Prologo

80 6 0
                                    



1713, durante la Grande Guerra del Nord.


Il rombo dei cannoni sopra la mia testa mi arrivava attutito, i timpani forati mi aiutavano a mitigare tutti quei suoni invasivi, dal clangore delle spade a quello delle baionette. L'odore della morte e della battaglia mi pervase completamente i sensi, non c'era nulla di romantico in tutto quello, sapeva di sangue, deiezioni, metallo e polvere da sparo.

Calai la mia spada su un soldato dall'uniforme macchiata, i suoi occhi chiari si fecero ben presto vacui, un ultimo barlume di shock lo attraversò alla mia vista, dopotutto doveva essere insolito scontrarsi con una donna figurarsi venirne ucciso.

Sorrisi, per quella piccola rivincita su quel periodo storico inclemente verso il gentil sesso. Venni pervasa da una sensazione di eccitazione corroborante a causa della battaglia.

Mi voltai, ma nessuno sembrava badare a me, gli eserciti erano sfiniti. Erano giorni interi che combattevamo su quel terreno reso paludoso dalla nostra presenza.

Tirai un sospiro di sollievo per quel fugace momento di pace, la mia mente cercò di tenere il conto della moltitudine di ferite riportate.

Scrollai le spalle alla fitta di dolore sul fianco dove un soldato mi aveva pugnalata qualche minuto prima, stava guarendo velocemente. Essere una guerriera immortale mi aiutava con la rigenerazione, ma anche così il dolore poteva essere insopportabile delle volte, solo una decapitazione totale avrebbe posto fine alla mia esistenza.

Con sguardo torvo fissai la prima linea dell'esercito nemico avanzare dall'altra parte della distesa, i timpani erano tornati in uso e il rumore delle baionette e dei cannoni iniziava a darmi nuovamente fastidio. Odiavo il progresso tecnologico bellico, esso aveva portato alla creazione di nuove armi, i proiettili dei fucili potevano trapassarmi, provocandomi un male del diavolo quando lo facevano, il mio corpo riusciva ad espellerli in fretta, ma non abbastanza per garantirmi dei movimenti fluidi durante lo scontro.

Sorrisi sadicamente quando una delle mie sorelle con una freccia incendiaria fece esplodere il carro delle munizioni nemiche, il fuoco scatenato fece gridare i soldati, facendoli sparpagliare come formiche.

Passai le mani sporche di sangue sulla giacca di un soldato morto, ripetei il gesto con il filo della mia lama, assicurandomi di nuovo una presa salda sull'elsa.

"Vuoi che ti porti una sedia così puoi prendere anche un po' di sole?!" La voce sarcastica di Annika mi fece ridere.

Il mio sguardo cadde su una delle mie sorelle, la sua figura slanciata e alta svettava su quel panorama di morte, come se fosse un angelo misericordioso venuto a portare pace, niente poteva essere più lontano dalla realtà. Ciocche di capelli neri le erano sfuggiti dalla treccia a corona ben fissata sulla testa, gli occhi scuri lampeggiavano per la mia stessa eccitazione. "No, vi stavo aspettando. Mi ero scocciata di combattere da sola qua davanti mentre voi poltrivate nelle retrovie." Sogghignai, passandomi la mia arma da una mano all'altra con abilità.

Lei sbuffò. "Il mio culo era talmente avanti a te che probabilmente te lo sei persa." Replicò nuovamente con tono derisorio.

Decisi di ignorare il suo ultimo commento, se non l'avessi fatto saremmo andate avanti per tutto il giorno; invece, mi concentrai sul prossimo passo, avevamo sterminato un intero battaglione e i cadaveri dei soldati nemici e alleati giacevano in cumoli sul terreno, nessuno in vista pronto ad attaccarci, gli umani si stavano tenendo lontani dalla nostra posizione.

Decisione saggia.

Mi sgranchii le spalle indolenzite, l'armatura argentata non era pesante, ma comunque ingombrante, cercai di allargare la parte alta, sganciando qualche cinghia di cuoio, l'aria fresca del pomeriggio inoltrato mi diede un po' di refrigerio sulla pella accaldata e in breve il sudore iniziò ad asciugarsi.

Il Corvo e La RabbiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora