I - Un troppo solare figlio di Apollo

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Dopo la guerra contro Gea, lo scontro al Campo Mezzosangue e via discorrendo, avevo sperato che ci sarebbe stata una po' di pace. Ma ovviamente siamo semidei, no? Non può esserci un momento di tregua. L'Oracolo, infatti, aveva smesso di declamare profezie e a quanto pareva c'era stata un'accesa discussione sull'Olimpo. Non sapevamo ancora che, entro pochi giorni, Apollo sarebbe letteralmente caduto dal cielo, dritto in un cassonetto dell'immondizia, per capitarci fra capo e collo.
I miei guai personali, però, iniziarono in uno dei giorni peggiori dell'anno, poco prima che l'Oracolo decidesse di prendersi un periodo di aspettativa.
- Fairy- l'urlo del campista mi distolse dai miei pensieri. Avrei tanto voluto poter sprofondare nella sabbia e scomparire, ma ovviamente non mi fu possibile e rimasi immobile sulla spiaggia ad aspettare la mia fine.
Era impossibile non riconoscere quella voce allegra, che apparteneva alla persona più - fastidiosamente e insopportabilmente - ottimista di questo mondo. In poche parole, quella voce apparteneva al mio solarissimo migliore amico, l'esatta incarnazione degli stereotipi sui figli di Apollo: chioma biondo oro, occhi blu vivace e quel sorriso smagliante sempre stampato in faccia.
- Gyls - ricambiai senza lo stesso trasporto, ignorando quello sciocco nomignolo, dovuto interamente a "fair" (giusto) e a mia madre, considerata anche la dea della giustizia.
- Quanta vitalità- scherzò, ma dovetti averlo guardato davvero male, perché si fece serio abbastanza velocemente e si sedette accanto a me con la maggior discrezione possibile - È un giorno no?- domandò quindi, sbriciandomi di sottecchi ed io annuii soltanto. Non avevo la minima voglia di parlare, non quel giorno, non il giorno del compleanno di mio fratello. In tutta onestà, avrei preferito restare da sola e scomparire dalla faccia della terra.
Gyles dovette collegare i giorni del calendario con il cervello, perché comprese e frenò definitivamente la sua irruenta vitalità.
- Okay- si limitò a dire.
Non saprei dire per quanto rimase seduto affianco a me, senza dire una parola e senza nemmeno dare cenni di vita per ricordarmi della sua presenza, coricato sulla sabbia con le mani dietro la testa, intento a fissare il cielo senza preoccuparsi di scottarsi gli occhi per la troppa luce.
Per l'iperatività del figlio di Apollo, però, quell'attesa era assolutamente inutile e dopo poco iniziò a dare cenni di nervosismo. Prima incominciò a picchiettare silenziosamente le dita su una gamba, poi a giocherellare con la sabbia; ad un tratto si tirò di nuovo seduto, a gambe incrociate, e cominciò a canticchiare sottovoce un motivetto.
Cercai di ignorarlo il più possibile e, devo ammettere, ci stavo anche riuscendo; almeno fino a quando Gyls non saltò in piedi e si piantò a braccia incrociate di fronte a me, con quel sorriso radioso dipinto in volto. Quanto avrei voluto potergli tirare un pugno, in quel momento: cos'aveva da essere sempre tanto allegro, lui?
-Hai rimuginato abbastanza, smettila di fare il muso lungo. A nessuno di loro farebbe piacere sapere che non viviamo, finché possiamo- loro. Quel loro sempre sottinteso. I compagni e fratelli caduti durante le scorse battaglie. Erano in pochi quelli al Campo che potevano dire di aver superato quel periodo e di solito si trattava dei nuovi arrivati, di quelli che avevano visto soltanto lo scontro contro Gea.
-Come prego?
- Devi darti una mossa.
- No.
- Andiamo- ululò, iniziando a battere un piede in terra per l'impazienza.
- No.
- E dai. Vieni all'arena, ci alleniamo un po' con la spada...
-...sei un disastro, non ho intenzione di assistere alla tua umiliazione.
-...rimettiamo in moto quei meccanismi vitali che oggi hai lasciato in cabina...
- È domenica. Taci.
- ...eviti di essere battuta in duello da Damien, quando torna- innarcai un sopracciglio, ma non replicai. Mio fratello non era proprio questo esperto spadaccino, ma era meglio soprassedere.
Andò avanti a parlare e blaterare ancora per un minuto buono, cercando qualcosa, qualsiasi cosa, per allomtanarmi dalla spiaggia e dalla mia beata pace terribilmente simile a quelle delle anime nel Campo degli Asfoldeli.
Vorrei tanto poter dire che il suo tentavo non funzionò, ma mentirei.
-...tuo fratello non vorrebbe che ti lasciassi andare così, anche se per un giorno solo- sparò nel mucchio, ma centrò il bersaglio. E in pieno. Probabilmente si stava riferendo a Damien, non lo so di preciso, ma non potei che pensare che, nel mio stare immobile a rimuginare nel mio brodo, stavo gettando al vento una giornata importante, che Ethan non avrebbe più potuto vivere. Era il suo compleanno, sì, ma che regalo meschino sarebbe stato trascorrere quel giorno a tacere e rammollirmi?
Così, seppur controvoglia e con la vitalità di un morto, lo bloccai prima che potesse dire altro e mi sollevai lentamente in piedi, scrollandomi di dosso la sabbia, che sembrava essersi infilata persino nelle tasche dei pantaloni.
-Vedi che avevo ragione?- gioì Gyles, afferrandomi tutto trionfante per un braccio e trascinandomi il più in fretta possibile lontana dalla spiaggia.
- No, ma prendi per esasperazione- ribattei, ma senza riuscire a trattenere un minuscolo sorriso. Non so che avrei fatto senza quell'eccessivamente vitale figlio di Apollo.

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