. Ritrovarmi, invece, a dirigere l’agenzia… questo non lo avrei mai immaginato, né preso in considerazione. Sono sempre stato uno spirito libero e sentirmi recluso in un ufficio mi ha sempre fatto venire un senso di oppressione. La mia vita era in giro per il mondo, a bordo della mia barca a vela o comunque libero di poter andare ovunque ogni volta che ne avessi voglia. Da tre mesi, però, la mia vita è completamente cambiata e pensare di continuare ad essere un viaggiatore giramondo ma senza avere al mio fianco l’unica ragione che dà un senso alla mia esistenza mi inchioda inesorabilmente al suolo della mia città natale. Per quanto il mare mi manchi, non mi manca quanto un abbraccio di Sanem… Mi manca sentire la brezza del vento tra i capelli e sulla pelle mentre la mia barca naviga in acque lontane, ma non mi manca quanto infilare le mie mani nei suoi capelli e accarezzarle le guance arrossate dopo aver fatto l’amore… Mi manca sentire quell’odore salmastro che m’invade le narici dall’alba al tramonto e per tutta la notte, ma non mi manca quanto affondare il naso nel collo di Sanem e respirare l’odore della sua pelle mentre il mio cuore batte impazzito… Mi manca solcare le onde del mare con la mia amata “Albatros”, ma non mi manca quanto solcare ogni piega del corpo di Sanem che vibra per le mie carezze e i miei baci audaci… E mi mancano la sua loquacità, il suo sorriso spensierato, ogni suo gesto involontario o imbarazzo che sia.
Per quanto il mare mi manchi, non mi manca più dello sguardo innamorato, ma perduto, della mia Sanem.

Mi precipito ad aprire la porta per accogliere mio fratello ma la persona che mi trovo davanti è del tutto inaspettata. Resto sbigottito e senza parole.

«Ciao Can!»

«Aicha?»

«In persona.»

«Cosa ci fai qui?» le chiedo allibito.

«Volevo accertarmi che davvero fossi tu.»

«Non capisco» dico, scuotendo la testa.

«Sono giorni che ti vedo al molo. Ho pensato fossi tornato per qualche tempo, per la tua famiglia… ma a quanto pare ti sei stabilito qui» dice con un sorriso sbieco.

«Infatti, sono qui per la mia famiglia» mento per non darle ulteriori spiegazioni. Sarebbe lungo e complicato da spiegare.

«Davvero?» mi chiede in tono sarcastico.

«Hai bisogno di qualcosa?» le domando, cercando di essere cortese.

«Non mi fai nemmeno entrare? Comunque, no, non ho bisogno di nulla. Te l’ho detto, volevo solo capire se davvero fossi tu l’uomo che vedo quasi ogni mattina. Sono… stupita, ecco tutto» risponde, calando il viso, quasi sentendosi in imbarazzo.

Apro un po’ di più la porta per lasciarla entrare. Mi sembra davvero scortese parlare sulla soglia.

«Tra poco arriverà mio fratello. Posso offrirti un bicchier d’acqua?»

«No, ti ringrazio, Can, andrò immediatamente via, non volevo disturbarti» risponde costernata.

«Aicha, io… mi dispiace per come sia andata tra di noi.»

«È acqua passata, Can. Non nego di pensare ancora a te, qualche volta, ma non si può amare a senso unico. Me ne sono fatta una ragione, ormai.»

Annuisco.

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