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Ho sempre amato osservare le persone, i loro gesti rivelano molto più dei mille discorsi contorti che potrebbero fare.
E così perdo la mia fermata del tram, perché sono distratta da una coppia che si bacia, o da un bambino che mi sorride.
Se c'è la pioggia la guardo per ore, mi piace toccare le goccioline attraverso il vetro della mia finestra e, seguire il lento percorso che la gravità impone a ogni goccia.
La mia vita scorre tranquilla, come un laghetto in mezzo al verde, fino a che qualcuno non ci butta un sasso e il pelo dell'acqua si increspa.
Il sassolino scivola giù, posandosi sul fondo, sul fondo dell'anima.

🔸

"Tesoro, dobbiamo parlare."
Giacomo, mio padre.
L'uomo più alto che avessi mai visto.
Per anni l'ho guardato dal basso, quando era ancora un uomo e non l'ombra di esso.
Avevamo un negozio di artigianato e spesso, da piccola, facevo compagnia a papà nello "Store del fatto a mano."
Mi piaceva vederlo creare qualcosa dal nulla, dando forma a qualsiasi cosa, legno, resina, vetro... Perfino la carta!
Dal mio piccolo mondo, vedevo le rughe consumargli lentamente il viso stanco, guardavo i suoi capelli combattere contro le tinte che si ostinava a usare, per apparire più giovane.
Dopo tanti anni di attività, il negozio chiuse e da lì cominciarono tutti i nostri guai.

"Dimmi, papà."
Faceva caldo, benché a breve sarebbe arrivato il Natale.
Scacciai tutti i brutti ricordi legati a quella festa insulsa e mi apprestai a seguire l'uomo con i tratti così simili ai miei.
Camminava davanti a me, come per indicarmi il percorso da seguire, e io mettevo i passi dove li metteva lui, anche se quella era casa mia quanto sua.

Mi indicò la poltrona sulla quale era solito consumare un sigaro e leggere un giornale della quale non capiva la gran parte delle parole che leggeva.
Mi lasciai scivolare dentro quel grande ammasso di pelle marrone e dondolai i piedi perché non toccavano terra: a differenza di mio padre ero molto bassa.

"Vedi piccola, da quando abbiamo chiuso il negozio e la mamma..."
Lo fermai.
C'era qualcosa di serio sotto se papà nominava la donna innominabile.
Sette anni prima la sua bella moglie inglese Annie, dalla quale avevo ereditato la carnagione mulatta, l'aveva lasciato marcire a Trapani, per tornare nella nebbia di Londra, tra l'umidità e la compostezza di chi un sorriso se lo scambiava solo per pura cortesia.

"Arriva al punto, sono abbastanza grande, ormai."

Se per abbastanza grande si può intendere una ragazza di diciassette anni. Impari in fretta che se vuoi essere considerata grande, devi comportarti come tale.
Ormai non andavo nemmeno più a scuola, dovendo aiutare mio padre in casa. La nonna non voleva saperne niente di lui, dopo che aveva sposato una nera inglese; era molto vecchio stampo.

"Sophie, devi andartene."
Come andare dritto al punto.
Ma del resto avevo chiesto io chiarezza.
Ingoiai saliva a vuoto, cercando di capire in che guaio si fosse cacciato stavolta quel poveraccio di mio padre.

"Che sta succedendo?"
Chiesi, cercando una calma che non provavo affatto.

"Ascolta, so che sono un pessimo padre e non ti biasimo per quello che pensi di me, ma devi andartene da qui e, presto anche."

Mi crucciai.
Qualcosa di grosso bolliva in pentola.
Per anni avevo subito le conseguenze dei comportamenti di mio padre, bevendo il meglio di lui da quel poco che ne rimaneva.
Assaggiando le sue gioie, anche se passeggere.
Aveva fatto molti errori nella vita, per certi versi era anche un ingenuotto, ma mai avrei creduto possibile che mi scacciasse, un giorno.
Avevo provato ad aiutarlo quando tornava a casa ubriaco per la tristezza, l'avevo rimesso in piedi e avevo curato le sue ferite, avevo provato persino a capirlo quando buttava il suo misero salario da operaio, lavoro che odiava, in scommesse che non sarebbe mai riuscito a ripagare, o vincere.

"Mi sono indebitato e molto." Pronunciò, e io non ci trovai proprio nulla di nuovo nelle sue parole.

"E quindi?" Infatti chiesi.
Mi mossi un po' a disagio sulla poltrona, doveva avere qualcosa di difettoso perché sentivo una molla premermi contro il sedere, ma del resto, l'intera casa cadeva a pezzi.
La puzza di muffa impregnava l'aria, malgrado le mie mani fossero consumate di candeggina.
Le pareti erano ingiallite dagli innumerevoli sigari e sigarette che quel balordo continuava a consumare, potendosi permettere quelle, ma non un secchio di vernice per ritinteggiare.
Guardai l'unica famiglia che mi era rimasta dritta negli occhi.
Pareva stanco.

"Mi sono indebitato fino al collo con gente poco raccomandabile, devi andartene prima che ti usino come merce di scambio. Vai da tua madre, impara l'inglese e inventati una vita nuova, lontano. Potresti essere felice senza di me, via da questa fogna." Indicò la casa, mentre io sospiravo.
Sapevo già della vita che avrei potuto vivere, un extracomunitaria nel mondo.
Niente più Filippo, niente più Giada, con i suoi modi altezzosi e niente più papà, più nessuno da proteggere.

"No."
Risposi soltanto.
Mi alzai da quella poltrona malefica e mi apprestai a uscire, cercando di chiudere il discorso con quel semplice gesto.
Mio padre si fiondó su di me, scuotendomi per le spalle, forse per farmi tornare in me.

"Pazza! Capisci che ti prenderanno? Ti useranno come una puttana e poi ci ammazzeranno! Devi andartene, ora!" urlò disperato.
Ma come avrei potuto abbandonarlo?

"Chi ti ricatta?"
Ero così calma, facevo paura perfino alle mie orecchie, non ero mai stata così tanto in pace con me stessa, sapevo di star facendo la cosa giusta, anche se ancora non immaginavo le conseguenze che mi avrebbero procurato, quegli attimi di protezione verso Giacomo.

"Non te lo dirò mai. Questo non è uno scherzo, non è una di quelle stronzate come venirmi a prendere nel bar di Nino perché non mi reggo in piedi o prendermi a schiaffi perché sei più madre tu, di quanto io potrò mai essere padre. Qui si tratta di mafia."
Finì il discorso sussurrando, quasi la parola mafia potesse far crollare le pareti di quella casa già disastrata.

"Se vuoi che me ne vada devo sapere contro chi ti stai mettendo papà, devo avere qualcuno da odiare quando dovrò piangere sulla tua tomba."
Era un diversivo, ma conoscevo abbastanza mio padre da sapere che avrebbe di sicuro abboccato.

Lo vidi incerto, sapevo che stava combattendo contro se stesso e contro me, voleva proteggermi a tutti i costi per la prima volta nella sua miserabile vita, ma gli vedevo la stanchezza negli occhi e nei gesti.
Attesi.

"Vito Caruso." Disse, abbassando la testa, come se quel nome potesse ferirlo solo pronunciandolo a voce alta.

Respiro.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora