IV

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Vito mi fece sistemare in una camera con pochi sfarzi, probabilmente una delle poche stanze senza il color oro.
Sapevo che ero appena caduta nella fossa dei leoni, da quel momento in avanti sarei stata sola, forse per sempre.
Alcuni domestici vollero aiutarmi a disfare le valigie ma rifiutai, sapevo che non avrei potuto fidarmi nemmeno di loro, ormai ero come un'orfana.
Mi sedetti sul letto e tirai un profondo respiro, cercando di far rallentare il battito impazzito del mio cuore, che pareva avere tutte le intenzioni di uscirmi fuori dal petto...

"Quando arriverai da tua madre dovrai dimenticarti di avermi mai conosciuto."
Era così serio che mi venne da sorridere, come quando da piccola mi faceva la predica perché avevo fatto un brutto guaio.
Di colpo gli vidi i suoi cinquantanni tutti in viso e sulle spalle, curvate dalla vita e dai suoi stessi errori.

"Vorrei almeno avvisarti di essere arrivata, nemmeno quello ti interessa?"
Chiesi.
Più delusa che arrabbiata.

"Sosi, tu non capisci, questo è l'unico gesto d'amore che potrò mai rivolgerti. Per una volta nella vita sto cercando di fare il padre, di proteggerti."
Eppure mi sentivo responsabile comunque.
Apprezzavo il fatto che cercasse di proteggermi ma ormai era troppo tardi per farlo.

"Potresti chiamare nel momento sbagliato e Caruso potrebbe trovarti e sia tu che tua madre sareste in pericolo."
Annuii, senza che le parole che avrei voluto dirgli mi uscissero dalle labbra.
Tutto il dolore mi si bloccò in gola, minacciando di soffocarmi.

"Questa è l'ultima volta che ci vediamo."
Disse, poi mi fece a pezzi: mi abbracciò.
Sospirai di sollievo, come qualcuno che ha corso tanto e per tanto tempo e poi si ferma, stanco ma soddisfatto del risultato.
Avrei fatto qualsiasi cosa per salvarlo.
Ah papà, se solo sapessi...

Qualcuno bussò e tornai a via delle rose, nella villa di Vito Caruso, lasciandomi per sempre alle spalle Giacomo Bonaccorso.
Andai ad aprire e mi trovai i miei incubi tutti davanti agli occhi.

"Mi fai entrare?"
Chiese Caruso.
Mi feci da parte e lo feci passare, aggiungendo: "È casa tua."
Lui sorrise, evidentemente si aspettava quella risposta e il fatto di essere così prevedibile mi fece infuriare.

"Sai, stavo pensando cosa farne di te.
Ho chiesto consiglio a mio padre ma non mi è piaciuto quello che mi ha detto. Del resto è vecchio e non ha più la stoffa di una volta."
Mi disse, storcendo la bocca, e mi guardai dal chiedergli cosa gli avesse consigliato suo padre.
Lui mi osservò, mentre prendeva posto sulla poltrona accanto al letto; ormai ero sicura che avesse capito il mio stato d'animo, intuendo che sedendosi mi sarei sentita più sicura.
Batté la mano sul letto e mi sedetti, così ci ritrovammo faccia a faccia.
Lui mise una mano dietro la schiena e ne estrasse una pistola, anche abbastanza grande.
Strabuzzai gli occhi per la sorpresa, ma cercai di non farmi intimidire.
Lui cominciò a smontarla, estraendone i proiettili.
Ne mancava uno, e sperai con tutta me stessa che ora quel pezzo mancante non fosse nel cadavere di qualcuno.
Vito procedeva lentamente, guardandomi ogni tanto di sottecchi, per capire cosa provassi.
In verità cercai di apprendere tutto quello che vedevo, probabilmente in futuro mi sarebbe servito saper usare un'arma.

"Non crucciarti, sembri uno spaventapasseri."
Mi prese in giro e poi rise.
Io mi crucciai ancora di più.

"Cosa ne farai di me?"
Chiesi spazientita.
Lui parve davvero cercare una risposta, ma poi disse: "Sai, quando si uccide un animale di solito si evita di fargli capire cosa gli sta per accadere, allo stesso modo si ammazzerà il più velocemente possibile, così che la paura non alteri il sapore della sua carne, la sua morbidezza."
Ingoiai a vuoto.
Lui mi passò la pistola scarica vicino al volto, in una strana carezza.
Chiusi gli occhi, sentendo quel gelido aggeggio scendermi lungo il collo.
Mi puntò la pistola alla gola e anche se scarica mi terrorizzò comunque.

"Bang."
Sussurrò il mafioso al mio orecchio, facendomi sussultare.
Lui rise e tornò a sedersi composto, occupandosi della sua preziosa macchina da morte.

"Hai visto con i tuoi occhi che era scarica, eppure sei sussultata. La paura altera il sapore che può darti il piacere della morte."
Mi guardò negli occhi e io mi sentii nuda, completamente esposta alla sua cattiveria.
"Questa ti fa sentire Dio. Hai il potere di ridare la vita a qualcuno, o di togliergliela per sempre."
Mi fece notare, scuotendo l'arma.

Le lacrime mi salirono agli occhi, ma per nulla al mondo avrei pianto davanti a Vito Caruso.
Ma qualche turbamento dovette notarlo lo stesso perché mi sorrise.
"Non so ancora cosa farne di te, forse tenerti in questo limbo mi fa piacere, vedere la paura nei tuoi occhi mi disseta, mi dà forza. Chissà, potrei ucciderti mentre dormi solo per vedere come i tuoi occhi si aprono allo spavento e poi si chiudono per sempre. Oppure potrei usarti come segretaria per gli affari puliti, o come esca per quelli sporchi..."
Parve davvero rifletterci su.

"Non so ancora, piccola Sophie."
Sospirai.
Ero lì da poche ore e già avrei voluto scappare lontano.
Forse avrei davvero dovuto seguire il consiglio di Giacomo di andare in Inghilterra.

"Non so cosa potrei diventare per te, ma sono sicura che saprai scegliere la mia vocazione."
Risposi, prendendo la parola e alzandomi stizzita, quel letto parve bruciarmi.

Lui mi prese per un polso e mi fece voltare.
Mi ritrovai contro il suo petto, ansimante per il terrore puro che mi scorreva nelle vene; forse avevo esagerato.
Evitai il suo sguardo, stavolta tremante al pensiero delle torture che avrebbe potuto infliggermi.
Lui mi prese il mento e lo strinse tra le dita, tanto da farmi male.

"Abbassare lo sguardo con me significa morire. La prossima volta che decidi di rispondermi, abbi almeno le palle di guardarmi negli occhi."
Mi disse, toccandomi le labbra con il pollice.
Ero disorientata.
Non sapevo cosa volesse da me ed ero certa che nemmeno lui lo sapesse davvero.
Mi scostò da lui poco dopo, lasciando la porta socchiusa e non sbattendola come invece pensavo facesse.

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