XVIII - Qualcuno dovrebbe imparare a parlare di meno

16 2 81
                                    

Il bar era pieno. Letteralmente.
Sembrava che tutti si fossero ammassati lì dentro. Alcun avevano facce lunghe, facce scure, altri ridevano e scherzavano come se niente fosse, rallegrati dall'alcol e dagli zuccheri.
Il barista aveva un'espressione dura in volto, un cipiglio sfrontato, quasi annoiato. Ma, in fondo agli occhi scuri, c'era paura. Come in molti altri suoi compaesani.
Ad un tratto gli tremarono le mani, mentre vuotava da bere in un bicchiere per l'ennesima volta.
La musica era a palla, quasi i clienti preferissero non sentirsi fra di loro, e mandava una canzone pop. Credo si chiamasse "L'isola che non c'è", aveva qualcosa a che fare con Peter Pan, credo. Chiara era in fissa, ce l'aveva fatta ascoltare in loop per quasi una settimana, quando salivamo in macchina, ed Olly sembrava saperla tutta a memoria. Ormai iniziavano a canticchiare qualche parola del ritornello anche noi, fra il disperato e l'orgoglioso.
-Largo- esclamò un cameriere, facendosi spazio fra la clientela ammassata davanti al bancone, in quelo spazio stretto stretto fra gli sgabelli e il muro. Perché avessero girato il locale in quel modo, con i tavoli ampi in fondo alla sala, oltre il bancone, vicino alla grande vetrata, lasciando poco spazio per passare, era un bel mistero. E quasi sicuramente contro ogni norma di sicurezza. In caso di incedi (o di altri incidenti mascherati dalla Foschia) come avrebbero fatto ad uscire tutti alla svelta? Meglio non chiederselo.
Non ci considerò molto nessuno, oltrepassammo il bancone e ci appropriammo dell'ultimo tavolino libero. L'idea era di cercare di capire cosa fosse successo grazie agli avventori locali, ma solo in quel momento capimmo che l'idea non era stata delle migliori: non capivamo una parola di italiano. Men che meno di quel dialetto stretto che parlavano lì.
Il cameriere di poco prima si avvicinò, libretto alla mano ed espressione svogliata, e borbottò qualcosa che non capimmo, facendo scattare il tappo a molla della penna.
Ci squadrò un attimo con impazienza, quasi a dirci di spicciarci, come se fossimo stolti. Poi parve comprendere che non avevamo capito un emerito nulla di quello che aveva detto, perché si scusò e si mise a parlare una lingua comprensibile all'uomo.
- Cosa vi porto?
- Tre caffè- poi, vista l'espressione già sufficientemente assassina di Brenda, mi corressi - Faccia soltanto due. E un succo di frutta.
- Come lo vuole? Abbiamo mirtillo, pera, mela, pesca e ace.
- Mirtillo- intervenne Brandy, che aveva inteso per chi fosse l'ordinazione.
- Perfetto. Arrivano subito- e si può dire che fu di parola. Tempo di aspettare che il caffè fosse pronto ed era già di ritorno. Non riuscimmo nemmeno a scambiarci le rispettive opinioni su tutta quella faccenda.
- Scusi- lo richiamai e, lo notammo tutti e tre, trattenne a stento un'espressione snervata. Credo non sopportasse più la clientela, quel giorno.
- Sì?
- Cos'è successo qui?
- Qui? C'è gente, ecco che succede. Buona colazione- rispose, roteando gli occhi al cielo in stile "Perché tutti a me gli idioti?".
- Ei, razza di smidollato- lo richiamò Brenda. Perfetto. Approccio assolutamente perfetto.
- Torna qui- aggiunse, battendo un pugno sul tavolo che ebbe la straordinaria capacità di mettere a tacere buona parte del locale, persino qualche ubriacone. E quello sguardo assetato di sangue che aveva indosso non doveva essere particolarmente amichevole, per qualcuno non avvezzo ai suoi umori. Difatti, il signorino damerino tornò con la velocità di una lepre e lo sguardo truce, ma attento. Ora, forse, avrebbe parlato.
- Sì?
- Allora? Cos'è successo là fuori?
Il giovane sbuffò, poi si guardò un attimo intorno e urlò qualcosa al barista, che annuì. Poi si levò il grembiule e si sedette al nostro tavolo.
-D'accordo, ma è stato molto strano. Un gruppo di ragazzini ha iniziato a fare casino per le strade, la scorsa notte. Tiravano mortaretti, urlavano e spaccavano bottiglie di vetro a terra. Hanno smesso intorno all'alba. Poi hanno ricominciato poco dopo colazione. Erano in molti di più e portavano una bandiera. Avevano addosso delle tutone da scherma... l'avevo detto che è strano- tute da scherma... certo. Chissà perché avevamo tutti l'impressione che ci fosse la Foschia di mezzo - Portavano una bandiera, con un serpente credo, e urlavano frasi sconnesse in una strana lingua. Poi è arrivato un altro gruppo di ragazzi e hanno iniziato a pestarsi. C'è stata gente che ha provato a dividerli, ma niente d fare. Hanno continuato a darsele di santa ragione, finché non hanno spezzato la bandiera. Usavano dei bastoni, credo. Poi è intervenuta la polizia e se la sono battuta a gambe. Non ne hanno preso neanche uno.
D'accordo, forse la testimonianza di un mortale poteva essere di poco aiuto, però era già qualcosa. Almeno sapevamo circa gli orari, sapevamo che di mezzo c'era la Foschia e sapevamo anche che forse, forse, c'era qualcuno disposto a battersi per fermare quella pazzia.

Occhio per Occhio - La legge fondamentaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora