X - Divento formaggio per topi

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Non avevo mai preso un aereo prima e di certo quella prima esperienza non fece nascere in me l'incommensurabile desiderio di volare che possedeva invece il bambino seduto dietro di me.
E pensare che avremmo dovuto passare quasi una mezza giornata sospesi per aria, con il costante rischio che una delle hostess si tramutasse in una echidna o simili.
-Rilassati- scandì Gyles, sistemandosi meglio contro lo schienale per cercare una posizione più comoda. Dire che, con tutta probabilità, posti peggiori non potevano esserci, era un'esagerazione. I sedili erano scomodi, vicini, e senza alcun comfort. E sì che sia Brenda che Gyls avevano assicurato che i voli transoceanici non erano così scomodi!
Mi rigirarai per l'ennesima volta sul sedile, brontolando e borbottando contro il materiale duro con cui era stato fatto, e il figlio di Apollo si massaggiò la fronte per mantenere la calma.
- Calmati. Non siamo ancora decollati. Se hai intenzione di fare così tutto  il tempo avverti, così faccio cambio di posto con Brenda- minacciò, accennando alla semidea accanto a lui, immersa nella lettura di un volantino su cui spuntavano cibi di tutti i tipi. Ecco, perché il dépliant delle Cacciatrici fosse accuratamente risposto nella mia sacca, non avrei saputo dirlo razionalmente, e in quel momento mi sentii colpevole come non mai. Guardai di sottecchi il mio migliore amico, distogliendo lo sguardo prima che se ne accorgesse per non farlo insospettire. Dopotutto, ci mancava solo che il nostro piccolo gruppo si dividesse ancora di più.
-D'accordo- capitolai, iniziando a torturarmi le mani per scaricare la tensione.
Lo sentii sospirare, poi, dopo essersi guardato un attimo attorno, infilò una mano in tasca e ne estrasse un pacchetto di caramelle gommose a forma di oresetto. Somigliavano tremendamente a quelle che, il giorno prima, si stavano contendendo i fratelli Stoll e Katie.
Accettai, senza sapere che me ne sarei pentita a breve - Loro sanno di avertele donate, o no?
- No- ammise con estrema tranquillità, prima di spiegare con una strizzata d'occhio - Considerala una buona azione per non far scoppiare una guerra civile al Campo.
Mi sarei messa a ridere, e di gusto, se solo il pilota non avesse deciso di annunciare di allacciare le cinture e riporre ogni oggetto elettronico (come se potessimo davvero portarne...), perché stavamo per decollare.
Ecco, ora non ho intenzione di riportare nel dettaglio  quanto poco... eroica sia stata mentre l'aereo si alzava in volo. Diciamo solo che non avevo mai stretto così tanto la presa su dei braccioli come in quel momento.
Le rogne vere e proprie iniziarono, però, quando il bambino dietro di me si sporse in avanti, attratto dal richiamo delle caramelle e finalmente libero dalle grinfie della cintura; sua madre provò blandamente a trattenerlo, ma sembrava esausta. In effetti, suo figlio sembrava molto esuberante. Quasi iperattivo.
-Me ne dai una?- domandò, fissandomi con uno sguardo tanto vispo da ricordarmi quello di Travis e Connor. In effetti, anche i tratti erano abbastanza simili: sottili, dalle orecchie allungate simili a quelle di un elfo, i voluminosi riccioli castani e quella scintilla volpina nelle iridi chiare.
Scambiai uno sguardo con la madre, che scosse il capo: altri zuccheri in corpo non avrebbero di certo aiutato.
-Non si accettano caramelle dagli sconosciuti- lo riprese la donna, e dallo sguardo del figlio sembrava una frase sentita e risentita.
Così, tornai a sedere al mio posto, non senza l'impressione di aver trovato un futuro nuovo campista: emanava qualcosa anche a pelle e non era difficile accorgersene, anche se era un qualcosa di così minuto, specie dopo aver passato la vita al Campo.
-L'hai notato anche tu?- sussurrai a Gyles, quando il bambino si fu finalmente stancato di scannerizzarci con lo sguardo.
- Sì- annuì per dar man forte alle sue parole - È rassicurante, no? Per ora, l'unico incontro strano che abbiamo fatto è un bambinetto, probabilmente un semidio, ma nulla di troppo preoccupante.
Qualche ora dopo, avrei tanto voluto prendere il mio migliore amico e appenderlo alle ali dell'aereo, per fargli rimangiare quel suo orribile ottimismo. Ormai iniziavo a credere che si divertirsi a stuzzicare le Parche.
Tutto filò liscio fino a quando Brenda non decise di dover andare a fare un giro in bagno, per sgranchire le gambe.
Si sentì un certo trambusto e, tempo di qualche minuto, tornò a sedersi con una faccia così scura da sembrare nera e un pugnale sguainato in mano.
-Ma sei impazzita?- la rimproverò il figlio di Apollo, nascondendo velocemente l'arma, su cui ancora si riconoscevano tracce di sangue. Perfetto.
- Cos'è successo?- attaccai io, invece che cominciare un'inutile polemica come stava facendo il mio amico.
- Una darcena, in bagno- rispose lei - L'ho uccisa, ma ho l'impressione che non fosse sola- ammise poi, nascondendo velocemente il pugnale in una delle enormi tasche dei pantaloni.
- Magnifico- brontolai - Ha detto qualcosa di particolare?
- Non proprio. Un indirizzo, sembrerebbe. Manzoni, 12a.
- Riesci a ricordare le parole esatte?
- Solo queste. Le ripeteva come una matta, starnazzando come un'oca- scambiai velocemente un'occhiata con Gyles, solo per trovarci riflesse le mie stesse preoccupazioni: che cavolo voleva dire? Era un indirizzo di sicuro, su questo non c'erano dubbi, ma per dove?
- Idee sul posto?- domandò lui, alternando lo sguardo da me a Brenda, che scosse il capo. Così, tornò a concentrarsi interamente su di me, come se sapessi la risposta.
- Certo. Del resto, ho passato metà della mia vita nelle Terre Antiche, no?- commentai acidamnete. No, non ne avevo idea.
- Bastava dire di no, sai?- mi brontolò lui, prima di incrociare le braccia al petto e mettere il muso come un bambino. Nel farlo, però, aveva portato una mano più vicina ad una tasca dei jeans, dov'era nascosto un minuscolo coltellino.
Dopo interminabili minuti di silenzio in cui tutti e tre avevamo atteso con ansia un secondo attacco, finendo per tormentarci e distrarci tant'era la tensione, mi alzai in piedi, stiracchiando le braccia. Non sopportavo più quel nulla tedioso, e tanto valeva chiudere quella storia al più presto. Il figlio di Apollo, però, non era del mio stesso avviso, perché tentò inutilmente di trattenermi.
- Che stai facendo?- sibilò, agguantandomi per un polso, che liberai quasi subito.
- Vado in bagno- troncai, allontanandomi prima che potesse protestare. La figlia di Ares mi seguì con lo sguardo fino a che non fui troppo lontana per essere distinguibile fra le teste.
Bene, ora restava solo aspettare e fare da esca per topi. Solo che, in quel caso, i topi sarebbero stati infinitamente più simpatici.
Tanto per ingannare il tempo mi infilai veramente in bagno, sciacquando e risciacquando le mani varie volte, ma lasciando socchiusa la porta e con la spada allacciata alla cintura, ora libera dalla custodia in cui l'avevo relegata.
Emetteva un bagliore sinistro, che non mi piaceva per niente in quel bagnetto minuscolo in cui non c'era spazio neppure per sguainare la lama, ed io sentivo il cuore ballare la macarena nel petto, nemmeno fosse il primo mostro che affrontavo. In effetti, però, quella era davvero la prima missione a cui prendevo parte (e che guidavo) e la paura di fallire era tale da rallentare per un attimo il pensiero.
Poi, esattamente come mi ero aspettata, qualcuno bussò alla porta del bagno.
-È occupato?- domandò una voce abbastanza giovane, di donna, e, stando attenta a non urtare le pareti del bagno, sguainai la spada e la tenni in guardia di fronte a me.
- Sto uscendo- risposi, prima di prendere un respiro profondo. Poteva essere un civile, ma ne dubitavo. Qualcosa mi diceva che, oltre quella porta, c'era qualcuno a conoscenza del nostro mondo.
- Ok- commentò la voce. Spalancai la porta e affondai la lama, che trapassò da parte a parte la donna. Questa sollevò lo sguardo su di me, confusa come non mai, e tirò dietro di sé un bambino, terrorizzato.
La donna sussultò, spalancando gli occhi, ma non urlò, né diede altri segni di preoccupazione, mentre ritraevo la lama e arretravo di un passo. Non era un mostro, ma la madre di quel piccolo semidio che poco prima voleva le caramelle e che ora piangeva e si stringeva alla gamba della donna, chiudendo ermeticamente gli occhi.
Era la prima volta che la guardavo realmente in volto: i tratti dolci, lo sguardo vivace del figlio e una nuvola di boccoli color cioccolata, con una minuscola voglia di fragola su uno zigomo.
- Perdonatemi- mormorai, ringuainando con mani tremanti la spada e arretrando ancora di un mezzo passo, scontrandomi con il gabinetto di metallo. Se quella lama non fosse stata di bronzo celeste... se quella donna non fosse stata una semplice mortale... non volevo nemmeno pensarci. E in quel momento sì che mi pentii di aver accettato quelle caramelle, ancor più che durante il decollo.
- Non... non fa niente- balbettò quella, stringendo con una mano il figlio e tenendolo vicino a sé. Solo in quel momento mi resi conto che il suo sguardo era puntato proprio sulla mia spada e che nessun mortale avrebbe potuto vederla. Nessuno, tranne un mortale con la vista.
- Qualcosa non va?- domandò lei, allungando l'altra mano verso di me. Era giovane, non poteva avere più di una trentina d'anni, e parlava lentamente, quasi per calmarmi. Non per calmare sè stessa, che era appena stata trafitta da una spada senza alcuna conseguenza; no, me, che impugnavo l'arma. E suo figlio allo stesso tempo, che ancora piangeva, ma più controllato di poco prima, rassicurato nel vedere che non c'erano pericoli.
- Lei sa?- chiesi a mia volta, senza osare avanzare di un passo.
- Suo padre ha ritenuto importante raccontarmi il necessario per la sua sopravvivenza- ammise, accennando al bambino.
Annuii. Allora sapeva abbastanza - Ci sono delle dracene a bordo- ammisi e vidi il suo viso perdere imporvvisamente colore, mentre stringeva a sé il figlio con ancora più premura - Mi dispiace, io e i miei amici non avevamo idea che ci fosse qualcun'altro come noi su questo volo.
Lei annuì soltanto e strinse le labbra, poi sorrise dolcemente. Evidentemente, aveva appena concluso un ragionamento abbastanza complicato, che andava avanti già da qualche minuto.
- Non potevate saperlo. Non è colpa vostra- concluse, porgendomi di nuovo una mano e invitandomi ad uscire dallo stanzino.
A quel punto, accettai e tornai con lei ai nostri posti. Era dolce, gentile, e aveva un sorriso rassicurante, che stranamente si adattava perfettamente allo scintillio furbo che di tanto in tanto gli occhi trasmettevano, come istintivamente. Quel bambino era fortunato ad avere una madre così amorevole, che, si vedeva, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. Non sapeva ancora quant'era fortunato, nonostante i problemi legati all'eredità di suo padre. Non era facile, però, che il genitore umano di un semidio (la madre, in questo caso) fosse tutto a posto con il cervello; anzi, era quasi impossibile. La madre di Percy Jasckson è un'eccezione. La maggior parte delle volte venivamo letteralmente abbandonati come sacchetti della spazzatura.
Che bello essere semidei, non trovate anche voi?

Le dracene erano ancora lì, su quel volo, e anche i miei due compari erano tesi, più di quanto non fossero quando mi ero alzata, e scandagliavano con lo sguardo i posti attorno a loro.
- Come mai state andando in Italia?- domandai una volta seduti, voltandomi con il busto verso la donna. Mi ispirava fiducia e simpatia e, nonostante il pericolo che correvano tutti, era bello e strano per una volta incontrare qualcuno di tanto cordiale.
- Andiamo a trovare i suoi nonni- raccontò lei, accarezzando i capelli del bambino, che sorrise debolmente, senza osare incrociare il mio sguardo. La scena di poco prima doveva averlo scosso davvero molto, e non aveva torto. Mi dispiaceva, perché probabilmente si sarebbe ricordato per tutta la vita di quel viaggio in aereo in cui una sconosciuta aveva attaccato sua madre, ma senza colpo ferire.
-Non ci siamo presentati - saltò su Gyls, voltandosi a sua volta e sorridendo al bambino, che lo imitò all'istante. Sì, il figlio di Apollo aveva decisamente un talento naturale con i più piccoli - Io mi chiamo Gyles, lei è Brenda- e accennò alla foglia di Ares che si era limitata a sollevare una mano in un gesto di saluto senza smettere di controllare gli altri passeggeri - E...- stava per presentare anche me, ma lo anticipai.
- Farren- sapevo come mi avrebbe probabilmente chiamata e, se ci fosse riuscito, credo che avrei estratto di nuovo la spada e gliel'avrei sbattuta di piatto su quella zucca dura.
- E voi?- domandò quindi, scuotendo il capo con un borbottio poco gentile.
- Chiara- si presentò, poi, rivolgendosi al bambino, lo invitò a fare altrettanto - Su, forza, di' come ti chiami.
- Oliver- borbottò il bambino, ma con tutta l'aria di non avere la minima voglia di parlare. E continuava a fissarmi con un'aria così trova che Gyles si mise a ridere.
- Se la guardi così male ancora per un po', la fulmini ed io mi ritrovo senza amica, e poi che faccio?- scherzò, sempre con quel sorriso raggiante stampato in faccia.
Non dico che mi sono pentita di quel che feci in seguito, perché mentirei. Sollevai una mano e gli tirai uno scapaccione tale che persino la figlia di Ares si mise a ridere.
- Smettila di dire stupidaggini- lo rimproverai, prima di salutare i due con una mano e sprofondare di nuovo nel sedile.
- Io direi stupidaggini?- commentò lui, voltandosi verso di me, ancora sollevato per parlare con i due appena conosciuti.
- Sì, tu...- e stavo per aggiungere altro, ma qualcosa ai margini del mio campo visivo attirò la mia attenzione.
Aveva apoena spiccato un gran balzo per piombarci addosso, ma, prima che potesse raggiungere il pieno della sua traiettoria, sfilai il pugnale dal taschino di Gyles e lo lanciai, mandandolo a incastrarsi nel collo del mostro, che rantolò qualche istante, prima di tramutarsi in polvere e sparire nel nulla.
E quel piccolo incidente generò il panico sull'aereo.
La gente si alzava, urlava e si allontanava il più possibile da noi.
Qualcuno blaterava di una biglia, altri di un sasso. La Foschia era ben strana.
In men che non si dica, ci ritrovammo tutti e tre in fondo all'aereo, ostaggi delle hostess e di un addetto alla sicurezza, mentre i loro colleghi tentavano di riportare l'ordine a bordo.
La prima volta su un aereo non si scorda mai, no? Sì, credo anch'io che difficilmente mi sarei scordata di quella giornata.

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