XXII

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I sotterranei di quella villa erano immensi.
Cunicoli infiniti e poco illuminati ci portarono verso la nostra tomba.
Ricordavo vagamente il percorso: scale, corridoio e svolta a destra, altre scale e un altro corridoio sulla sinistra, poi dritti alla porta di legno.
Mi sembrò di essere capitata nel milleottocento, le pietre quadrate dei muri, l'illuminazione a olio, quell'enorme porta di legno.
Presi un respiro mentre Vito l'apriva: era ora.

🔸

Provammo l'arma contro il muro per vedere se funzionasse correttamente, poi ci sedemmo uno di fronte all'altro, in mezzo a noi un tavolino di ferro, che stonava tantissimo con l'ambiente.
Vito caricò la pistola, mettendo bene in evidenza il movimento cosicché potessi vedere che non stava imbrogliando.
"Perché non rendiamo il gioco più interessante?"
Mi chiese a un certo punto.
Nel contempo fece ruotare il bussolotto della pistola e la richiuse, il suono secco rimbombò in quella stanza di pietra.
"Del tipo?"
Chiesi a mia volta, guardinga.
"Una verità a ogni colpo. Ogni volta che premiamo il grilletto ci riveliamo qualcosa."
Era serio, ma non capivo il suo bisogno di verità in quel momento.
"Non mi sembra proprio il momento delle confessioni." Gli dissi tranquilla.
"Io non posso morire senza dirti tutto."
Sussurrò. Ma quel sussurro si espanse nei miei polmoni e mi rimbombò nel cervello.
Tutto cosa?
Annuii e Vito fece girare la pistola sul tavolino, la canna si fermò nella sua direzione.
"Comincio io." Mi disse sorridendo.
Ingoiai a vuoto, avendo la salivazione completamente azzerata.
Che cosa stavamo facendo?
Misi le mani sotto al tavolo per evitare che Vito notasse il loro tremore, mi resi conto che ero terrorizzata dall'idea di vederlo morire.
"Respira Sophie." Mi disse.
Mi accorsi di aver trattenuto il fiato solo allora.
Vito si puntò la pistola alla tempia e fece fuoco.
Niente.
Era ancora vivo, mentre io ero sussultata al suono dello sparo a vuoto.
Lui invece era una statua di indifferenza, la sua forza mi sorprese.
"La verità è che Giada mi ricordava te, o almeno quella ragazzina innocente che eri. Che cosa ti ha fatto Basile?"
Sospirai.
"Mi ha accettata per quella che sono."
Gli rinfacciai.
Lo vidi alzare le sopracciglia come se non avesse idea di avermi trattata in modo diverso.
Mi porse la pistola.
La guardai, fredda e sinistra sul tavolino e poi la soppesai tra le mani.
Che morte da cogliona spararsi da sola.
"Sei sicura di volerlo fare?"
La voce di Vito era diventata rauca, notai.
Aveva paura per me?
Mi puntai la pistola alla testa e chiusi gli occhi.
Sparai.
Niente, anche questa volta la pistola aveva fatto cilecca.
"La verità è che ti odio con la stessa intensità con la quale ti amo."
Dissi semplicemente.
Ci guardammo per un lungo istante, mentre i suoi occhi si inumidivano.
Era... emozionato?
"Non c'è stato un solo giorno in cui il tuo pensiero non mi sfiorasse la mente Sophie."
Sembrava così sincero, così... umano.
"Vito, non hai ancora sparato. La verità viene dopo."
Gli feci notare.
"Stai zitta per una volta e ascoltami."
Mi interruppe, irritandomi.
"Ti ho spezzata, usata e ho ucciso tuo padre. Sono quello che sono e nemmeno la morte potrà ripulire la mia anima. Nessuno avrebbe potuto salvarmi."
"Vito, io..."
La mia voce era incrinata, il mio cervello formulava frasi sconnesse tra loro.
"Ti amo Sophie e se per saperti in pace devo morire, allora morirò."
Detto ciò si puntò la pistola alla tempia e fece scattare il grilletto.
Il suono dello sparo si incise per sempre nella mia mente.
Il sangue schizzò in tutte le direzioni, compresa la mia faccia rigata di lacrime.
Rimasi ore a guardarlo.
Il corpo ormai freddo, gli occhi vitrei e le labbra rinsecchite dalla morte.
"Ti amo anch'io." Dissi alle sue orecchie sorde prima di andarmene.
Vito Caruso non esisteva più.

🔸

Lasciai l'America solo due settimane più tardi.
Invece dell'aereo scelsi la nave, per ovvie motivazioni.
Prima tra tutte, lasciare che il mare ripulisse via il senso di vuoto, di perdita.
In tutta quella storia macabra chi aveva perso più di tutti ero stata io.
Tornavo in Italia con un'altra identità, fornitami da Pietro, perché Sophie Bonaccorso non ci sarebbe stata mai più, era morta con Vito.
Mi misi a poppa, a guardare dritta nell'acqua e un senso di nausea mi avviluppò.
Sorrisi cinica.
Che destino.
Ripensare agli ultimi anni, a quella vita, mi fece rabbrividire.
Ero così tanto diversa da lui?
Avevo scelto la giustizia di una pistola all'amore.
Potevo ancora sentire le sue ultime parole e sperai che il mare le inghiottisse, sperai che tutto il mondo venisse inghiottito perché non avevo più uno scopo.
Avevo vendicato mio padre, ma avevo perso l'amore della mia vita.
Non seppi mai le sorti di Giada, persa nella mia solitudine e nel mio rimpianto.
La mafia ti toglie tutto, anche l'anima.
Mi vennero in mente le prime parole di Vito sull'argomento, che solo ora potevo capire.
Capivo perché fosse diventato un mafioso perché era lo stesso motivo mio: la famiglia.
Lui per proteggerla, io per vendicarla.
Mi accorsi di stare piangendo solo quando il vento mi sferzò la faccia. Ormai la nave era lontana dal porto e davanti a me non c'era nient'altro che acqua.
Acqua cristallina e piena di pericoli.
Tanto bella quanto mortale, proprio come Vito.
E sperai davvero che il tempo avrebbe ricucito le mie ferite, perché solo ora capivo le ragioni di Vito, ma era troppo tardi per rimediare, troppo tardi per tutto.
Posai lo sguardo dentro la nave, era piena zeppa di persone, persone normali.
Una donna accarezzava il suo uomo mentre lui la guardava sognante.
Poco lontani da loro un bambino giocava con un pallone colorato.
Mi soffermai a guardarlo.
I suoi capelli biondi sembravano grano maturo sotto al sole del mattino, il suo sorriso innocente mi fece venire i brividi.
Dietro di lui una bambina dai capelli castani lo tirava per la magliettina e il bimbo le porse la palla, girandosi verso di lei.
Le lacrime sul mio volto si erano asciugate.
In fondo il destino mi aveva restituito tutto e con gli interessi.
Mi rigirai guardando di nuovo il mare, accarezzandomi la pancia, il mio sguardo si perse nel vuoto.
Chissà, forse in quella nuova vita avrei potuto scorgere la parte buona di lui, quella che aveva soffocato per tutto quel tempo.
Perché forse nel disegno divino la mia vita non poteva essere divisa da quella di lui.
Perché due anime così strette non possono sciogliersi.
Mi accarezzai ancora la pancia, stavolta più decisa, perché aspettavo un figlio.
Il figlio di Vito Caruso.

FINE.

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