🍂Capitolo 12🍁

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SANEM

«Buongiorno e benvenuti a bordo! Si pregano tutti i passeggeri di allacciare le cinture. Stiamo per decollare. Il volo Istanbul – Kayseri avrà una durata di circa un’ora e quindici minuti. Vi auguriamo buon viaggio!»

Prendo le cinghie ai lati del mio sedile per congiungerle. Non so perché le mie mani tremano. È da stamattina che l’ansia mi pervade, sento come se venissi risucchiata da vuoti d’aria.

“Forse ti sei immedesimata troppo per questo volo.”

«Accidenti, solo tu ci mancavi!» sbotto, mentre l’allaccio della cintura mi risulta più difficile di quanto sia stato complicato chiudere il trolley.

“Certo, ti sei portata mezzo mondo!”

Le vorrei rispondere per renderla consapevole che non stiamo andando in un luogo di mare dove basterebbe portarsi qualche costume e qualche abito leggero. In Cappadocia non sai mai il tempo che fa, anzi in questo periodo le temperature oscillano tra i 10 e i 26 gradi, per cui c’è bisogno di un po’ di tutto per potersi vestire come una cipolla, a strati. Anche se rimarremo lì un paio di giorni non ho, quindi, potuto evitare di mettere in valigia sia qualche capo leggero che qualcosa di più pesante.

“E il costume a cosa ti serve?”

Vorrei sempre dire alla mia inseparabile compagna di testa che l’hotel in cui andiamo ha una piscina termale e non si sa mai.

“Il cappello di lana, però, mi sembra esagerato.”

Non si sa mai!

“Le scarpe col tacco? Camminerete tanto, non devi mica andare ad una cena galante?”

Non si sa mai!

“E tutte quelle mutande?”

Non si sa mai!

“Quelle di pizzo nere per chi devi metterle?”

Non si sa… – mi innervosisco quando capisco la sua allusione – «MAI!» scoppio, buttando per aria le due cinghie che ancora non sono riuscita ad agganciare.

«Faccio io!» Can si sporge verso di me con tutta calma e in un attimo la cintura di sicurezza mi tiene frenata al sedile. Come ha fatto?!

Il suo viso è a pochi centimetri dal mio e il suo odore mi fa praticamente girare la testa. Questa vicinanza dura pochi istanti perché l’aereo inizia la sua marcia. Dal piccolo oblò noto che va a ritroso per poi fermarsi. Il mio cuore prende ad accelerare quando scivola pian piano in avanti sulla pista, per poi prendere la rincorsa ed improvvisamente sollevarsi in volo creando in me un vuoto d’aria che, inconsapevolmente, mi ha portata a stringere le palpebre. Non ricordavo che il decollo mi paralizzasse quasi; non è paura quella che provo ma una sensazione di totale svuotamento. Mi è sempre piaciuto osservare dal finestrino come tutto rimanesse giù, come le abitazioni divenissero piccole piccole, le strade come una grande pista micro-machines e il mare un’immensa e curva distesa blu ancorata alla Terra.
Riapro gli occhi lentamente sentendo la pressione dell’alta quota svanire poco alla volta. Inconsapevolmente, la mia testa è sprofondata nella parte superiore del sedile, mentre le dita delle mie mani stanno praticamente incidendo la pelle dei braccioli creando dei piccoli solchi con le unghie. Avverto una leggera pressione sulla mano destra, qualcosa di caldo che mi dà conforto. Di sottecchi noto la mano di Can sul dorso della mia. Mi giro verso di lui e, come un richiamo, in un attimo i nostri occhi s’incrociano.

“Stupida, stava guardando fuori dal finestrino! Logico che ha notato il tuo movimento.”

«Stai bene?» mi sorride.

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