XXI - Un figlio proibito

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Mi sentivo osservata: decine di sguardi erano puntati nella nostra direzione e ci trapassavano da parte a parte, scrutandoci con attenzione.
Molti si erano fermati, al nostro arrivo, per osservarci. Un ragazzino, addirittura, si era bloccato con il grasso per selle ancora stretto in mano.
Evidentemente, la notizia della visita di compagni giunti dal nuovo cuore della civiltà occidentale doveva aver attirato profondamente l'attenzione.
La prima cosa che notai fu la disciplina. Erano tutti nostri coetanei, tranne qualche ragazzino più piccolo come Lucrezia, ma nessuno aveva più di vent'anni. Eppure, erano tutti irreversibilmente seri, troppo per degli adolescenti.
Il passo scattante e cadenzato, i corpi già pronti a scattare, le lance già strette nei pugni di qualcuno... tutto lasciava trasparire che si preparavano od erano reduci di una qualche azione bellica.
Alcuni di loro portavano ancora gli elmi in capo o sottobraccio e i pennacchi ondeggiavano, frustati dal vento pungente di quel pomeriggio assolato. Ed erano pennacchi color vino, seppur un poco impolverati.
Poi notai le armi. Lucenti nonostante la polvere e lo sporco, brillanti alla luce cocente del sole.
Quei ragazzi erano armati da testa a piedi, con intere armature e in perfetto assetto da guerra.
Alcuni portavano armi d'oro imperiale che quasi infastidivano alla luce del sole, con uno scutum ciascuno, un gladius ancora nel fodero e un pillum stretto in mano.
Altri, invece, erano armati alla maniera oplitica, rivestiti di bronzo celeste da testa a piedi e con olpa dipinti con colori vivaci e rifiniti con i simboli dei rispettivi genitori divini.
In quel momento ci passò davanti una ragazza, con un ghigno sprezzante in volto e uno sguardo di sfida, che portava uno oplon su cui svettava una biga, simbolo di Nike. Anche lei portava un elmo sottobraccio.
Poi un suono cupo, vibrante, risuonò nell'aria, subito seguito da un eco molto simile che dilagò per tutto il Campo, scuotendolo fin nelle fondamenta.
Subito sussultai, portando una mano alla vita per prendere la spada.
Impiegai qualche istante a rendermi conto della sua natura: era un grido. Forse un saluto, forse un avvertimento.
Una figura armata alla greca, ai piedi del portico, aveva lanciato il grido alzando la lancia in aria, subito imitato da quelli che lo circondavano.
Tancredi sfoderò la spada e rispose al saluto.
Solo a quel punto i campisti parvero scongelarsi, tornando alle normali occupazioni, nonostante quasi tutti continuassero a gettarci occhiate curiose.
Uno snello gruppo, però, si avvicinò, dirigendosi col medesimo passo nella nostra direzione, gli elmi infilati sotto il braccio sinistro e la lancia stretta nel pugno destro, alcuni armati alla latina, altri alla greca. Tutti, però, tenevano gli occhi puntati addosso alla nostra guida e uno di loro salutò con un cenno del pillum Lucrezia, che chiudeva il nostro piccolo corteo.
La figura che aveva lanciato il saluto si fece avanti e lasciò che il dory si appoggiasse alla sua spalla con naturalezza, quasi senza badare alla punta affilata che era passata a poca distanza dal volto coperto dell'elmo.
Solo a quel punto sfilò il cimiero e se lo mise a sua volta sottobraccio, prima di porgere il braccio destro a Tancredi e lasciare che il suo viso si aprisse in un sorriso sincero.
Questi ricambiò la stretta di slancio, quasi avesse ritrovato un vecchio amico, e sorrise a sua volta, senza lasciare l'avambraccio del compagno per lunghi minuti e senza mai distogliere del tutto lo sguardo da quello magnetico di fronte a lui per il resto del pomeriggio.
E l'altro non fu da meno.
-Ei amico, non ci presenti?- domandò uno un poco più piccolo, facendosi avanti a sua volta. Era ricoperto di oro imperiale e portava, appena sotto i corti capelli a spazzola, una fascia rosso sangue, che troppo si abbinava con gli occhi scuri come la pecce, sempre attraversati da un bagliore vermiglio.
-Impaziente il piccoletto- commentò, beffarda, una ragazza poco distante, alta e muscolosa, dal corpo che pareva quasi scolpito nel marmo, con un lucido oplon appoggiato contro gli schinieri sfalsati e lavorati finemente con semplici motivi floreali. Su uno sfondo color cobalto, spiccava una civetta bianca, dallo sguardo tanto sveglio da sembrare senziente.
Mi scrutò un istante, con quei profondi occhi nocciola, poi il suo viso si aprì un un sorriso un poco più cordiale e aggiunse - Ce ne avete messo di tempo per accorgervi di noi.
- Lilian, concedi loro almeno il tempo per riprendere fiato- commentò Tancredi, voltandosi finalmente nella sua direzione. Strinse la mano anche a lei e le sussurrò qualcosa che solo lei comprese, ma si fece incredibilmente seria ed annuì, poco prima di congedarsi e sparire all'interno della villa.
Il giovane di poco prima si avvicinò all'amico e gli sussurrò qualcosa, e la mostra guida sospirò, poi annuì mestamente, e l'altro fu scosso da un tremito di terrore. Fece per dire altro, ma il castano lo interruppe con una semplice occhiata, che non aveva bisogno d'esser tradotta in inglese: non era quello il momento. Così, lui annuì e tacque per un poco.
-Ragazzi, questi sono Farren- mi scoccò un'occhiata, quasi a chiedere conferma, ed io annuii - Gyles- altra esitazione - e Brenda.
Poi, il gruppetto davanti a noi iniziò a sua volta con le presentazioni e mi resi conto così che non c'erano soltanto italiani in quel campo: c'erano anche francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi, greci, scandinavi, polacchi, russi, macedoni, egiziani, finlandesi, indiani e chi più ne ha più ne metta. E tutti convivevano pacificamente, all'insegna di un interesse comune: sopravvivere.
-Giacomo, piacere- un romano.
- Alex- un altro.
- Augustin, lieto di coniscervi- un greco, che sorrise in particolare modo a Gyls. Solo dopo scoprii il perché: era figlio di Apollo e doveva aver in qualche modo riconosciuto il fratello.
- Ester- una romana.
- Tecla- una greca, dal grande oplon dipinto di rosso splendente e sormontato da un arco con incoccata una freccia dalla punta a forma di cuore. Era una figlia di Eros, mi resi conto con orrore. Eros, di cui troppe storie parlavano. Eros, che con una sola delle sue frecce poteva piegare anche il più forte dei guerrieri alla sua volontà. Come poteva annientarlo con una delle sue frecce d'argento, logorandolo dall'interno del suo cuore.
- Aalok- proseguì un altro, vestito alla greca, dalla pelle bruciata dal sole e caldi occhi color cioccolata.
- Zainab- una greca figlia di Demetra.
Solo a quel punto il giovane che per primo aveva salutato il vecchio amico si riscosse e si presentò a sua volta - Ryan, onorato- sorrise e i magnetici occhi color del cielo scintillarono, vivi e rapidi come quelli di un'aquila.
E soltanto in quel momento mi accorsi del simbolo impresso sullo scudo, di quel fulmine che avrei dovuto notare fin dall'inizio.
Un figlio proibito. Un figlio dei Tre Pezzi Grossi di cui però nessuno sapeva nulla. Un figlio proibito nelle Terre Antiche. E probabilmente, dall'accento e dal nome, doveva aver viaggiato a lungo per raggiungere il Campo. Che cosa doveva aver passato, quel ragazzo, prima di arrivare? Eppure, la sua mente sembrava stranamente in pace, quasi quanto quella di Gyls in situazioni normali. C'era soltanto un rimorso, un feroce rimorso che tentava in tutti i modi di vincere la sua mente, ma lui non cedeva. Non ancora.
A riscuotermi fu proprio Gyles, che, accortosi di quel che stavo facendo, si affrettò a riscuotermi prima che qualcun altro se ne accorgesse e iniziasse a fare domande. Mi scrutò un attimo, per capire cosa di quel semidio avesse attirato la mia attenzione, ed io accennai allo scudo. Lui annuì soltanto, mesto. Un altro. Zeus avrebbe dovuto imparare a darsi una controllata.
Non che avessimo qualcosa contro Ryan, sia chiaro, non ci aveva fatto nulla; era il re degli dei il problema, era il caro nonnino del mio amico il problema.
Un rumore, come di esplosione, attirò la nostra attenzione e tutti ci voltammo verso uno dei capanni nascosto fra gli alberi, da cui si levava del fumo denso e scuro.
I romani si scambiarono un'occhiata, poi si precipitarono verso la costruzione, mentre Ester gridava qualcosa ad un ragazzino, uscito in quel momento dal capanno e con il volto ricoperto di fuliggine.
-Bene- commentò Ryan, osservandoci a braccia incrociate, fingendo di non aver notato il nostro stupore alla vista del suo scudo e mascherando il disagio con troppa disinvoltura per non esserci abituato da tempo - Gli faccio fare io un giro o fai tu?
- La situazione com'è?- domandò in risposta il giovane.
- Buona- replicò il rosso, scuotendo il capo, quasi divertito - I ragazzi si stanno riprendendo, più che altro sono stanchi e arrabbiati, ma Roxana sta facendo un buon lavoro e presto vedrai che resterà ben poco malanimo.
Nessuno interruppe quel colloquio, fra i giovani rimasti. Restarono semplicemente lì, in attesa, quasi aspettassero degli ordini.
Dal modo in cui avevano salutato Tancredi, dal modo in cui lo trattavano, gli parlavano, lo ascoltavano, da come si porgevano nei suoi confronti, anche solo da come lo guardavano, doveva avere un ruolo importante in quel Campo, forse addirittura di comando. E da come tutti tacevano quando Ryan parlava era evidente che anche lui godesse di grande rispetto, forse quasi quanto Percy Jackson ne godeva nel nostro.
- Feriti?- domandò Tancredi, volgendosi verso Augustin e Aalok.
Quest'ultimo, scambiato uno sguardo col fratello, rispose - Meglio. Martine e Nikita li hanno sistemati quasi tutti.
- Specifica "quasi"- e notai che Ryan spostò lo sguardo su Aalok, quasi intimandogli di tacere. Compresi chi dovesse essere quel "quasi": era il figlio di Zeus che, per presunzione o per fretta, doveva aver saltato l'infermiera.
I due figli di Apollo chinarono lo sguardo, scambiandosi un'occhiata incerta.
- Ora- soggiunse Tancredi e Augustin capitolò, senza guardarlo in faccia.
- Un ferito... non grave, tranquillo- si affrettò ad aggiungere - ... non ha ritenuto necessario farsi controllare.
Gli occhi di Tancredi schizzarono sull'amico, che rimase impassibile sotto quell'analisi, senza bisogno di altre specifiche. E non smise di osservarlo, neppure mentre finiva di chiedere un resoconto.
Poi, riprendendo la domanda iniziale di Ryan, dichiarò che ci avrebbero accompagnati entrambi e potei quasi vedere le spalle del figlio di Zeus precipitare verso il basso.
Quando il resto del gruppo fu congedato, il rosso si avvicinò al compagno, osservandolo un istante prima di commentare - Non è tanto grave- con quel suo strano accento morbido e dolce.
Tancredi rispose senza pensare nella sua lingua madre e noi non capimmo più nulla della conversazione. Almeno, fino a quando Ryan non sbottò, sollevando le braccia con fare esasperato - C'erano questioni più urgenti. I miei avevano bisogno di me, e anche i tuoi.
Gli scoccò un'occhiata truce ed un tuono rombò in lontananza, facendo sussultare Gyls e qualche altro campista.
Tancredi strinse l'attaccatura del naso fra le dita e inspirò a fondo, massaggiandosi la fronte. Poi sospirò e si voltò verso di noi.
- Vi va di cominciare dall'infermeria?- domandò, ma senza aspettare davvero una risposta: ci avrebbe trascinato il suo amico, che lo volesse o meno.
Questi, però, non si oppose e si lasciò condurre, docile, fino alla struttura dov'eravamo diretti.

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