2

67 16 41
                                    

VIAGGIO IN AUTO

Lanciai un'ultima occhiata al glorioso palazzo in stile manierista che mi aveva fatto da casa dai primi giorni in cui ero venuta al mondo

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Lanciai un'ultima occhiata al glorioso palazzo in stile manierista che mi aveva fatto da casa dai primi giorni in cui ero venuta al mondo. Alla consapevolezza di doverlo abbandonare, una lacrima mi bagnò il viso: volevo trattenerle tutte, ma questa era sfuggita al mio controllo.

Quel giorno la strada era anche molto trafficata e avevo dovuto ricordare a mia madre, e più volte, di non indietreggiare troppo mentre chiacchierava, o sarebbe finita sotto un auto.

Non potevo piangere, Zaya Barlow non avrebbe gradito: per lei trasferirsi era motivo di festa e non desiderava altro se non condividere questa sua immensa gioia con me e con mio padre.

Mamma non sapeva guidare e trovai davvero di cattivo gusto che avesse obbligato mio padre a mettersi al volante: per lui affrontare un viaggio così lungo, e nelle sue condizioni, sarebbe potuto essere molto provante. Però, non si poteva fare altrimenti, dato che nessuno ci avrebbe mai dato un simile passaggio, e che i mezzi di trasporto fuggivano tutti quella cittadina montuosa neanche fosse affetta da peste.

Quindi, eccoci tutti e tre a partire con la nostra auto. Pensai, scuotendo la testa in preda a tristi sentimenti.

Arthur Barlow, uno spilungone dal viso ovale e dalla carnagione perennemente pallida – di cui avevo ereditato il naso aquilino e i grandi occhi scuri – non godeva più di ottima salute da diversi anni ormai: la sua estrema e costante debolezza, dovuta a una malattia deteriorante, lo aveva costretto persino a lasciare il lavoro.

Mio padre non avrebbe dovuto affaticarsi, mia madre ne era a conoscenza, avrebbe avuto un'altra delle sue crisi se non fosse stato attento.

Ripensai a come i medici ci avevano detto che non sapevano come aiutarlo, mentre si limitavano a dirgli di non fare eccessivi sforzi e di restare sempre rilassato, di come mio padre fosse affetto da una malattia orfana e che, per questa ragione, trovare una cura efficace era quasi impossibile.

La preoccupazione principale di mia madre, riguardo il precario stato di salute del marito, era stato rivolto alle grandi entrate di mio padre che non sarebbero più arrivate; spesso la si sentiva lamentarsi del nostro stile di vita che non era più invidiabile come quello di un tempo.

Per fortuna, il mio vecchio sapeva risparmiare e potevamo vantare di essere benestanti, ma le mani bucate di mia madre potevano davvero metterci in guai seri.

La sera prima che chiamasse la ditta di traslochi, mamma mi aveva riferito l'assurda e spropositata cifra che aveva fatto sborsare a mio padre per la nuova casa, facendomi subito sorgere la domanda di come mai lui non avesse avuto un colpo al sentirla.

«Mamma!» ero rimasta a bocca aperta. «È troppo! Non so come sia questa casa, e nemmeno tu: insomma, chi l'ha vista? Una cifra del genere...»

«Come sarebbe che non l'ho vista?» mi aveva rimproverato lei, agitandomi l'indice davanti al viso. «Ti ricordo che io sono cresciuta a Snowy Mountain: ne conosco ogni vicolo, passavo davanti a quella villetta molto spesso per andare a trovare... per andare a casa di una mia cara amica!»

Avrei amato solo teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora