Ci fu un periodo tranquillo.
Per circa due mesi le mie giornate furono abitudinarie, avevo deciso di darmi da fare per non pensare troppo alle cose che mi aveva detto Vito.
Ogni mattina mi alzavo presto e lavoravo per lui, bene o male mi forniva esperienza e buone referenze per il futuro.
Ormai ero sola e avrei dovuto provvedere a me in un modo o nell'altro e lavorare per il mio carceriere mi sembrava la scelta più sensata, per quanto possibile.
Lavorare mi dava grande soddisfazione, da quando avevo lasciato la scuola non avevo fatto altro che la casalinga e avevo lavoricchiato in giro per pochi soldi.
Qualche volta mi soffermavo sul passato, vedevo me stessa solo un anno prima e mi tremavano le gambe.
La Sophie di un tempo sarebbe rimasta in un angolino a piangere sulla sua sfortuna.
Penso faccia parte della crescita di ognuno di noi, cambiare intendo.
Ogni volta che cerco di essere me stessa, qualcosa mi cambia, un piccolo pezzo di me resta con qualcuno, modificando il mio modo di vedere il mondo.🔸
Una sera, tornando da lavoro ascoltai accidentalmente una conversazione tra Vito e suo padre, da tempo avevo deciso di ignorarli entrambi, ma quello che dissero mi spinse a reagire.
"Dovremmo ammazzarlo quel figlio di un cane."
Era il padre."Solo perché ti ha rubato la moglie venti anni fa non vuol dire che devo ammazzarlo, non lo farò, pensaci tu."
Rispose il figlio, congedandolo."Da quando sei un rammollito?
Quella puttanella ti ha rivoltato come un calzino, sii uomo Vito!"Lo provocò suo padre; da dietro la porta dello studio di Vito io cercavo di far meno rumore possibile.
"Sei solo un vecchio pieno di demoni."
Ribatté il più giovane, scatenando l'ira di suo padre."E tu cosa sei eh? Quante persone hai ammazzato? Quanti innocenti? La ricordi Elena, vero?"
A quel nome vidi Vito sobbalzare, certo che la ricordava.Mi chiesi chi fosse questa Elena.
"Quel pezzente morirà, in un modo, o nell'altro. E tu sai a cosa mi riferisco."
Vito si voltò e notai che aveva la mascella serrata.Immediatamente si accorse della mia presenza, era come se i nostri sguardi si fossero incatenati e non riuscissero più a separarsi.
Ci pensò suo padre a farlo.
"Bene, ora che ci sei anche tu, piccola spiona, parliamo di quanto il tuo innamorato sia una bestia."
L'anziano sorrise malefico, aprendo del tutto la porta dello studio e facendomi entrare.Senza pensare mi sedetti sulla poltrona, sottomessa come sempre.
Certe cose non cambiano mai, mi ritrovai a pensare.
"Ci fu una volta, in cui Vito..."
"Papà, stai superando il limite."
Lo intimò Vito, cominciando a gesticolare, cosa che faceva sempre quando era nervoso.Non che capitasse spesso, ma suo padre aveva il potere di fargli saltare i nervi, completamente.
In un certo senso invidiai il potere che l'anziano aveva su di lui, riusciva a smascherarlo con poco.
Forse perché erano fatti della stessa pasta.
"Non ucciderete mio padre."
Dissi calma.Conoscerli mi aveva consentito di guardarmi dentro, di trovare una parte di me che dubitavo esistesse.
"Sai quanto conta la tua parola per me?"
Chiese il più anziano."Se lo ucciderete io dovrò fare lo stesso con voi."
Gli occhi di Vito si illuminarono, tra lo scherno e l'ammirazione, mentre suo padre scoppiava in una fragorosa risata."Ma con chi pensi di avere a che fare?"
Minacciò.Vito mise fine al battibecco portandomi via, rassicurandomi che avrebbe provato a fargli cambiare idea.
"Perché dovresti?"
Gli chiesi, mentre eravamo ancora in corridoio.Lui si fermò e mi lasciò andare, sembrava non riuscisse a trovare le parole adatte, per la prima volta.
"Non voglio più farti vedere dei morti, se posso evitarlo."
Sembrava così diverso dal Vito di poche settimane prima, così... vulnerabile."Se ammazzerete mio padre io morirò con lui, ma non prima di avervi trascinato all'inferno con me."
Gli intimai.Chissà perché avevo pensato mi ridesse in faccia, invece era talmente serio da spaventarmi.
Del resto avevo appena minacciato lui e la sua famiglia e Vito Caruso era diventato il più potente boss della Sicilia proprio per proteggere la sua famiglia.🔸
Una notte sentii cigolare la mia finestra, quando guardai l'orologio segnava le quattro del mattino.
Mi alzai per andare a vedere e fuori, nel giardino, Giada mi lanciava delle pietre.
Mi feci notare per evitare di farmi arrivare una pietra in un occhio e mi affacciai.
Le chiesi di andarsene ma scosse la testa, così uscii fuori, raggiungendola.
"Ma che diavolo ti prende?"
Chiesi sconvolta.Se qualcuno ci avesse visto sarebbe scoppiato un putiferio.
"Questa storia deve finire! Tuo padre sta indagando e se scopre che non sei dove dovresti essere si farà ammazzare!"
Dalla sua voce angosciata dedussi che la cosa era molto avanti.La strinsi forte prima di ribattere.
Aveva rischiato tanto, solo per avvisarmi e poi non la vedevo da tre mesi...
Mi ripassò davanti agli occhi tutto il nostro percorso, le risate condivise, i pianti sommessi e le poche litigate.
In ogni momento, anche da arrabbiate, eravamo capaci di essere unite.
Solo noi potevamo insultarci, ma se lo faceva qualcun'altro allora facevamo fronte unito, era sempre stato così.
"Mi sei mancata."
Le confessai sincera.Le annusai i capelli e sentii odore di casa, di infanzia.
Mi resi conto di piangere solo quando un vento fresco mi frustò la faccia.
"Devi scappare da qui, ti prego!"
Mi implorò."Non posso, sono l'unica cosa che separa la loro pistola da mio padre, capisci?"
Ero davvero frustrata, tra il senso del dovere e l'amore verso l'inferno."Cos'altro?"
Chiese Giada, intuendo i miei pensieri."Certe volte, penso di non farcela, di impazzire. In quei momenti Vito mi è vicino, sai, forse sono solo io che sono una povera stupida, ma..."
Mi interruppi, notando il suo sbigottimento.
"Sophie..."
Sussurrò e mi sembrò una pugnalata nel cuore.Avevo appena deluso una delle persone più importanti della mia vita.
Avevamo passato l'infanzia e parte dell'adolescenza sempre unite, così, vederla affranta e delusa dal mio comportamento mi ferì, anche se capivo che il mio affetto per Vito era davvero difficile da comprendere.
Per un attimo mi chiesi se non fossi affetta dalla sindrome di Stoccolma.
Guardai la mia migliore amica dritta negli occhi, sapevo di mentire e sapevo anche quanto lei mi conoscesse, così cercai di recitare al meglio che potevo; solo così avrei potuto proteggerla.
"Mi dispiace Giada, ma non tornare più qui. Mai."Le dissi seria, calcando la voce sull'ultima parola per poi sparire nella notte.
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Respiro.
Mystery / ThrillerSicilia, anni '80. Sophie è solo una ragazzina quando decide di mettersi tra suo padre e le avversità della vita. Questa volta il demone di Giacomo non è l'alcool o le scommesse nei locali malfamati, ma ha un volto e un nome: Vito Caruso. La ragazz...