V - I Romani e la loro maledetta saggezza

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Dire che il giorno dopo andai a colazione con il morale a terra sarebbe un eufemismo: in confronto, la mattina prima ero vivace come un raggio di sole.
E non riuscivo proprio a togliermi dalla testa il fatto che Di Angelo avesse chiesto un favore a mio fratello. Avevo provato a convincermi che non fossero fatti miei, ma avevo come la terribile sensazione di starmi sbagliando.
Così, preso il coraggio a due mani, mi ero avviata a passo spedito verso la cabina di Ade, già pronta a bussare alla porta.
- Non c'è- annunciò una voce alle mie spalle, facendomi sussultare.
Mi voltai di scatto, come colta in flagrante da un adulto, ritrovandomi a fronteggiare la figlia di Plutone, in visita al Campo per qualche giorno. Sarebbe ripartita quella mattina per il Campo Giove, da quel che avevo sentito dire.
- Sai quando tornerà?
- No. Potrebbe essere domani come fra una settimana- ammise, con quel sorriso dolce ad illuminare gli occhi d'oro - Perché volevi parlare con mio fratello?
- Nulla di importante- provai a svincolare, ma ormai il danno era fatto: non ero particolarmente amica con Di Angelo, anzi, si potrebbe dire che ci avevo parlato a malapena una volta o due, non potevo essere passata solo per salutare.
- Farren- mi sorprese non poco che una dei Sette, la figlia di Plutone, una maga, conoscesse il nome di una figlia di Nemesi senza alcun valore, ma fui svelta a mascherare lo stupore.
- Ha parlato con il mio- mi arresi, sibilando fra i denti - Ed ora voglio sapere il perché.
- Tuo fratello... Damian, giusto?- domandò cautamente. Sapeva anche lei che Nico Di Angelo poteva aver benissimo parlato con il maggiore dei figli di Nemesi, il più conosciuto dei tre, l'eroe traditore, la bilancia della cabina 16. Anche nell'Elisio.
- Damien- la corressi, cercando di essere il più cortese possibile. Dopotutto, era una cara ragazza e mi sarebbe dispiaciuto non poco trattarla male involontariamente, come mio solito; soprattutto perché era una delle poche persone al Campo a non tenersi rigorosamente lontana da me, nemmeno fossi sempre in aguato con la scure pronta a calare ad ogni minimo errore.
- E no, non è lui. Sto parlando di Ethan Nakamura, credo tu sappia chi fosse- e lei annuì brevemente: dovevano averle raccontato qualcosa su di lui.
- Perché mio fratello gli avrebbe parlato?
- Me lo sto chiedendo anch'io- borbottai, prima che un'idea improvvisa mi colpisse - Gli ha chiesto un favore, forse tu sai di cosa si tratta.
Mi aspettavo una sua risposta negativa, ma non per questo ne rimasi meno delusa. Lei non sapeva nulla e chissà quando sarebbe tornato Nico. Potevo non avere tutto questo tempo prima che Chirone ordinasse l'impresa, se i calcoli di mio fratello erano esatti.
- Grazie comunque- e, senza aspettare una risposta, mi allontanai con le mani in tasca, tentando di nascondere la mia andatura un po' zoppicante.
Decisamente, la giornata non oiteva andare peggio.

Ho già detto che dovrei imparare a tenere la bocca chiusa? I Romani dicono che la Fortuna è cieca, ma sono in molti a sostenere che la sfiga ci veda benissimo. Ecco, in quel momento avevo come l'impressione che avessero ragione.
A quanto pareva, mio fratello era stato appena bocciato a matematica, perché Chirone ordinò l'impresa prima di quanto mi aspettassi.
Quella mattina, allo scadere del coprifuoco, erano arrivate al Campo due Cacciatrici, con i loro giubbotti argentati e gli archi in spalla, e quell'aria troppo seria che non faceva presagire nulla di buono. Si erano trattenute per colazione, ma erano sparite di nuovo prima ancora che la notizia facesse il giro della baia.
A differenza di molti campisti, avevo sempre apprezzato la presenza delle Cacciatrici; soprattutto se questo significava una partita di Caccia alla Bandiera.
E poi, doveva essere una bella vita, la loro. Lontane dai problemi di cuore che stringevano molti, troppi, miei coetanei e libere di fare quel che volevano, nei limiti consentiti dalla dea, ovvio.
Gyles, però, non la vedeva esattamente al mio stesso modo. Soprattutto da quando Alicia, la sorella da cui non si separava mai, aveva lasciato il Campo di notte, ricomprendo mesi dopo assieme alle Cacciatrici di Artemide.
Vi lascio immaginare il successivo colloquio.
Quindi, non c'è da stupirsi nel sapere che il mio amico aveva in odio quella ragazze con le giacche grige, come si ostinava a chiamarle. Non credo abbia più parlato con sua sorella dal giorno di quella litigata tremenda che, alla fine, mi aveva vista come giudice della disputa. Escludendo guerre, mostri e dei, direi che quello era stato uno dei giorni peggiori della mia vita. Figurarsi di quella di Gyls.
Forse fu per questo che, quando lo rividi dopo colazione, nascosi velocemente il dépliant delle Cacciatrici in una tasca dei pantaloni e omisi un dettaglio molto importante: una delle due era proprio Alicia.
-Buongiorno Fairy- salutò vivacemente quella voce alle mie spalle, facendomi sussultare e imboscare in tutta fretta il volantino, che sapevo l'avrebbe fatto soltanto soffrire. Razionalmente non sapevo nemmeno io perché l'avessi preso; c'era qualcosa, però, che mi diceva che non ne potevo davvero più di quella vita, spesa rinchiusa all'interno della barriera, senza trovare il coraggio di uscire e affrontare quel mondo esterno a me ignoto. E che forse, quel dépliant poteva essere una buona via di fuga. Senza considerare Ethan, senza considerare nessuno; parlando soltando per ipotesi, solo per il gusto di far viaggiare la mente su scenari irrealizzabili.
- Ciao- fu tutto ciò che la mia coscienza sporca riuscì ad articolare.
Evidentemente non aveva ancora saputo, o non sarebbe stato di umore tanto allegro. E di certo non sarei stata io a dirglielo.
- Oggi non hai scuse per fare il muso- frena frena. Primo, c'è sempre una "scusa" per fare il muso. Secondo, non aveva nemmeno idea di che pasticci stessero per capitarmi fra capo e collo; anche se forse non lo sapevo davvero nemmeno io.
Mi morsi le labbra per non rispondergli a tono e rivelare troppo di quel che stava succedendo e mi limitai ad annuire. I semidei, però, dopo poche estati al Campo imparano a fiutare i guai come cani da tartufo, e Gyles non era da meno.
- Che è successo?- appunto.
- Nulla.
- Certo- mi canzonò.
- Non devi andare ad allenarti con i tuoi fratelli?- in teoria era lunedì e lui di certo non era il capocabina e di sicuro non aveva un giorno di pausa. Io mi ero autoconcessa questo onore (fingendo di studiare la Teogonia di Esiodo, che ormai sapevo a memoria, sugli spalti dell'arena) più per i troppi pensieri che per il taglio alla gamba. Dopotutto, al momento quello era il minore dei mali.
- Sì- ammise, gettando un'occhiata alla sua cabina, che stava tentando di allenarsi con la spada, anche se alcuni stavano riscontrando notevoli difficoltà. Bisogna dire che, senza Gyls, l'abilità media con la spada saliva notevolmente.
- E allora cosa ci fai qui?- lo presi in giro, dandogli uno spintone e facendolo spostare di qualche passo.
Lui finse un broncio e borbottò un - Sei odiosa- prima di voltarmi le spalle, afferrare di nuovo la pesante spada e scendere i gradini a due a due.
Cosa non faceva pur di saltare quel genere di allenamenti. Mi sarei messa persino a ridere, se solo una figura sgradita non avesse fatto la sua entrata proprio in quel momento nel mio campo visivo, facendo scomparire in un momento ogni cenno di sorriso in me.
Ero convinta che la giornata non potesse peggiorare? Beh, le Parche mi avevano appena dimostrato di avere più fantasia di me.
Come mi ritrovai a parlare proprio non quella figlia di Ares rimane un mistero. Probabilmente, soffermandomi a pensarci un attimo, troverei facilmente una risposta: non mi aveva lasciato molta scelta. Ma meglio non indagare.
-Ei, figlia di Nemesi- mi apostrofò, esattamente come il giorno prima. E come il giorno prima avrei tanto voluto colpire ripetutamente i gradoni con la fronte. Forse era solo un brutto sogno e mi sarei svegliata alla svelta e quell'indesiderata sarebbe evaporata. O forse sarebbe scomparsa a causa di un mio trauma cranico dovuto ai ripetuti impatti con gli spigoli pietrosi. Ma almeno, in un caso o nell'altro, non sarei più stata costretta a rivederla.
Avevo agito bene aiutandola? Per la mia coscienza sì. Questo voleva dire che la sconfitta non mi bruciasse? Assolutamente no. Erano almeno tre anni che non perdevo un duello e quello smacco mi sarebbe rimasto appiccicato addosso ancora a lungo.

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