XVI - Brenda impara nuove parole

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Quanto si impiega generalmente per compiere un'impresa? Difficile dirlo. Il tempo impiegato varia da impresa a impresa. Ma generalmente alla fine della prima settimana se non era proprio conclusa, almeno era a buon punto.
Noi? Noi no. Assolutamente no.
Erano passati quasi cinque giorni e noi eravamo esattamente al punto di partenza. Non avevamo la benché minima idea di dove cercare, eravamo ancora accampati in casa di Chiara e ormai avevamo passato in rassegna la maggior parte dei paesini della zona. Eppure ancora nulla. Nè per quanto riguardava il semidio da trovare nè per quanto riguardava l'altra questione.
E in quel momento stavamo dando prova della nostra profonda maturità: ci stavamo contenendo l'ultima fetta di torta. Vi basti sapere che alla fine la cedemmo ad Olly, entrato in quel momento in cucina.
Una volta che si fu esclissato di nuovo con il suo prezioso bottino, Brenda richiamò l'attenzione. Sì. Brenda. No, non avete capito male. No, non ho capito male io. Brenda. Quella. Brandy.
- Che paesi mancano?
- Quelli vicini li abbiamo già passati tutti al setaccio- rispose borbottando Gyls, aprendo sul tavolo la cartina della regione che avevamo recuperato in un'edicola tutta sgangherata e ricoperta di dipinti fatti con la bomboletta.
Poi cominciarono ad elencarli. Gyles diceva il nome dei paesini, uno alla volta, e Brenda rispondeva con uno svogliato "C'è l'ho", senza nemmeno ascoltare quello che stava dicendo l'altro. E sì che era stata proprio le poco prima a richiamare alla serietà. Quanta ipocrisia a questo mondo.
Anche, a ben vedere, la capivo. Ormai iniziavo a perdere il segno anche io. Erano sempre gli stessi nomi, gli stessi posti.
Già sentito.
Già sentito.
Già sentito.
Sì, ci eravamo stati il giorno prima.
Già sentito. Ah, era stato lì che avevamo preso quella cartina. Un paesino più utile degli altri insomma.
Già sentito.
Mai sentito.
Già...
- Aspetta- scattai. Quel nome mi era nuovo. Non l'avevo mai sentito prima. Eppure, era tremendamente familiare.
- Cosa?- fece Brenda, intontita da quell'elenco di nomi insensati.
- Com'è l'ultimo che hai detto?
- Bernate?
- No, quello prima.
- Casate?
- Sì.
- Cos'ha di strano, scusa?
- Non l'ho mai sentito.
- Te lo sarai persa le altre volte- tagliò corto Brandy, ma a questo punto anche Gyls si era risvegliato dal torpore.
- Ma è segnato sulla mappa- protestò.
- No. Sulla mappa abbiamo segnato Bernate, non Casate.
E qui, sia Brenda sia Gyles cedettero agli improperi più coloriti. Devo dire che non li avevo mai sospettati tanto fantasiosi.
- Quando avete finito...
- Un minuto- mi bloccò la figlia di Ares, sollevando un dito. Poi si alzò, si affacciò alla finestra della cucina (che spalancò con malagrazia), prese fiato e urlò con quanto fiato aveva in gola - Cazzo.
Quante cose si imparano viaggiando. Anche le parole più colte e raffinate. E lei, naturalmente, le aveva subito apprese. Non che avessi idea di cosa significasse, e probabilmente non lo sapeva nemmeno lei, ma calzava proprio a pennello in quel momento.
- BRENDA- gridò in risposta la voce di Chiara dal piano di sopra. Di sicuro lei sapeva cosa voleva dire. Forse avremmo potuto chiederglielo.
- Ok, ci sono.
- Bene.
E così, ci rimettenmo all'opera.

Quando terminò la consulta era sera tarda e noi eravamo stati cacciati fuori dalla cucina già da una mezz'oretta perché Beppe stava per aprire le danze (stava per iniziare a spadellare).
Brenda era sparita di sopra e noi due eravamo rimasti a rimuginare a lungo esattamente come ci aveva lasciati: io sulla poltrona e lui sul divano. Ormai c'erano i posti fissi. Anche se ancora dovevo capire come facessi quasi ogni mattina a svegliarmi sul divano. Ma ci avrei pensato poi. Non era poi così importante al momento.
- Come va?- domandai, accennando alla spalla. Si era ripresa bene, e in fretta, e non era a quello che mi riferivo; non esattamente almeno.
- Bene. Non fa più male, non è rimasto che un graffietto e muovo senza problemi la spalla- mi squadrò un attimo, poi dichiarò - Ma questo lo sapevi già- ed io non potei fare altro se non annuire - È per quel che ha detto?
- Anche. Più che altro è per quel che ha fatto. O meglio, che non ha fatto. Non mi ha attaccata. L'hai vista anche tu, no?- annuì - Ecco... perché? Mi ha riconosciuta, in qualche modo. E poi, cosa c'entra lei? Non le è mai importato di me, perché mi aiuta proprio ora che siamo venuti nelle Terre Antiche per ostacolarla?
- Magari non lo sa?- gli scoccai un'occhiataccia e per fortuna comprese - D'accordo, era solo un'idea. Allora... che ne dici dell'affetto familiare? Ha riscoperto l'importanza di avere una famiglia che ti ama e che ti vuole bene e...
- Allora se la deve andare a cercare, o creare, da un'altra parte. Qui di sicuro fa un buco nell'acqua- ringhiai. No. Non era quello il motivo di sicuro. Ma allora quale? Mi arrovellavo su quell'interrigativo da quando quella dracena si era ritirata, da quando aveva rinunciato all'attacco. Perché?
Sbuffai, esasperata da quell'assurdo gioco di Nemesi, e schiacciai la faccia contro il tessuto della poltrona.
Chissà, magari in apnea avrei trovato la soluzione.
Ero voltata di spalle. Ero voltata di spalle e avevo la faccia premuta contro la poltrona. E Gyles ne approfittò.
Mi accorsi troppo tardi del cuscino che impattò senza pietà sulla mia nuca.
Ma chi era tanto bacato da tenere dei cuscini così duri sul divano?
- GYLES EDWARD SCOTT...
- ...stavo scherzando- mormorò, mascherando le risate.
- ...SEI UN DECEREBRATO!
- Ei! Era soltanto un cuscino- e, prima che potesse reagire, glielo resituii. Diritto dritto in faccia.
Occhio per occhio. Era la legge fondamentale.
E poi, aveva una faccia buffa, con il naso arrossato e uno sguardo assassino che troppo stonava con quel suo solito sorriso, che ancora aveva bello stampato sulle labbra.
- RAGAZZI- a richiamarci all'ordine fu l'urlo di Chiara che dal piano di sopra doveva aver sentito i miei toni soavi e probabilmente faceva a meno di vedersi scoppiare una guerra civile in casa.
- Infimo traditore- sibilai, mentre mi alzavo per andare a recuperare la sacca.
- Vendicativa- su, un po' più di fantasia. Ero figlia di Nemesi, mio malgrado, certo che potevo risultare un pochino vendicativa, alle volte. E parve intenderlo anche lui, perché corresse il tiro - Cesare.
Ecco, forse non tutti sanno di questa bella storiella su Cesare. Si dice che, da giovane, fosse stato catturato dai pirati (lasciamo perdere la storia del riscatto, o diciamola in breve: s'era offeso per la somma troppo modesta richiesta dai pirati) e che, per la durata della sua prigionia, li avesse insultati e derisi in ogni modo, promettendo loro che si sarebbe vendicato: li avrebbe fatti catturate e crocifiggere. Dopo esser stato liberato dai suoi amici, radunò un piccolo esercito e marciò sull'isolotto dov'erano accampati e li fece crocifiggere direttamente sul posto. Dimostrò così di essere un uomo di parola.
Ed è ad oggi uno degli esempi preferiti di Gyls quando deve citare una qualche vendetta. Come in quel momento.

Quella notte, tormentata dall'idea che avevamo una nuova pista da seguire, non riuscii a dormire.
E poi, quella maledetta busta sembrava più ingombrante del solito, lì nascosta nella tasca della felpa. Non sapevo spiegarmene la ragione, ma la sera avevo iniziato a tenere stretto quel prezioso e odiato messaggio, distaccandomene malvolentieri la mattina dopo per evitare di perderlo o strapparlo.
- Ci provi almeno?- domandò la voce impastata dal sonno del mio migliore amico, facendomi sussultare. Da quanto era sveglio?
- Dormi Gyls. Domani sarà una lunga giornata.
- Lo so. Per questo dovresti dormire a...- sbadiglio - ...nche tu.
- Sì mamma- lo canzonai, senza riuscire a impedire agli angoli della bocca di sollevarsi.
E (davvero, ancora non capisco come faccia... che sia un'abilità dei figli di Apollo quella di percepire i sorrisi della gente?) lui parve accorgersene, perché commentò con un - Quindi quando nessuno ti vede sorridi anche?- un po' biascicato dal sonno.
- Dormi, dai- lui protestò e dichiarò che no, non aveva intenzione di tornare a dormire se non facevo lo stesso anche io. Peccato che, nemmeno cinque minuti dopo, quel lieve russare aveva già riempito di nuovo il salotto.
C'era un orologio a pendolo. Continuava a ticchettare, leggero leggero, lì a far da sottofondo ai miei pensieri assieme al ronfare di Gyls, e a scandir le ore.
Ad un tratto battè le due di notte.
Avevo sonno, terribilmente sonno, eppure non riuscivo a dormire. C'era qualcosa che mi teneva sveglia.
La casa taceva, completamente, e fu per questo che sembrò stesse passando un elefante quando mi accampai in cucina.
Stavo mettendo a bollire un po' d'acqua per fare una camomilla, quando qualcosa andò a sbattere contro la porta a vetro con un tonfo che, nel silenzio surreale dell'edificio, fece tremare le pareti.
- Gyls- sussurrai, aprendo la porta che mi ero chiusa alle spalle poco prima per contenere il rumore.
- Ahia- fu l'unica risposta del mio amico, che con una mano si massaggiava la fronte offesa e con l'altra si stropicciava gli occhi impastati dal sonno.
- Non volevo svegliarti- mi scusai, finendo di litigare con il fornello a gas che non voleva saperne di accendersi.
- Tranquilla. Non stavo dormendo- certo, e io avevo due teste.
- No- lo assecondai - Stavi soltanto ronfando.
E lui brontolò qualcosa di incomprensibile ad orecchio umano, recuperando due tazze dall'armadietto.
- Sicuro di aver bisogno di una camomilla?- provai a scherzare, senza perderlo di vita con la coda dell'occhio: sia mai che andasse a sbattere di nuovo.
- Faccio un caffé- fu l'unica risposta.
- Sono le due di notte. Davvero vuoi bere del caffè alle due di notte? Un espresso, per di più?- lui annuì e scrollò le spalle. Del resto, una delle prime cose che aveva chiesto al padre di Chiara era stato come mettere su un caffé.
- Almeno sincronizziamo gli orologi sonno-veglia, no?- boffonchiò, soffocando uno sbadiglio.
- Scusa. Davvero, non volevo svegliarti- ma lui scacciò la questione come si potrebbe fare con una mosca.
- Cosa succede?
- Nulla. Perché?
- Una sensazione, sai... forse il fatto che alle due siamo in cucina a parlare invece che a dormire beatamente mi ha dato l'impressione che ci fosse qualcosa che non era proprio al suo posto... ma devo essermi sbagliato, suppongo- commentò, voltandosi finalmente verso di me e sfidandomi con lo sguardo a dargli torto.
No. Aveva ragione. Perfettamente ragione. E poi, che male avrebbe fatto dirglielo?
- D'accordo.
L'acqua era sul fuoco ed entro poco avrebbe iniziato a bollire, così sfilai la busta dalla tasca e la appoggiai sulla tavola spoglia.
Lo osservai in silenzio mentre si avvicinava alla lettera e la prendeva in mano, rigirandosi fra le dita quella carta vuota.
- Cos'è?
- Me l'ha data Chirone poco prima che partissimo- ingoiai a vuoto, prima di proseguire - C'è scritto chi è mio padre. Forse c'è anche una sua foto.
Mi inumidii le labbra e mi zittii, di nuovo in dubbio sull'assennatezza di rivelargli quella debolezza.
Gyls rimase in silenzio a lungo e quando si decise a parlare io stavo già bevendo camomilla e lui stava versando il caffè in una tazzina.
- Cosa vuoi farne?- domandò quindi, squadrandomi da sopra il fumo della bevanda.
- Non lo so- ammisi. C'era qualcosa in me che pretendeva delle risposte e al contempo qualcos'altro che si dibatteva e tentava di fuggire da quelle stesse.
- Non lo so- ripetei. Non ne avevo idea. Non ne avevo onestamente idea.
- Se poi vorrai una mano...- iniziò, lasciando poi cadere la frase senza riuscire a concluderla. Si morse le labbra e tacque, limitandosi a fissarmi in attesa di una risposta e a girare il cucchiaino nella tazzina per ammazzare l'attesa.
- Penso che due mani siamo sufficienti per aprire una busta, ma grazie- tagliai corto. Aveva le migliori intenzioni, era ovvio, ma era una cosa che dovevo fare io, se mai l'avessi fatta. Accettare quell'offerta equivaleva all'incirca a rivelare un punto scoperto, un troppo facile bersaglio.
Gyles strinse le labbra e nei suoi occhi guizzò un qualcosa, una scintilla fosca che non seppi decifrare; subito dopo, però, era tornato quello di sempre e, gettata un'ultima occhiata al fondo vuoto della tazzina, si alzò in piedi e decretò che era veramente troppo tardi che che avrebbe veramente fatto meglio a tornare a dormire.
E, contrariamente a quanto mi sarei aspettata, ci addormentammo entrambi in men che non si dica.

Occhio per Occhio - La legge fondamentaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora