IV - Il favore di Di Angelo

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Quella sera, dopo la cena e la solita fila per sacrificare parte del pranzo ai nostri genitori, ci riunimmo attorno al falò, dove i figli di Apollo diedero il via ai cori, anche se alla fine parteciparono solo loro e alcuni, rari, coraggiosi dalla bella voce. Una figlia di Demetra, un figlio di Ermes e la figlia di Nike.
Ecco, quando quel pomeriggio Gyles mi aveva promesso che avrebbe fatto in modo di non farmi pesare quella giornata, non mi sarei di certo aspettata quel che fece in seguito.
Eravamo seduti vicini, come al solito, e cantava insieme ai suoi fratelli, ma, alla fine della canzone, mi spintonò e mi esortò non troppo sottovoce a scegliere la prossima.
Dovetti pensare velocemente e il titolo scappò dalle mie labbra prima ancora che potessi ragionarci davvero.
- Boulevard of Broken Dreams- era stata la preferita di Ethan, quale modo migliore per concludere il giorno del suo compleanno?
Quale campista si guardò in modo strano. Probabilmente si stavano chiedendo per quale razza di ragione Gyles avesse deciso che la canzone successiva l'avrei dovuta proporre io. E a ragione.
I figli di Apollo si guardarono un attimo, come in un tacito discorso, per poi attaccare. Il ragazzino dall'infermeria diede il via con la chitarra e tutti gli altri si accodarono con voci e mani.
Avrei anche potuto perdonare il mio amico per quello sgarro, se solo non avesse avuto la brillante idea di trascinarmi nel coro.
-Visto che l'hai proposta, la saprai cantare. E poi, oggi te la cavavi bene- argonentò. Se avessi potuto, sarei diventata un tutt'uno con il tronco su cui ero seduta per sottrarmi alla vergogna. Senza nemmeno rendermene conto mi ero messa a canticchiare, ore prima, mentre preparavo il caffè ed ora il figlio di Apollo si era messo in testa di avere a che fare con una persona vagamente intonata.
- No- provai ad oppormi, ma fu del tutto inutile e dopo poco mi ritrovai a cantare a mia volta con le guance in fiamme.
Prima o poi avrei trovato il modo per rendergli pan per focaccia, di sicuro.

I semidei sognano. E di solito non sono mai sogni piacevoli. Che siano premonizioni o ricordi poco importa: non si tratta mai di un sonno pacifico. Eccezion fatta per i miei cugini, i figli di Hypnos. Loro avrebbero potuto dormire anche sui sassi.
Oppure, i sogni potevano essere messaggi o incontri con strani personaggi, più comunemente chiamati i nostri genitori.
Non c'era nulla, all'inizio del sogno. Il buio più totale. Ed io vi stavo precipitando velocemente, molto velocemente. Sembrava che, nel buio, ci fossero delle pareti di roccia attorno a me, ed uno sprazzo di cielo si intravedeva da un taglio irregolare nel buio sopra di me. Poi, il dolore dell'impatto con qualcosa di duro. E non ebbi il tempo nemmeno di capacitarmene, perché tutto sparì, così com'era apparso.
Si ritrovò in una posto bello, avvolto nella più completa pace. C'erano dei bambini, che ridevano e schiamazzavano, correndo dietro ad una palla un po' rattoppata. Una coppia di innamorati passeggiava tranquillamente per la strada, sbirciando le vetrine dei negozi e scambiandosi sguardi pieni d'amore incondizionato. Un vecchietto fischiettava, con il bastone in spalla, camminando ad occhi socchiusi per la via, con i corti capelli bianchi un po' radi.
Eppure, sapevo che c'era qualcosa che non andava. Li sentivo a pelle. E poi ne ebbi la conferma.
Mio fratello era lì, fermo ai piedi di un lampione, con le mani infilate nelle tasche dei jeans neri e quella felpa scura dal cappuccio tirato sul capo solo in parte. Mi fissava, attendendo che lo notassi. Nessun'altro sembrava badare alla mia presenza e sussultai quando un bambino, correndo, mi attraversò da parte a parte.
Ethan si allontanò di un passo dal palo della luce, avvicinandosi di poco a me, sempre con quell'aria torva dipinta in volto. Certo, non era mai stato una persona allegra, ma avevo sperato che almeno nell'Ade avesse trovato la pace. Dopotutto, aveva dato la sua vita per salvare gli dei e l'Olimpo, meritava almeno quello. Eppure, quello sguardo era il pozzo di nero abisso che avevo scorto durante la battaglia, quando ci eravamo ritrovati faccia a faccia, con le spade grondanti di sangue nemico strette in pugno, e avevamo fatto finta di non esserci neppure visti, allontanandoci alla svelta l'uno dall'altro per non dover combattere fra di noi. Non ci odiavamo davvero a tal punto. O almeno, io non avrei mai potuto. Lui, volevo credere che per lui valesse lo stesso e che quel giorno non fosse stato soltanto un caso.
Sentivo le gambe di gelatina, ma mi avvicinai il più velocemente possibile, con gli occhi che pungevano e bruciavano, minacciando di lasciar cadere le lacrime trattenute troppo a lungo.
-Non abbiamo molto tempo- fu così che mi accolse, sempre con le mani in tasca e quella benda nera a coprire l'occhio mancante.
- Non ci vediamo da tre anni e...- mi si bloccò il fiato in gola e dovetti sorvolare quel pezzo, proseguendo come se non avessi mai inteso dirlo - È così che mi saluti?
- Scusa, ma non voglio rischiare di non riuscire ad avvisarti. Parleremo dopo, d'accordo?- e non mi restò altra scelta se non annuire.
Eravamo sempre ai piedi di quel lampione, ma nessuno ci degnava di uno sguardo: evidentemente, mio fratello doveva essersi fatti tanti amici quanti ne aveva avuti al Campo. Ovvero, quasi nessuno.
- Ho sentito dire che qualcosa si muove, nelle Terre Antiche. Giungono strane voci dal palazzo della Notte. Nemesi... lei non credo che abbia intenzione di aiutarci, ma...
-... non sarebbe una novità- conclusi per lui, annuendo, ricevendo in cambio quel minuscolo sorriso che mi era mancato tanto. Di nuovo, sentii le lacrime premere per uscire, ma non era quello il momento per piangere. Di nuovo, dovetti fingere che tutto fosse a posto e ricacciare indietro tutto il dolore.
- Infatti. Probabilmente al Campo organizzeranno un'impresa, come al solito. Offriti volontaria...
- Ma è un suicidio- protestai, senza riuscire a trattenermi. Insomma, va bene che mi era mancato molto, ma proprio gettarmi nelle fauci di un mostro non mi sembrava la scelta migliore. Non ero neppure mai uscita dal Campo, se non per combattere a Manhattan, figurarsi andare in Europa. Era pura follia!
- ...offriti volontaria- ripeté - Nostra... nostra madre c'entra qualcosa, ma non so dirti altro, per ora. So solo che il cuore di tutto si trova in Italia, perché parlavano dell'antica capitale. E quale altra se non Roma, la Città Eterna?- annuii, non sapendo che altro fare - Devi stare attenta, sai quanto sia pericoloso per noi avventurarci fin là. Evita la Grecia, a qualsiasi costo. Non recarti in Epiro, né tanto meno ai piedi dell'Olimpo, lì la presenza degli dei è davvero troppo forte e i mostri sono troppo concentrati, ti annienterebbero subito.
Si fermò un istante, quasi per riprendere fiato. Probabilmente era più per un riflesso involontario che per reale necessità, ma io non protestai: mi era mancato troppo per osare fare o dire qualcosa che potesse rovinare tutto.
Poi proseguì - E fa' attenzione a Nemesi. Se ti dovesse offrire questa- e sfiorò la benda che gli copriva l'occhio - Tu non accettarla. Non importa cosa ti offrirà in cambio, non legarti a lei più di quanto tu non sia già- omisi che, in passato, me l'aveva già offerta e in quel momento ringraziai ogni divinità possibile per non aver accettato.
- Dovrei averti detto tutto- ammise in un sospiro sollevato, felice di essere riuscito nel tempo concesso - Il figlio di Ade è stato onesto.
- Nico? Nico di Angelo? Cosa c'entra lui ora?
- L'ultima volta che è venuto qui, aveva bisogno di un favore. Questo è stato il mio prezzo.
- Parlare con me? Potevi chiedere qualsiasi cosa, è il figlio di Ade! Magari avresti potuto...- sapevo che era impossibile, ma in quel momento sembrava così vero, così reale, almeno finché mio fratello non scosse mestamente il capo, allungando una mano verso di me. Probabilmente si era dimenticato, per un istante, che la sua mano non avrebbe potuto toccare la materia solida, e, quando se ne ricordò, si fermò, un secondo prima che le dita affondassero nel vuoto, attraversando il mio viso senza alcun altro risultato.
-No. Non avrebbe potuto fare nulla. E questo è quanto ti meglio abbia potuto chiedere. Volevo parlarti, da tanto, ma non potevo bruciare questa possibilità unica. Così ho aspettato, ed ora ci torna utile. Se no, non avresti potuto sapere- igoiai amaro, ma non replicai, limitandomi ad annuire.
- Dimmi la verità- lo supplicai.
- Certo.
- Sceglierai la rinascita, quando tutto questo sarà finito?- non ero sicura di voler sentire la risposta, ma non avrei potuto continuare come se niente fosse, come se non avessi quella domanda a premere nella mente, se non gliel'avessi posta.
- Non subito. Intendo aspettarti, così potremo rinascere insieme. Magari questa volta sarà una vita normale, senza dei e senza mostri- ammise e, per la prima volta in molti anni, una flebile speranza illuminò quello sguardo di pece.
Suonava bene, molto bene, solo - Potrebbe volerci del tempo.
- Lo spero- di nuovo quel minuscolo sorriso si andò a delineare sulle sue labbra - Non prenderla a male, ma spero di non rivederti così presto.
- Considerato che sto per partire per le Terre Antiche- sì, nonostante il buon senso mi urlare di non farlo, avevo deciso di seguire il suo consiglio ancora una volta - Credo che l'attesa sarà più breve di quel che pensavamo.
- Vedi di prolungarla il più a lungo possibile- mi avvisò, con uno sguardo di monito che non ammetteva repliche - Quindi hai deciso, accetterai?
- Sento che è giusto così, ma non so il perché- ecco, se c'era ancora qualcosa da spiegare, quello era proprio il momento giusto. Sperai solo che mio fratello cogliesse la domanda.
- C'entra nostra madre ed io e te siamo gli unici a vederla con il suo vero volto- certo, nessuno poteva odiarla più di noi.
Così annuii, aspettando che proseguisse - Potrebbe facilmente ingannare altri semidei, magari già provati dal viaggio, ma tu la riconosceresti. Per questo serve la tua presenza. Non ti suggerirei una tale pazzia se non ci fosse qualcosa di grosso in ballo.
Non disse altro sulla questione e capii che quel sapeva, o che poteva dire, si concludeva lì, così mi affrettati a cambiare argomento. Non so razionalmente spiegarne il motivo, ma sentivo che, sela conversazione fosse continuata, il sogno non si sarebbe concluso.
- Come va?- e non potei fare a meno di scorgere quel cenno allarmato che attraversò per un istante il suo viso, prima di sparire come se nulla fosse.
- Bene- provò a tagliare corto, ma invano.
- Hai promesso di dirmi la verità- gli ricordai, ma lui rigirò velocemente la frase a suo favore.
- Prima sì. Ma non hai mai specificato di volere la verità su tutto.
- Allora specifico adesso- borbottai.
Ethan si morse le labbra e rimuginò qualche istante, muovendo nervosamente un piede a terra e grattando il suolo con la punta delle scarpe; poi, però, decise di rispondere onestamente.
- Questa non è vita- ammise, infilando di nuovo le mani in tasca e indossando le spalle, spostando velocemente lo sguardo sulla strada alle mie spalle, senza osservare nessun punto preciso - Non che quella di prima lo fosse, sia chiaro.
Potevo quasi sentirla, la mente di mio fratello viaggiare veloce, inseguendo i mille pensieri che vi si erano affacciati nel tempo d'un respiro, combattuta fra il confessare tutto o lasciare la conversazione in quello stato di incerta quiete che però non valeva nulla.
Mi scrutò un istante, quasi cercasse una risposta nella mia, di mente. Poi annuì, in risposta ad un suo pensiero.
- Mi hanno detto che sono un eroe, che alla fine la mia morte ha fatto la differenza, ma... non lo so. Non ho fatto altro che sbagliare, e questa ne è una prova tangibile- affermò, accennando alla benda nera.
Lui non la vedeva, non la percepiva più la sua bilancia? Non sentiva che pendeva inesorabilmente verso il basso, verso il giusto e verso il bene? Certo, per un periodo, un orribile periodo, era stata più sul nero che sul bianco, ma ora era tornata definitivamente sul chiaro, sulla luce. Non come a Manhattan, dove già, però, i piatti stavano tornando allineati.
- Non è vero. O credi che i giudici si siano sbagliati? Perché se vuoi, vado a farci quattro chicchiere- no, non avrei mai potuto farlo e di certo non avrei mai voluto, ma non sapevo che altro dire.
Lui non rispose, limitandosi a scrollare le spalle.
Evidentemente, anche l'Elisio non doveva essere bellissimo, per qualcuno che non si sentiva a posto con sé stesso.
- Ti fai troppe tare, come al solito.
- Parli tu?- mi rimbottò, scoccandomi un'occhiata fra l'irritato e il divertito. Come se fossimo ancora nella cabina di Ermes, a bisticciare perché lasciavo i miei vestiti e le mie cose sparpagliati anche sul suo sacco a pelo, rischiando che qualcuno me li rubasse, o perché lui non sopportava di vedere la mia pettorina allacciata male durante gli allenamenti.
- Svegliati un po', Ethan. Te lo sei guadagnato, l'Elisio, e lo sanno tutti, là sopra. E probabilmente anche qui. Manchi solo tu, sai?- rimase in silenzio per qualche istante, rinuginando sulle mie parole e abbassando d'un poco lo sguardo, morso dai sensi di colpa di nuovo troppo evidenti.
- Porta rispetto per i più anziani- provò a scherzare dopo un po', ricacciando in gola il groppo che si era formato.
Non ebbi il cuore di ricordargli che ormai ero io, quella più grande, e che lui non sarebbe più cresciuto. Anche perché sentivo che la gola si era fatta asciutta e gonfia e gli occhi di nuovo troppo umidi.
Mio fratello, però, parve intendere lo stesso, perché commentò - Fino a prova contraria sono nato prima io- ed io non feci altro se non annuire, combattendo con il blocco alla gola che mi impediva di parlare. Dovette accorgersi anche di questo, perché cambiò argomento alla svelta.
- Non abbiamo più molto tempo- constatò e anch'io dovetti ammettere che i contorni si facevano già più sfuocati - Ma tu come stai? Il Campo?
- Sto bene, sto bene- ammisi, riuscendo finalmente a farmi largo fra le parole aggrovigliate fra di loro - Abbiamo costruito le cabine per gli dei minori. Anche nostra madre ne ha una. È la numero sedici. C'è una grande bilancia nel mezzo, che pesa la vita di una persona, ma sono in pochi quelli che si sottopongono all'esame.
- Sono in pochi quelli che credono nella giustizia e che l'accettano- mi ricordò lui, con quello sguardo mesto che già troppe volte gli avevo visto indosso.
- Raccontami qualcosa- mi invitò, con una certa fretta nella voce che mi fece intendere che il colloquio non sarebbe durato ancora a lungo.
- Miglioro con la spada e oggi...- mi inumidii le labbra - Oggi ho truccato l'esito di uno scontro.
- Che intendi?- ecco che tutta la sua fretta scomparve in un istante, perché troppo concentrato sulla possibile risposta da darmi, su una buona spiegazione, e sull'ascoltare e capire quel che stavo dicendo per badare più davvero al tempo.
- Ho combattuto contro una figlia di Ares.
- È domenica- brontolò lui, prima di potersi trattenere, ed io sorrisi impercettibilmente.
- Già, ma non mi ha lasciato molta scelta. Ho fatto in modo che vincesse, perché altrimenti sarebbe diventata lo zimbello della cabina di Ares. Però non credo di aver agito bene. Ho seguito la coscienza, ma non ciò che è giusto. Tu credi che...- ma non seppi di preciso cosa chiedergli, perché dopotutto non avevo una vera domanda da fargli. Come in passato, volevo soltanto sentire una risposta, una delle sue, con cui mi aiutava a districarmi in quel groviglio di giusto e sbagliato che proprio a volte si faceva troppo contorto e troppo pesante, quasi soffocante.
E lui capì, come al solito.
- Ci sono molti modi di definire la giustizia. E ognuno deve scegliere il proprio. C'è una giustizia accademica, una giustizia fatta di regole e norme; c'è una giustizia distaccata, in cui conta solo la legge fondamentale. E poi c'è la giustizia secondo coscienza, quella che hai seguito tu oggi. Non voglio e non posso dirti se hai agito bene o male e non lo farò. Però, se anche solo una minuscola parte di te crede di aver agito per il meglio, di aver evitato a quella ragazza una situazione spiacevole, quasi insostenibile con il tempo, forse non dovresti condannarti.
Ora i contorni erano definitivamente sfuocati e già i passanti attorno a mio fratello erano irriconoscibili. Persino il lampione accanto a noi era già meno riconoscibile, un ombra fra le ombre, e temevo, sapevo, che entro poco anche la figura di Ethan sarebbe scomparsa. E lo sapeva anche lui, perché si avvicinò di un passo, come se così facendo potesse rimandare ancora di un poco l'inevitabile.
- Fa' attenzione con Nemesi, sii prudente. Non ascoltarla, non importa cosa ti dirà o come te lo dirà. Tu non ascoltarla- scandì bene le ultime parole, facendo saettare velocemente gli occhi attorno a sé, quasi potesse vedere nitidamente il tempo che scadeva.
- Stammi bene e vivi. Vivi anche per me- si voltò un attimo indietro ed il suo viso fu attraversato da puro terrore. Cercai anch'io quel qualcosa che pareva averlo turbato tanto, ma non vidi nulla. Quando tornò a guardarmi, stava chiaramente fingendo che fosse tutto a posto. Quell'ombra nello sguardo di pece faceva intendere l'esatto opposto.
- Non ti fidare. Attenta a non...lei ha... non...ltare...ti v...ene- la sua voce si distorse sempre di più, fino al punto che sentii soltanto dei suoni indistinti. Poi, anche la sua immagine iniziò a sfumare ed io, presa da un moto di cieco terrore, mi slanciai in avanti per afferrarlo, ritrovandomi a stringere soltanto del fumo. Mio fratello era sparito, assieme al sogno, ed ora ero immersa nel buio pesto della cabina sedici, con il cuore che batteva come un folle e la schiena rigida. Ero seduta sul letto, con le braccia ancora tese di fronte a me, e sentivo le guancie umide bagnarsi ogni secondo di più, vittime delle dolore lacrime che ormai non riuscivo più a trattenere.
Mi ributtai sul letto e rimasi così, con gli occhi aperti e le braccia strette attorno al busto, fino a che l'alba non mi sorprese ancora sveglia, con quell'avvertimento a ronzarmi in testa e la certezza che mio fratello mi stava aspettando, che mi avrebbe aspettata, per poter ricominciare una nuova vita insieme, quando l'incubo con mostri e divinità sarebbe finito.

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