Ero in piedi di fronte a mia madre accucciata contro il mobile della cucina, le lacrime mi rigavano le guance e tra le mani stringevo la lametta che le avevo appena sottratto, lei era irriconoscibile, la avevo vista molte volte in disperazione ma mai come in quel momento: era accovacciata, le gambe strette al torace ei capelli arruffati, il braccio pieno di tagli sanguinanti che si era procurata nel giro di pochi minuti, avevo già scorto un paio di volte mia madre curarsi le ferite che si procurava da sola ma mai era arrivata a tanto sangue.
<<restituiscimele! Alex, ti prego>> continuò a supplicarmi di restituirle la lametta con cui avrebbe concluso la tortura che si era imposta da sola, io per l'ennesima volta scossi la testa e strinsi la stretta sulla lama che si era ricavata direttamente da uno dei miei tempera matite, sentii un bruciore sul palmo e poi una goccia scarlatta mi cadde ai piedi.
<<Alex ti prego, non puoi tenermi allacciata a questa cazzo di vita se io non voglio! Se vuoi dimostrarmi l'amore che provi per me lasciamelo fare, lasciami andare e accettalo, dimenticami, ti prego, sarebbe il regalo più bello mai ricevuto fin ora>>
E a quelle parole il mio cuore si era sciolto, era caduto in mille pezzi, con un urlo disperato avevo fatto cadere la lametta a terra, la cazzata più grande che avessi mai fatto. Lei non perse tempo nell'afferrarla e puntarsela al polso, una goccia di sangue le colò fino al gomito.
<<ora esci per favore, non voglio che tu mi veda, è per il tuo bene>> mi aveva supplicato con un sorriso flebile.
Sapevo che aveva ragione, che ciò che da li a poco sarebbe successo visto con i miei occhi avrebbe avuto un peso dieci volte maggiore, ma decisi di ferirmi, di punirmi per avrglielo permesso, per averle lasciato il consenso di amarmi come nessun altro per poi distruggermi come nessun altro. Le volevo un bene dell'anima, sapevo quanto soffriva ma con la sua sofferenza stava uccidendo anche me perché quando si soffre non si distrugge solo sé stesso ma anche le persone che ti circondano, e io non ce l'avrei fatta se avessi dovuto sopportare un giorno di più di vederla piangere, urlare dalla sofferenza e dal dolore al contempo, lei non ce l'avrebbe fatta.
Urlai come non avevo mai fatto quando lei spinse maggiormente la lama sul suo polso e la vena si ruppe, facendo uscire innumerevole sangue mentre mia madre chiuse gli occhi sorridendo. Sorrise. Sì, sorrise veramente, era giunta l'ora della sua libertà, della sua rivincita, lei non aspettava altro.
Caddi in ginocchio, afferrando le mani di mia madre nelle mie ed estrassi il telefono dalla tasca per chiamare i soccorsi e una volta chiusa la chiamata disubbidendo agli ordini di mia madre mi lasciai affogare dal mare della mia depressione. Avevo vent'anni, sapevo che la cosa migliore da fare sarebbe stata quella di mostrarmi felice, di soffrire da solo ma non riuscii a trattenermi nel momento in cui i medici fecero irruzione in casa e caricarono mia mamma su una barella, fu l'ultima volta che la vidi...
Aprii gli occhi di scatto, affondando i denti nel cuscino per ovattare un urlo di terrore. Era risuccesso. I ricordi mi avevano raggiunto nuovamente, facendomi cadere rovinosamente nella buca buia in cui già da anni cercavo di uscire, arrampicandomi alle poche mattonelle salde di quel pozzo senza fine, ma i ricordi ogni volta cercavano di farmi cadere, ed io non ero capace di essere più forte dei ricordi. Dopo tanto tempo che soffri impari a convivere pacificamente con la tua sofferenza, io non facevo nulla per me stesso, per il mio stato d'animo affranto perché il dolore era l'unico filo che mi teneva ancora legato a mia madre...e forse alla vita.
Con i battiti accellerati mi alzai dal letto sperando di non svegliare nessuno, ma per mia sorpresa dormivano tutti come sassi . afferrai dal comò il pacchetto di sigarette e il cellulare, poi uscii dalla stanza, dall'hotel pure e mi sedetti sul primo muretto ceh trovai al di fuori dell'edificio. Presi una sigareta dal pacchetto e me la portai alle labbra, poi la accesi facendomi da scudo contro il vento con la mano. Quando ero nervoso e distrutto la nicotina era l'unica cosa che sortisse l'effetto tranquillizzante desiderato. Da sadico qual ero accesi il telefono e aprii la galleria fino a trovare un video risalente a due anni prima: mia madre seduta ai piedi dell'albero di Natale con in mano la costosa collana che le avevo regalato, sorrideva mentre me la porgeva per potergliela allacciare dietro al collo. Era felice...o lo faceva sembrare perlomeno.
Poi aprii Whatsapp e aprii l'elenco delle chat archiviate, solo uno dei miei contatti era in quella lista: lei. Negli ultimi mesi della sua vita, avendo capito che non avrebbe retto altri giorni di sofferenza segreta aveva iniziato ad inviarmi diversi vocali, feci partire il più recente, dalla durata di ben sei minuti: <<A-Alex...i-io non ce la f-faccio più...t-tuo...t-tuo padre...è appena a-andato via...l'ha rifatto....i-io voglio f-farla...f-farla finita!>> diceva tra un singhiozzo e l'altro, distrutta come mai lo era stata. Rimisi il telefono in tasca d'un tratto frustrato, ero incazzato, incazzato nero. Perché lo aveva fatto? Perché aveva permesso a quel bastardo di Ethan di trattarla così? Perché mi aveva lasciato così? Perché...perché...perché non la raggiungo?
No! Dovevo donare ad Anna l'infanzia che le era stata sottratta, dovevo darle l'opportunità di essere felice, non potevo lasciarla, non potevo perché sapevo cosa si provasse nell'essere abbandonati, lei non doveva soffrire come stavo facendo io. Ma vorrei...
L'istinto era anche quello di riprendere tra le mani la lametta, la stessa lametta con cui si era distrutta e riempirmi il braccio di tagli che mi legassero a lei. Ma avevo promesso alle persone a me più care che non l'avrei rifatto, che sarei restato pulito, che avrei continuato la mia astinenza. Dicevo di ave smesso...ma mentivo. Avevo continuato ad autoinfliggermi ferite perché quando il ferro freddo di una lama mi sfiorava la pelle io provavo libertà, empatia e vuoto allo stesso tempo. Quando facevo scorrere il metallo tagliente sulla mia pelle rivedevo mia madre in lacrime, ma anche mia madre felice, felice di lasciar il mondo una volta per tutte, ed io non potevo far a meno di ricordarla, perché era l'unica cosa che mi avrebbe tenuto stretto a lei ancora e ancora. Non potevo e non volevo lasciarla andare, non potevo e non volevo accettare la sua scelta, ma dovevo.
Nel pomeriggio saremmo ritornati a casa e passati per l'officina per ritirare la macchina e poi avrei potuto rivedere Nora, lei che con la sua testardaggine mi era stata vicina anche nei momenti peggiori, lei che con il suo sorriso mi tirava su il morale, mi confortava. Le avevo detto svariate volte che non meritava di sopportare un problematico come me, che si meritava un futuro felice, degli splendidi bambini e un marito che le rivolgesse tutto il suo amore, che la coccolasse e che la facesse sentire al sicuro, non meritava di correre dietro ad uno come me, che non le aveva mai dato certezze, che aveva minacciato più volte lasciare la vita terrena, che era spesso scorbutico e chiuso in sé stesso. Ma lei cercava sempre di donarmi conforto, di starmi dietro ed accettare i miei sbalzi d'umore.
Lei era una delle poche persone che mi teneva legato al mondo.
Era aria.
Era fuoco.
Era acqua.
Era semplicemente il mio tutto.
SPAZIO AUTRICE: Ciao a tutti! spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto e che magari vi abbia fatto venir voglia di lasciarmi delle stelline (;
Ho anche deciso che questo capitolo necessitava di un paio di canzoni!
mi scuso se sono presenti errori ortografici o grammaticali ma appena concluderò la storia la metterò sotto revisione.
Al prossimo capitolo!
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Forget The Past
ChickLitForget The Past è un romanzo che narra come Alexander riesce grazie a sua sorella Anna e la sua fidanzata Nora a superare lo shock provocato dalla morte di sua madre. come andrà a finire? Beh...chiederlo a me non è molto rassicurante dato che ho...