XXIV - Leviamo le tende

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Alla fine, Chiara e suo padre non avevano preso così male la notizia della scoperta di un altro Campo.
Forse era per questo che, in quel momento, ci trovavamo su un saltellante autobus.
Scherzo.
Più o meno.
Non ci avevano buttati fuori di casa, ma avevano compreso quando avevamo deciso di andare. Quello era un Campo, c'era gente come noi ed era protetto. A restare con loro stuzzicavamo la fortuna un po' troppo. E l'avevamo stuzzicata già abbastanza.
E poi, fino a quel momevto avevamo creduto che la nostra missione fosse trovare un semidio e portarlo al Campo Mezzosangue. Che, invece, fosse proprio trovare il Campo della Volpe?
Prima di partire, Beppe mi aveva fatto cenno di seguirlo, senza dire una parola, mentre gli altri erano troppo indaffarati con i preparativi per la partenza per badare a noi. Mi aveva condotta in garage e aveva aperto l'armadio. Quell'armadio. Quello pieno di lucente bronzo celeste.
Aveva frugato un po' fra i pugnali, le punte di freccia e le spade e le lance, prima di trovare quel che stava cercando: un piccolo, minuscolo peso, simile a quelli in ottone che di solito si usavano per le bilance. Era grande quanto un portachiavi, però, e pesava quanto un libro un po' lungo.
Sussultai e feci per riconsegnarglielo, quando notai il segno che vi era impresso sopra: una ruota spezzata.
Le parole del legato di Ade, però, mi trattennero. "Esisteva una profezia, quand'ero ragazzo" incominciò, richiudendo le ante dell'armadio e facendo scattare la serratura "una profezia, su una figlia di Nemesi. Non so se si riferisse a te o se ad una tua sorella, e nel caso sia davvero tu, sono certo che ti diramno tutto quel che devi sapere, al Campo: era una profezia molto famosa, ai miei tempi. In ogni caso, questo non ha più motivo di restare qui. Apparteneva ad un figlio della Giustizia e ad un figlio della Giustizia deve ritornare".
Quando avevo provato a chiedere chiarimenti sulla profezia, non aveva detto nulla. E quando poi avevo chiesto come funzionasse o a cosa servisse quel pesetto, aveva risposto soltanto che, a tempo debito, avrei capito.
Ma, onestamente, di quella storia io stavo capendo sempre meno.
Se poi ora si aggiungeva anche una qualche profezia vecchia come la mummia dell'Oracolo eravamo a cavallo, proprio...
A riscuotermi dai miei pensieri fu Gyles, che dalla sera prima stava attendo ad ogni mia espressione. Il che stava diventando alquanto irritante.
- Tutto ok?
- Tutto ok- borbottai in risposta e lui annuì.
Poi, dopo poco, si avvicinò impercettibilmente e, quasi fosse un segreto, mi indicò qualcosa di nero appoggiato nel vano porta valigie.
L'avevo notato salendo, ma non ci avevo fatto più di tanto caso.
- E allora?
- Ti sembra normale che una persona stia coricata al posto delle valigie?- domandò lui in risposta, con un principio di isteria. E dalle ghignate di Brenda supposi che una conversazione simile doveva averla appena affrontata anche con lei. E con scarsi risultati, aggiungerei.
In effetti, prima di quel momento non avevo fatto caso a cosa fosse in realtà quel qualcosa di nero. O meglio, a chi fosse. Perché, in effetti, era un ragazzino, vestito di nero da capo a piedi (Damien si sarebbe sentito tolto il primato) e con mitene interamente e rigorosamente neri, se non fosse stato per le borchie attaccate dove dovevano esserci le nocche. Aguzzai un attimo la vista, perché (e non so spiegarmene il motivo) quel dettaglio mi puzzava. E un bagliore sinistro colse, per un solo istante, quelle borchie argentate. Così compresi: non erano veramente in ferro o in acciaio, ma in bronzo celeste. E chi, fra i mortali, userebbe un metallo tanto prezioso quanto sconosciuto per dei guanti?
Sembrava dormire. E dormire profondamente. Non sobbalzava nemmeno agli scossoni del bus. Anzi, una volta la corriera si imbarcò talmente tanto per prendere una curva, che credetti si sarebbe ribaltato al suolo. Lui, invece, non fece una piega. Se ne rimase lì, con una gamba a penzoloni ed un braccio a ciondoloni, appoggiato sulla spessa rete.

Scese alla nostra stessa fermata.
Fermata individuata grazie a Brenda, che aveva passato tutta la mattina e tutto il viaggio a spulciare le cartine secondo le indicazioni che ci avevano fornito i nostri precedenti ospiti e secondo quel che ci ricordavamo del viaggio del giorno prima. Non aveva quasi fatto un fiato, quel giorno. Nessuna battuta fuori luogo, nessun commento acido, nessuna minaccia di morte. Niente. Forse aveva captato che qualcosa non andava, che era successo qualcosa di poco piacevole, perché, addirittura, sembrava quasi amichevole. Ancora mi sembra assurdo che, mentre portavamo le nostre cose fino alla fermata della corriera, si fosse caricata in spalla anche la mia sacca e si fosse rifiutata categoricamente di restituirmela, nonostante le mie proteste (e vi posso assicurare che furono numerose).
In ogni caso, al di là degli strambi comportamenti della figlia di Ares, il ragazzino dark scese alla nostra stessa fermata.
Scese e puntò dritto nella nostra stessa direzione, senza voltarsi e senza dar segno di essersi accorto di noi.
Solo quando la corriera (già semivuota quand'eravamo saliti, ora completamente deserta, ad eccezion fatta dell'autista) si fu allontanata, quello strano tipo si riscosse.
Con una velocità disarmante per uno che aveva apparentemente dormito fino a pochi minuti prima, si voltò verso di noi e attaccò.
Così, a caso. Cioè, non proprio a caso, ma in quel momento il suo comportamento non aveva apparente senso per noi. In seguito ne assunse, ma in quel momento proprio per niente.
Finalmente capii il perché di quelle borchie sulle nocche, e perché in bronzo celeste: facevano un male cane. Mi colpì ad un braccio, mentre io lo colpivo alla faccia e Brenda lo agguantava per i capelli e lo trascinava lontano da me.
Quegli affari facevano veramente un male cane. Anzi, da uno dei punti offesi zampillarono anche alcune gocce di sangue.
E a quella vista si scatenò il putiferio.
Gyls, che aveva i tempi di reattività di un bradipo quando si parlava di menar le mani, tornò in sè e sbottò - Ma sei impazzito?
Tipo dark, invece, si limitò a fissare con curiosità quelle poche gocce di sangue vermiglio e a commentare con uno stupito - Allora non siete dei mostri.
- Ma no? Genio- borbottò Brenda, prima di lasciarlo malamente andare con tanto di spintone. Era un sollievo constatare che fosse tornata in sé: il suo lato premuroso era quasi più minaccioso di quando si impegnava ad apparire aggressiva.
-Scusate, credevo mi steste seguendo- si giustificò, pulendo le borchie del guanto con un fazzoletto - Scusa- aggiunse poi, rivolto a me.
Brenda l'aveva detta giusta: genio.
- Utile- mi limitai a commentare, accennando ai guanti truccati - Ora, hai intenzione di attaccarci di nuovo se facciamo la tua stessa strada?- e quello, con un moto vergognoso ben visibile negli occhi, scosse il capo. Poi riprese a camminare in silenzio, mani in tasca e capo chino.
- Wow- commentò Gyls in un sussurro, mentre pescavo un cerotto da una tasca e lo appiccicavo senza grossa attenzione sulla pelle ferita - Molto loquace.
- Non tutti ritengono fondamentale riempire il silenzio con parole, parole e parole- commentai, senza pensare. Ma me ne pentii subito dopo. Un'ondata cupa mi travolse, ed un fischio acuto mi perforò la testa, stordendomi. Cavolo, quanto odiavo quella roba. Decisamente, di tutti i poteri possibili ed immaginabili, quello era il più inutile.
- Scherzavo, Cacciatore di Draghi- commentai e il mio amico abbozzò un sorriso, più quieto dei suoi soliti scaccia nuvole.
- In effetti, sembra di andare a spasso con un automa- commentai a mia volta, e il figlio di Apollo sorrise, annuendo con il capo.
- Già- poi, incurvando appena il capo, domandò - Pensi di smetterla mai con questa storia del Cacciatore di Draghi?
- Ah no, assolutamente no. Almeno, fino a quando tu non la smetterai con "Fairy".
- Ma io oggi non ho detto nulla- protestò.
- Non ancora. Gioco d'anticipo- e lui liberò uno sbuffo divertito, scuotendo il capo. Per lo meno, quell'odiosa sensazione aveva finalmente abbandonato la mia testa.
- Ripetimi che mi è saltato in mente quando ho deciso di diventare tuo amico, Cesare- borbottò, rifilandomi un'occhiata sarcastica.
- Non ne ho idea. Masochismo?
- È probabile- e non si scompose molto quando lo spintonai: si limitò a restituire il favore.
- La volete smettere voi due?- sbottò Brenda, innervosita. E qualcosa mi diceva che la sua espressione fosca non fosse dovuta all'impresa, al nuovo Campo o ad altro di tanto serio, ma al ritrovato buon umore e calore di Gyls.
Perché, però, rimaneva per me un mistero.

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