XIX

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Mi ci vollero due anni per diventare un soldato.
Tanto avevano visto i miei occhi in quegli anni, innumerevole il sangue che era sgorgato dalle gole tagliate.
Imparai a uccidere con la pistola, con il coltello e anche a mani nude.
Nel contempo entrai sempre più nella testa di Pietro, comprendendo le sue ragioni.
E solo per quest'ultima ragione potevo considerare il mio addestramento finito: ora ero come loro.
Pensavo come loro, agivo come loro. Io ero loro.
Non ci sarebbero stati più ostacoli tra me e Vito Caruso.

🔸

"Come ti senti, bionda?"
Mi chiese Pietro, poco dopo l'allenamento.
Me lo chiedeva ogni volta che mi allenavo, che uccidevo qualcuno o se mi vedeva semplicemente pensierosa.

"Stanca. Quel tuo PT è un pezzo di merda!"
Si mise a ridere, mentre mi distesi sul ring da boxe nei sotterranei di villa Basile, Pietro mi guardava dall'alto.
"Sei stata il mio investimento migliore, Vito è nella merda e mia sorella sta per essere vendicata!"
Vidi i suoi occhi luccicare e sorrisi.
Forse ero malata di mente, probabilmente in quei due anni avevo perso completamente la ragione, ma sentivo che non sarei mai riuscita a vivere se non avessi vendicato mio padre.
Solo il suo ricordo mi teneva in vita, solo il desiderio quasi spasmodico di farmi giustizia da sola mi impediva di uccidermi e farla finita con tutte quelle stronzate.

"Domani è il tuo compleanno Soph."
Constatò Pietro e mi venne in mente il mio diciottesimo compleanno, quando ancora pensavo di potermi salvare.
Dì li a breve avrei compiuto ventun'anni, mi sarei lasciata tutto alle spalle, ricominciando sul cadavere di Vito.
Finalmente.
Sospirai e presi la mano che Pietro mi porgeva.
In quegli anni avevamo trovato un equilibrio che va oltre il sesso e oltre i pregiudizi.
Ci eravamo accettati.
Io avevo accettato il suo stile di vita, rendendolo mio e lui mi aveva accolta nella sua solitudine, nemmeno per un attimo ci aveva rinunciato ma diceva sempre che avremmo potuto essere soli in due.
In un certo senso avevamo creato qualcosa di bello sulle macerie delle nostre disgrazie.

🔸

"Ci vedremo dopo?"
Il cielo era limpido e i miei occhi lucidi per il sole che mi stava accecando. Sulla soglia di villa Basile, Pietro mi stava salutando con quel suo tono sommesso e schivo che usava sempre per non far trasparire la mancanza. Era lo stesso che usava quando parlava di Elena.
Ormai la conoscevo come se fosse stata sorella mia, carne mia.
Pietro mi aveva parlato di ogni giorno passato con lei, di ogni dolore che aveva vissuto sulla pelle.
Conoscevo ogni sua cicatrice, ogni suo peccato e nonostante ciò avrei serbato sempre un bel ricordo di lui, della nostra solitudine condivisa.
"Vedremo."
Gli risposi, prima di allontanarmi da lui e da quell'altro capitolo della mia vita.

Quando arrivai fuori villa Caruso gli scagnozzi di Vito parvero vedere un fantasma.
Quando chiesi di lui, mi fecero accomodare nel grande salone, ma del padrone di Casa non vi era traccia.
La villa era sempre uguale, il color oro era sempre ovunque e la sensazione di essere tornata a diciassette anni era sempre più presente.
Rividi quella ragazzina spaventata mentre percorrevo le scale verso la camera da letto.
Tutto era rimasto uguale, esattamente come lo ricordavo.
Rividi ogni singolo momento passato in quella gabbia dorata, ogni bacio con Vito, ogni battito di un cuore che avevo abbandonato due anni prima.
Quando tornai in sala mi soffermai nel corridoio, proprio davanti all'entrata della villa, nello stesso punto in cui mio padre aveva cessato di vivere.
Mi chinai, accarezzando il parquet, perfettamente lucido.
Qualcuno mi chiamò e tornai alla realtà, un uomo basso e tarchiato mi venne incontro porgendomi la mano sudaticcia.
"Salve, sono l'avvocato del signor Caruso."
Si presentò.
"Non voglio parlare con lei, ma con il suo... capo."
Dissi schietta, calcando l'ultima parola per farlo sentire quello che era, un semplice impiegato.
L'uomo infatti si indispettì e mi invitò a sedermi in sala.
Entrambi prendemmo posto in quell'opulenza che tanto mi faceva venire il mal di testa e vidi l'ometto comporre un numero al cellulare.
Parlò in inglese.
Dopo poco mi porse il telefono, era Vito.
Senza esitare mi alzai, mettendo il cellulare dell'ometto sotto i piedi, distruggendolo.
L'uomo mi minacciò, poi mi disse che ero pazza.
Decisi di fare a modo mio.
Gli puntai la pistola che avevo nel retro dei jeans dritta in fronte.
"Non ho aspettato due anni per parlare con un cellulare, dov'è?"
Urlai, più che spaventarlo che per rabbia, da tempo avevo imparato a controllare le emozioni.
"La prego, non mi uccida, le giuro che le dirò tutto!"
Bei collaboratori si sceglieva Vito.
Riposi l'arma, guardandolo di sottecchi.
"Allora?"
Chiesi spazientita.
Lo vidi torcersi le mani, come se fosse tra l'incudine e il martello.
Del resto se non mi avesse detto nulla sarebbe morto subito, mentre se avesse parlato sarebbe morto solo ore dopo, al cospetto di Vito.
"Vito Caruso è in America."
Confessò, finalmente.

🔸
T

re settimane dopo ero in America.

New York era cambiata rispetto a due anni prima.
A differenza di villa Caruso riuscivo a vedere ogni cambiamento, nuovi negozi e palazzi più alti.
Entrai nel paese sotto falso nome, solo una tra le tante identità che Pietro mi aveva procurato.
L'avvocato mi aveva dato l'indirizzo della casa dove Vito abitava ora, così non mi fu difficile rintracciarlo.
Si era creato un vero e proprio recinto di uomini armati, nemmeno fosse il presidente degli stati uniti.
Un modo per entrare senza essere vista comunque lo trovai, spacciandomi per la sorella del giardiniere.
Quando avevo parlato a Pietro della svolta americana di Vito aveva fatto in modo di procurarmi una spalla nella sua nuova residenza, il giardiniere appunto.
L'uomo disse che era mio fratello e gli uomini mi fecero passare.
Quando poi sgattaiolai sul retro ero già storia vecchia per loro.
Entrai nella residenza Caruso quatta quatta e nessuno dei domestici si accorse di me, benché l'entrata secondaria fosse proprio nelle cucine.
Il mio ingresso trionfale lo feci poco dopo, quando entrai nella grande sala da pranzo, proprio nel mezzo dei festeggiamenti.
Quando Vito mi intercettò era seduto a capotavola.
Tutti si voltarono verso di me, ma io puntai gli occhi sulla persona seduta accanto a lui: Giada.

Deliri autrice.
Vi voglio bene.
Tutti.
Quindi non linciatemi!

Tornando seri... 🙄
cosa pensate del cambiamento di Sophie?
In questo capitolo cerco di spiegare al meglio cosa la spinga ad agire in un certo modo.
Inoltre... Da dove spunta Giada?

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