Quell'albero non era un melo, di certo. Eppure, per un solo istante, mi era sembrato che la chioma fosse carica di rubicondi frutti e le foglie fossero d'un verde intenso. E il melo era la pianta sacra a Nemesi. Che il mio aver truccato le carte nell'ultimo scontro stesse per ritorcermisi contro?
-Ei!- urlò, sollevando una spada a mo' di saluto. Poi sollevò l'altra (la mia) e me la lanciò; cadde al suolo, sporcandosi di terriccio umido. Anche solo per questo avrei voluto colpirla in testa con il pomo dell'elsa.
Aveva un sorriso feroce in volto, una luce bellicosa negli occhi scuri, e quelle borchie sul bracciale sembravano brillare per riflesso di un fuoco atavico.
Le mancavano solo quegli occhiali da sole rossi per essere uguale in tutto e per tutto a Cole. Certo, non l'avevo mai visto con indosso una bandana arcobaleno, ma per il resto erano davvero terribilmente simili. Troppo simili.
Brenda fece roteare la spada, come troppe volte aveva fatto Cole; la faceva roteare e poi la fermava, tenendola d'un poco sospesa con un dito, prima di farla girare nella direzione opposta.
Avanzava con incidere sicuro, il passo pesante, ma sembrava non avvicinarsi mai.
Avanzava sicuro in quell'esasperante prolungarsi di un istante, facendo roteare la spada con una mano, con un sorriso malevolo dipinto in viso. E quegli occhi brillavano come braci, storcendo ancor di più quella bocca già storta.
- Allora?- urlò, accennando con la spada alla mia, ancora coricata nel terreno - Raccoglila!
-Allora, indeterminata?- urlò, puntandomi contro la spada affilata. Alle mie spalle l'angolo della parete umida del bagno si faceva sempre più vicino.
- Ho diritto ad un'arma- riuscii ad articolare, nonostante il tremore della voce. Perché quel ragazzo ce l'aveva con me?
- L'avete sentita?- domandò, voltandosi verso i suoi fratelli, che sogghignarono - Vuole un'arma. Ma le armi non sono giocattoli per bambini. Papà non te lo ha insegnato?- cantinellò con quella voce odiosa.
- E non sono nemmeno giocattoli per gente tarda, ma eccoci qui- forse avrei fatto meglio a tacere, quel giorno. Sì, avrei decisamente fatto meglio a tacere, e lo capii mentre mi lanciavo di lato come potevo per evitare il colpo del figlio di Ares.
Mi chinai a terra su un ginocchio, agguantando l'elsa della spada con una strana brama di battermi a scuotermi. E quell'albero ora sembrava veramente un melo.
Poi Brenda attaccò.
Cole ringhiò e attaccò di nuovo, costringendomi all'angolo. A meno che non imparassi sul momento ad arrampicarmi sulle piastrelle, c'erano ben poche possibilità di fuga. E in men che non si dica, il pomo dell'elsa colpì con violenza la mia spalla.
Scartai di lato automaticamente, portandomi involontariamente vicino all'angolo della siepe, oltre quell'albero che non sapeva decidersi se essere un melo oppure no. Eppure, a me sembrava proprio un melo.
Perché Cole ce l'avesse tanto con me era un mistero, ma ormai non m'importava nemmeno più saperlo. Eravamo di nuovo in quei bagni, ero di nuovo alle strette fra le due pareti. E feci la cosa più stupida e naturale del mondo: mi diedi la spinta contro il muro, schivando così l'attacco per la seconda volta. La terza, però, non fui così fortunata, quel giorno.
Brenda attaccò di nuovo ed io, seguendo un automatismo difficile da scordare, balzai a sinistra, dandomi la spinta per il salto con il piede contro la staccionata solida che s'ergeva di fronte alla siepe.
Quella volta avevo nascosto un pugnale nella cintura, ma non servì nemmeno. Caddi a terra a metà del salto, che era riuscito invece il giorno prima. E il pomo dell'elsa picchiò di nuovo sulla mia schiena. Faceva male. E io iniziavo davvero a non sopportare più quel ragazzo.
Ero sollevata in aria. Il salto era riuscito. Avevo guadagnato un punto più alto per colpire. Avevo vinto. Abbassai la spada e attesi di crollare a terra.
-Ancora, piccoletta?- urlò Cole, mentre mi davo la spinta sul lato, saltando. Quel giorno il salto riuscì. E il pugnale servì allo scopo. Mentre atterravo a terra, lasciai che il manico colpisse il testone vuoto di quel ragazzo, che oscillò e digrignò i denti, infervorato.
Ancora un istante, e il pomo dell'elsa si sarebbe abbattuto sulla spalla della figlia di Ares. Ancora un istante, e sarebbe tutto finito.
Ero caduta a terra, alla fine del salto, sbilanciata da quell'attacco alla testa. Ero caduta a terra e si era preoccupato Cole ti aiutarmi a tirarmi in piedi, agguantandomi per i polsi e sollevandomi come un coniglio da scuoiare. Mi dibattei con quanto fiato avevo in corpo, ma il pugno arrivò lo stesso, rapido, a colpire lo stomaco. Per poco non vomitai la colazione. Dei, quanto odiavo quel ragazzo.
Il pomo abbattè la spalla di Brenda, che per la forza dell'impatto ruzzolò all'indietro, sedere a terra, con gli occhi fuori dalle orbite. Non se lo aspettava.
Mi ero rialzata prima che potesse afferrarmi per i polsi, quella volta. Ero in piedi e stringevo fra le mani quel pugnale. Glielo puntai alla gola e lui rise: non avrei mai avuto il fegato di farlo. Dei, quanto avrei voluto affondare la lama. Quanto lo odiavo. Non avevo mai creduto possibile odiare qualcuno a tal punto.
Le puntai la lama alla gola, senza distogliere lo sguardo dal suo. Aveva i suoi stessi occhi, fu l'unica cosa che seppi pensare. Cambiava solo l'espressione. Lei non era Cole. Cole era morto. Ma lei... oh, quanto mi era odiosa la sua vista.
-Non osare mai più attaccarmi, chiaro?- ringhiai, fuor di me, e premetti ancor di più il pugnale contro la pelle scura del collo del figlio di Ares. Lui ghignò e, nello stesso momento, due paia di mani robuste mi agguantarono per il colletto della maglia e mi appesero alla porta del bagno, lasciandomi lì a penzoloni fino a che il tessuto non si strappò. E non avevo neppure il pugnale per tagliare la maglia, perché Cole si era assicurato di levarmelo, sia mai che potessi ferirmi cadendo a terra, fra le risate dei suoi fratelli. Dei, quanto odiavo i figli di Ares.
-Non osare farlo un'altra volta, sono stata chiara?- soffiai. Sentii la mano di Gyls posarsi sulla mia spalla, ma la scacciai con un gesto secco della mia.
- Sono stata chiara?- ripetei e lei annuì soltanto, così ritrassi la spada, nonostante l'esitazione. Lei non era Cole. E nessuno mi avrebbe agguantata per i polsi, quella volta.
Poi si alzò e, fra il dubbioso e l'euforico, esclamò - Ma dove hai imparato a farlo? È stato fichissimo!
- Me l'ha insegnato tuo fratello, Cole Davis- ero stata sul vago: non avevo intenzione di mettere a nudo una parte della mia vita che preferivo restasse segreta. Soprattutto, non con lei.
- Ah, ora si spiega. Era molto bravo.
- Non direi "bravo". È una parola con troppi significati- soffiai fra i denti, senza riuscire a trattenere l'astio - Era abile, diciamo così.
- Sì, è lo stesso- rispose, scrollando le spalle, troppo agitata per pensare davvero a quel che le veniva detto.
- Vai a rimettere a posto queste, prima che qualcuno le veda. E bada che Oliver non si accirga di nulla- e lei non fiatò nemmeno, ancora su di giri. Avevo la netta impressione che entro poco avrebbe tentato anche lei di compiare i miei movimenti. Perché non avevo lasciato che mi colpisse e via? Perché il mio corpo aveva dovuto reagire così? Conoscevo la risposta, così non insistette oltre con i rimugini. Boffonchiai qualcosa fra i denti e mi risedetti ai piedi di quell'albero, con il cuore in gola e la mente che lavorava frenetica.
E quegli occhi scuri impressi in mente.
Aveva davvero iniziato a piovere o era soltanto una mia impressione? Probabilmente era la mia mente, perché tutto sembrava rosso, rosso sangue. Persino il fiume sotto di noi. Come fossi finita insieme ai figli di Apollo era un mistero. Forse Connor nemmeno lo sapeva. Travis mi aveva mandata lì, mi sembrava di ricordare, insieme ad alcuni altri spadaccini per compensare le difese a terra, mentre i figli di Apollo decimavano i nemici dall'alto.
Ormai avevo la spada completamente sporca di sangue, nero e rosso. Di mostri e di semidei. Mi facevo schifo. E avrei tanto voluto vomitare. Ed in ognuno di quei semidei, continuavo a vedere quell'occhio nero come la pece e quella benda del medesimo colore a coprire l'altro.
C'era freddo, stavo tremando. Eppure, avrei dovuto avere caldo, ed essere sfinita. Invece avevo freddo, ma comunque le braccia dolevano e la mente piangeva. E qualcosa nel mio petto mi urlava di smetterla, che tutto quello era sbagliato. Che non aveva senso uccidersi così. Che presto tutte quelle perdite si sarebbero rivelate soltanto un danno.
Ancora non sapevamo nulla di Gea e dei Romani.
E poi quel rosso. Quel rosso nel rosso. Cole abbassò la lama, che deviai un attimo prima di essere colpita. Deviai e scartai di lato. Un mio compagno era appena caduto e accanto a me c'era spazio, troppo spazio.
Era fiacco. Doveva essere stanco. In breve lo disarmai e lui, indietreggiando, cadde a terra.
Che terribile deja-vu. Avevo la terribile sensazione che presto qualcuno sarebbe arrivato per prendermi per i polsi e appendermi alle travi del ponte, assieme ai figli di Apollo.
Stavo per colpirlo in testa con il pomo dell'elsa, in memoria dei vecchi tempi, sperando che la botta fosse sufficiente per stordirlo e lasciare a qualcun'altro lo scempio di ucciderlo a sangue freddo.
Poi lo vidi, quel rosso sulle gambe e sulle braccia. Era ferito in più punti e la sua faccia urlava pietà. Ma lui, lui ne aveva mai avuta con me?
D'un tratto il desiderio di vendetta si fece prepotente. Lui mi aveva preso l'infanzia, la spensieratezza, la serenità nel girare per il Campo. Chissà come sarei stata, se non l'avessi mai incontrato. Probabilmente più propensa a fidarmi delle persone, più affettuosa, meno restia a parlare con gli altri campisti, meno sola. Mi aveva rovinato la vita, me l'aveva sottratta ancor prima che potessi comprenderlo, ed io avrei preso la sua. Era la legge fondamentale.
La bilancia nel mio petto urlò, fuori di sé, poi tacque. Non capii cosa stava dicendo, o forse non l'ascoltai neppure, mentre calavo la lama sul nemico disarmato. Lo odiavo e l'odio mi aveva consumata.
Lo lessi chiaramente negli occhi di quel figlio di Apollo che, dall'alto, aveva assistito alla scena. Non sapeva cosa fosse successo anni prima, non ne aveva idea. Aveva soltanto visto due ragazzi tentare di ammazzarsi a vicenda per restare in vita. E aveva visto uno dei due cadere.
Così come cadde lui poco dopo, vittima di una freccia nemica. Chissà se a lanciarla era stato un suo fratello, passato dalla parte di Crono. Cadde nel fiume sottostante, fra le grida di un suo compagno, che non voleva accettare quanto appena visto.
Quelle iridi scure erano vuote e la bocca storta era come la ricordavo, piegata in un ghigno che non aveva motivo d'essere.
Mi chinai e chiusi le palpebre di Cole, sotto lo sguardo pietoso di mio fratello. Era la seconda volta che ci incrociavamo, in quella battaglia. E per la seconda volta, facemmo finta di non esserci neppure visti. Lui cambiò velocemente direzione ed io attaccai un suo compagno.
Lui sapeva, sapeva tutto. Sapeva perché in quel momento il figlio di Ares giaceva senza vita sul ponte di Manhattan, sapeva perché ancora avevo paura ad entrare nei bagni del Campo. E così non disse niente, né diede alcun cenno di stupore. E poco dopo anche la sua lama calò, mietendo l'ennesima vittima. Eppure, eppure non sembrava convinto, non quanto Cole, almeno.
Gettai un ultimo sguardo al corpo, prima di voltare definitivamente pagina e parare un attacco di un suo compagno.
Ora avrei potuto smettere di guardare con sfiducia i ganci delle porte dei bagni.
Occhio per occhio. Era la legge fondamentale.
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Occhio per Occhio - La legge fondamentale
FanfictionCi sono moltissime storie di semidei, moltissime storie ambientate al Campo Mezzosangue o al Campo Giove. Eppure, non ne ho ancora trovata una che parli di un figlio di Nemesi e mi sembra ingiusto lasciarli soli, privi di considerazione, quando port...