il sapore del rimorso

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La mattina seguente i due si svegliarono accompagnati dal dolce cinguettio degli uccelli assieme al sole che trapelava dalle tende della finestra, il quale emanava un tepore così familiare e accogliente. Era tutto perfetto come la nottata di passione che avevano passato insieme.

Si diedero il buongiorno a vicenda, prima di darsi una rinfrescata e vestirsi. Non sapevano cosa avrebbero fatto di preciso quel giorno, tuttavia Arthur avrebbe voluto passare dall'accampamento per salutare gli atri membri della banda.

Cavalcarono ancora e ancora per le verdi e rigogliose distese del New Hanover fino ad approdare alla loro meta. Li accolse Dutch con un'espressione corrucciata sul volto che lasciava trasparire tutta la rabbia e delusione che stava provando nei confronti di Arthur.

"fate pure i vostri comodi, mi raccomando" esordì acido come un limone.

"Dutch, te l'ho detto, non vengo più con voi, è finita. Basta Colm, basta vendetta"

"e sentiamo, adesso hai deciso di diventare una persona giusta? Per cosa poi...per te stesso, per Mary-Beth?"

"si, per entrambe le cose... voglio lasciarmi questa vita da criminale alle spalle. Non dormo la notte per tutto quello che ho commesso, Dutch..."

" basta con queste stronzate, sei un criminale, Arthur e lo sarai per tutta la vita. Abbiamo tutti un peso sulla coscienza.Ti devo ricordare che sei stato tu a partecipare al piano di assaltare il treno in cui Colm era salito?"

lo aveva colpito dritto al cuore con quelle parole. Colpito e affondato. Arthur rimase a bocca asciutta, gli aveva tolto completamente le parole di bocca. Il piano di assaltare il treno era il suo rimorso più grande, la ragione pr cui non dormiva la notte. Ed ecco, ora era stato esposto tutto, davanti alla persona che più amava il mondo, la sua Mary-Beth.

"sta dicendo la verita?" chiese in preda al panico la giovane donna.

"io non-io...io-" faticò a tirare fuori le parole di bocca quanto era lo shock ed il rimorso che lo stava mangiando dentro.

"guardami, Arthur!" gli urlò mentre lacrime salate le solcavano il volto, coperto dalle lentiggini.

"Mary-Beth...io...mi dispiace" fu tutto quello che riuscì a dire. Parole inutili che non avrebbero mai colmato il vuoto che Mary-Beth si portava dietro da i suoi genitori. Arthur era per lei croce e delizia, la persona che aveva colmato e al contempo causato il suo incubo più grande. Non ci poteva credere. Era rimasta attonita, le era appena crollato il suo piccolo mondo di certezze che stava cercando di ricostruire pezzo per pezzo.

"non me ne faccio nulla delle tue stupide parole! Non ti voglio più vedere, cazzo!" urlò Mary-Beth, piangente come un cielo grigio, prima di montare sul suo cavallo Atlantis. Doveva andarsene, prendere tutto e andare via da quel posto infausto. Si sentiva marcire, si sentiva morire. La persona che più amava a mondo era stata la causa della sua distruzione, della pena che ancora non aveva finito di scontare.

Mary-Beth ebbe cura di fermarsi all'hotel di Valentine per farsi un bagno caldo rigenerante. Dopo aver pagato, si diresse nella stanza da bagno, dopo di che si immerse nella vasca da bagno piena di acqua calda e un sapone che sembrava essere lavanda. Distese i muscoli e si rilassò, o, almeno, ci provò anche se invano. Dopo poco tempo iniziò a piangere a dirotto e le venne in mente l'idea più folle che le fosse mai passata per la testa.

Forse è meglio se la faccio finita, ho perso tutto ormai.

Si immerse nella vasca fino a non essere più in contatto con l'ossigeno. Pensò a quanto la vita umana fosse fragile seppur così banale e semplicistica: basta togliere l'ossigeno e si cessa di vivere. Ma ormai, che importanza aveva l'ossigeno se aveva perso la sua unica ragione di vita?

Pensò. Ancora e ancora. Ormai non aveva più nessuno, era rimasta sola, completamente sola. La sua più grande paura si era avverata nel modo più imprevedibile.

Non aveva più niente da perdere. L'unica barriera che la separava dalla pace eterna era uno stupido e inutile corpo che ormai non aveva più ragione di tenerla in vita.

Stava per perdere i sensi quando una mano le afferrò i ricci vermigli.

"signorina, che sta facendo? È impazzita?" le disse la cameriera che era entrata per portarle degli asciugamani. Un gesto all'apparenza così futile e superfluo ma che al contempo la aveva salvata dalla barriera tra la sottile barriera che separava la vita dalla morte.

Mary-Beth tossì ripetutamente, dopo di che respirò con affanno.

"come si permette! Ha violato la mia privacy!"

"non è violazione di privacy se la salvo da morte certa"ribadì "si asciughi, adesso"

la ragazza annuì prima di uscire dalla vasca da bagno. I lunghi capelli grondavano.

Si vestì in maniera semplice, senza troppi fronzoli: una camicia e dei pantaloni sarebbero andati più che bene, in fondo, non doveva fare nulla di speciale.

Salutò il proprietario dell'albergo e montò a cavallo prima di vagare, ancora una volta per quelle verdi praterie, intrise di ricordi, belli seppur tremendamente dolorosi.

Pensò a dove sarebbe potuta andare e subito le venne in mente di poter alloggiare dalla sua cara nonna Josephine, d'altronde era da troppo tempo che non la vedeva, erano passati mesi. Si rimproverò per non essere andata a trovarla ma gli ultimi mesi erano stati così dolcemente e dannatamente intensi che non riusciva a pensare più a niente.

Bussò alla porta e le si presentò davanti l'anziana signora dai capelli bianchissimi come la neve.

"mia cara Mary-Beth...mi sei mancata" la abbracciò con quelle esili mani rugose, desiderose di dimostrare alla ragazza tutto il suo affetto.

"nonna, anche tu" ricambiò l'abbraccio con un sorriso forzato sulle labbra, come se non avesse provato a togliersi la vita pochi istanti prima.

"vieni dentro, ho appena preparato dei biscotti" la invitò ad entrare in casa. Era una piccola baita accogliente tra le montagne.

Mary-Beth cercò di essere il più vaga possibile nel raccontare la sua vita. Non voleva scendere nei dettagli, specie in quel momento così critico in cui le era caduto il mondo addosso, insieme alle sue poche certezze.

Era calata la luce del giorno e la luna regnava sovrana nel cielo accompagnata da una corona di stelle. Mary-Beth sbadigliò, al che si fece accompagnare nella stanza degli ospiti ove vi era un piccolo letto singolo. Pensò che le sarebbe andato più che bene.

Non passò molto tempo prima che la ragazza cadesse nelle braccia di Morfeo. Non pensò più a niente, non sentiva più niente. Solo un vuoto dolorosissimo e incolmabile.

WICKED GAME - arthur morganDove le storie prendono vita. Scoprilo ora