VI

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La sera prima della partenza il sonno tardava ad arrivare.
Le lenzuola ormai erano diventate un groviglio umido di sudore e ansia.
Nemmeno respirare mi riusciva più bene.
Da quando ero entrata in quella maledetta villa avevo perso ogni controllo, ogni libero arbitrio.
Sapevo che Vito mi nascondeva qualcosa, qualcosa di grosso se pensava che sarei riuscita a odiarlo più di quanto non facessi già.
Scesi in cucina sperando di ritrovare un po' di controllo.
Trovai acqua nel frigo e tracannai più di metà bottiglia.
Restai così, mezza nuda in cucina, con la bottiglia in mano e il frigo aperto che mi faceva luce.
Cercai controllo in ogni cosa vedessi, perfino nell'insalata di mezzogiorno.
Probabilmente quelle settimane mi avevano fatto perdere la ragione.
Chiusi il frigo e scuotendo la testa mi avviai verso le scale che portavano alla mia camera.
D'un tratto qualcosa di freddo mi sfiorò la nuca.

"Chi sei?"
Sentii ruggire dietro di me.
Alzai gli occhi al cielo e sospirai; certo, era ovvio che non dormisse sogni tranquilli, con tutte le anime che aveva sulla coscienza era il minimo stare in allerta per ogni piccolo rumore, e io non mi ero minimamente curata di essere silenziosa.
Alzai le mani e mi voltai lentamente, per dare modo a Vito di vedermi bene.

"Sono io. Sei impazzito?"
Sussurrai.

Lui mi guardò esterrefatto e posò il coltello che aveva tra le mani.
Avrebbe potuto sgozzarmi in meno di due secondi.
Un rivolo di sudore mi scese lungo la spina dorsale e chiusi gli occhi.
Quando li riaprii, Vito era a pochi centimetri dal mio viso.
Deglutii a vuoto e la paura si trasformò in qualcosa d'altro.
Lui cominciò a camminare, mentre io istintivamente indietreggiai.

"Hai paura?"
Mi sussurrò, mentre mi metteva una mano totalmente aperta sulla gola.
Scossi la testa perché non riuscivo a parlare, la paura si fuse con il desiderio e lui lo notò immediatamente.

"Ragazzina, ho quasi trent'anni, che ti sei messa in testa?"
Mi rise in faccia, ma sapevo che stava cercando di fare il duro.
Continuai a guardarlo, restando muta e aspettando che se ne andasse o che facesse qualcosa; come sempre l'ultima scelta spettava a lui.
La mano sul mio collo diventò un dito, che si posizionò sulla mia giugulare.

"Ti farai venire un attacco di cuore se continui così."
Si fece più vicino, troppo.
Pregai che non volesse farmi del male.
Ma pregai anche che non smettesse di farlo.

"Sei l'ultima cazzata che potrei mai permettermi nella vita. Forse avrei dovuto ascoltare mio padre."
Disse, più a sé stesso che a me.

Gli toccai il braccio, quello che teneva alzato per toccarmi la gola e lo vidi sussultare.

"Pensa alla cosa più brutta che possa farti stasera."
Cominciò.
Io annuii.

"Posso fare molto peggio."
Mi redarguì.
Non so chi volesse frenare, in realtà, se me o se stesso, sta di fatto che non ci riuscì.
Io restai imperturbabile e lui ne rimase sorpreso, come notai dal suo sopracciglio inarcato.
Lo vidi deglutire e fissare le mie labbra, poi non ci fu più tempo né modo di pensare.
Mi inchiodò al muro e mi baciò.
Un bacio che prendeva tutto e non dava nulla.
Mi accontentai solo per sentire che sapore avessero quelle labbra bugiarde.
Mi fermò le mani quando tentai di toccargli la schiena e mi strinse i polsi.
Il dolore si confondeva con il piacere di quel bacio inaspettato.
A un certo punto mi morse il labbro tanto forte da farmelo sanguinare; godette nel vedere quel piccolo rivolo rosso colare giù, preda della forza degli eventi che nemmeno lui riusciva a fermare.
Mi baciò ancora, e io sentii il sapore acre e ruvido del mio stesso sangue, mentre lui apparentemente parve non accorgersene.
Poi si staccò da me e così come era venuto se ne andò, lasciandomi eccitata e impaurita in cucina.

🔸

A niente era servito il trucco.
Parevo comunque una che era appena uscita da una seduta con il chirurgo.
Quella mattina avrei dovuto essere impeccabile per accompagnare Vito nel suo viaggio, eppure ero tutto tranne che perfetta.
Profonde occhiaie mi solcavano il volto e avevo il labbro inferiore livido e più grosso del normale.
Restai a lungo a guardarmi allo specchio, chiedendomi cosa sarebbe successo da quel giorno in poi.
Suonò la sveglia e la spensi.
Le sei del mattino; andai in bagno cercando di rendermi almeno presentabile.

🔸

Silenzio, mutismo.
Vito era tornato l'uomo d'affari e in fondo ne ero felice; il mafioso mi terrorizzava a morte.
Sedeva di fronte a me, nel suo enorme aereo, leggendo il giornale.
Mi venne spontaneo chiedermi quante vite avesse preso fino a quel momento.
Probabilmente centinaia, eppure io cercavo ancora di salvarlo, forse perché solo salvando lui avrei potuto salvare me stessa da morte certa.

"Smettila di fissarmi."
Mi disse, senza nemmeno distogliere lo sguardo dal giornale.
Gli pungeva così tanto una mia occhiata?
Non gli piaceva sentirsi giudicato, soprattutto da me, ma pareva che fosse la cosa che mi riuscisse meglio fare.

"Scusami."
Risposi docile, voltando lo sguardo verso l'oblò.
Vito mi stava guardando, sentivo il suo sguardo su di me anche senza vederlo, proprio come succedeva a lui.
Anch'egli voleva capirmi, ne ero certa.
Un attimo prima combattiva e quello dopo docile e permissiva.
Dovevo essere un vero mistero per lui.
Decisi di ignorarlo per tutto il viaggio, anche se mi resi conto di non avere idea di quanto sarebbe durato.
Qual'era la destinazione?
Lo vidi alzarsi per rispondere al telefono.
Passeggiava tranquillo mentre parlava di cose che non potevo ascoltare.
Ma non era vietato parlare al cellulare sugli aerei?
Tornai a guardare fuori dal mio oblò, sentendomi stranamente potente nel guardare il mondo sotto ai miei piedi.
Era così che si sentiva lui?
Quando mi voltai mi resi conto che era tornato a sedersi.

"Vito, dove stiamo andando?"
Chiesi a bruciapelo.
Lui mi sorrise, forse per la prima volta in modo sincero.

"Strano che tu lo chieda soltanto adesso no?"
Ma perché tergiversava?
Piegai la testa di lato, come una bambina curiosa e lo vidi abbozzare un altro sorriso.

"Dove?"
Mi impuntai.

"In America."
Rispose, quasi scocciato dalla mia insistenza.

"America."
Sussurrai, guardando fuori dall'oblò.

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