UN PENSIERINO POSITIVO PER VOI: Tenete presente che, anche se non lo si vede perché nascosto dalle nuvole, il sole c'è sempre. Il cattivo tempo è passeggero.
SENSI DI COLPA
Mi diressi con calma in sala da pranzo, prima che mia madre si potesse rendere conto che ero stata al telefono con Drake.
Per quei pochi secondi, durante la breve telefonata, non avevo fatto altro che spiare dietro gli angoli del corridoio per accertarmi che lei non spuntasse fuori all'improvviso.
Mia madre non aveva preso per niente bene la notizia della mia sospensione, le sue parole ancora mi risuonavano nella mente: non voleva che io avessi più niente a che fare con quel punk arrogante.
Potevo ancora vedere, davanti ai miei occhi, come aveva maltrattato persino il signor Gorman, accusandolo di aver cresciuto un figlio che, non solo mi stava plagiando, ma mi stava portando su una cattiva strada.
«Tracy non aveva mai avuto problemi, prima di conoscere quel mascalzone che ha per figlio!» gli aveva detto lei, agitando una mano come se quell'uomo fosse un insetto e lei lo volesse scacciare via in malo modo.
Desideravo confidarmi con Drake, sentire la sua voce anche solo per un breve istante. In me si era inspiegabilmente fatta più intensa la necessità di averlo accanto: quel ragazzo aveva un qualcosa che non mi spiegavo, ma la sua vicinanza mi dava una sorta di forza, una sicurezza incredibile. E in quel momento io ne avevo proprio un gran bisogno.
Quel pomeriggio, una strana sensazione di vuoto mi aveva rabbuiato l'animo.
Mi sentivo spenta, spaventata, come se qualcuno si fosse inumidito le dita con la saliva per spegnere la fiamma della candela che mi teneva al sicuro, lasciandomi così nel buio più totale, preda di ombre e mostruosità che non riuscivo a scorgere a occhio nudo.
La vergogna aveva, poi, preso il sopravvento su di me: non facevo altro che guardarmi intorno col timore che mia madre potesse spuntarmi davanti e leggermi in faccia i cattivi pensieri avuti nei suoi confronti.
Non riuscivo a non pensare al suo fare svenevole al telefono con un qualcuno che non sapevo chi fosse.
In cuor mio speravo di aver frainteso, che mia madre fosse fedele a suo marito, nonostante mostrasse di avere poca considerazione di lui e dei suoi problemi di salute.
Ero sempre stata dell'idea che i problemi si sarebbero risolti avendo fede, pregando e confidando in Dio, che le difficoltà lungo il cammino servivano a renderci persone migliori con gli insegnamenti che ci avrebbero regalato.
Non volevo avvilirmi, pur sentendomi come smarrita in un bosco buio, circondata da feroci e fameliche bestie con gli occhi rossi e i denti appuntiti.
Immaginai che mio padre si sarebbe preoccupato per me, nel sapermi depressa, mentre mia madre mi avrebbe spedita dritta in una clinica psichiatrica per poi fare finta, con tutti i suoi nuovi amici, di non aver mai avuto una figlia e che avrebbe costretto mio padre a reggerle il gioco.
Mi sentii male: quella era un'ulteriore preoccupazione che a mio padre non avrebbe fatto bene.
Ricordavo ancora come, un banale pomeriggio di pochi anni prima, ce ne stavamo in salotto per via della pioggia, di come mio padre stava sorridendo spensierato per poi svenirci all'improvviso davanti agli occhi. Non riuscivamo a farlo rinvenire, il suo volto era impallidito, il sudore gli ricadeva sulla fronte come un fiume straripato. Credevo potesse essere morto. Il mio corpo bruciava per lo spavento, la mente spaventata non riusciva a elaborare pensieri coerenti per la mancata lucidità.
Il dottore che lo aveva in seguito visitato in ospedale, dopo varie analisi e controlli, ci aveva detto che Arthur Barlow soffriva di una rara malattia debilitante. Quel giorno il mondo mi era crollato addosso, ma nonostante il dolore e la paura per quella notizia scioccante, mio padre, con un sorriso genuino, mi aveva stretta a sé e mi aveva accarezzato la testa con fare consolatorio.
Tu consoli me? Ricordavo di aver pensato. Tu stai male e ti preoccupi invece di come sto io?
Dalla cucina arrivarono odori così deliziosi che mi fecero risvegliare lo stomaco: un brontolio così rumoroso che, se fossi stata in compagnia, mi avrebbe fatta sentire in imbarazzo.
In quel momento, realizzai di aver saltato il pranzo.
Ero certa che mio padre si fosse messo lui ai fornelli, non solo per l'invitante profumo che mi penetrava nelle narici, ma perché sapevo che a mia madre non piaceva affatto cucinare: si lamentava spesso di non voler rovinare le sue unghie nuove, adoperando le mani.
«Fai bene a sentirti in colpa!» mia madre, seduta a capotavola, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo severo, mi rimproverò facendomi sobbalzare dallo spavento, una volta che stavo per sedermi anch'io.
Mi portai d'istinto le mani sulla faccia, imbarazzata e piena di vergogna come se fossi stata colta sul fatto a pensare male di lei. Ero così terrorizzata, all'idea che potesse scorgermi in viso che l'avessi origliata al telefono, che indietreggiai di un paio di passi.
«Ti pare bello che io debba cenare da sola con tuo padre?» mi domandò mia madre, guardando i posti vuoti lungo la grande tavola. «Sei una figlia irriconoscente! Ti sei fatta espellere e non hai portato nessun amico a cena. Mi hai disobbedito. Vai in camera tua, subito, e scordati di mangiare!»
«Sospesa, non espulsa!» affermai sottovoce, ma mia madre mi udì borbottare e si imbestialì.
Cominciai a temere che potesse urlarmi contro ancora più forte e, da come si era alzata in piedi infuriata, che potesse prendermi addirittura a schiaffi.
«Ancora sei qui, sciagurata?» mi rimproverò lei, afferrando il piatto con le mani e alzandolo verso il mio viso pronta a colpirmi. «Vattene in camera tua!» ripeté, scandendo per bene le parole; mi ricordò un serpente per come sibilava. «Non azzardarti mai più a mancarmi di rispetto! Quel Drake Gorman ti sta rendendo troppo irriverente!»
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Avrei amato solo te
RomanceTracy Barlow sta per compiere diciotto anni, è una ragazza solitaria amante dei romanzi rosa e delle stelle. La madre, scontenta che la figlia non abbia alcun amico, decide di portare tutta la famiglia nella sua cittadina d'infanzia, Snowy Mountain...