Parte 13 - Cristian

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“A che brindiamo?”
Manuel lo guarda diversamente dal primo giorno. Lo guarda con ancora più amore, per quanto fosse possibile amarlo più di quanto già facesse anni prima. 

Adesso non sono più i due ragazzi poco più che ventenni, ora sono due adulti che hanno affrontato tantissime situazioni insieme, tra discussioni e difficoltà a volte grandi, ma sempre con l’obiettivo di passare una vita insieme.

“Ti sei scordato che giorno è oggi, vero?” Simone sorride, soprattutto quando vede l’altro pensarci preoccupato.

Non è l’anniversario di matrimonio, quello è tra un mese. Non è il suo compleanno, non è il mio. Che cazzo è?

“Oddio, Simò. Lo sai che faccio schifo con le date… che è, oggi?”
“Eh beh… pensaci”
“No, ti giuro. Ce sto a pensà, ma non mi ricordo. Di sicuro non è l’anniversario di matrimonio… e manco quello di fidanzamento, che comunque pure se fosse non vale perché dopo il matrimonio non si festeggia più l’altro”
Simone ride, ancora con il calice di vino sospeso in aria, al centro del tavolo.

“Dai… che me so scordato? Non devi ride, faccio schifo con le date, ti prego. Poi me sento in colpa”
“Non è niente, oggi. Però sapevo che sarebbe stato divertente vederti in panico”
Da un lato la tranquillità di non aver dimenticato qualcosa di importante, dall’altro l’odio nei confronti di quella persona che non smette mai, da una vita, di prenderlo per il culo.

“Sei proprio stronzo. Ti giuro, sei l’essere più spregevole della terra, io ho sposato un incubo!” si lascia sfuggire un sorriso, anche se cerca di restare serio.

“Dai, non lo faccio più. Giuro. Brindiamo a tutto quello che abbiamo…”
“Ma guarda che prima o poi rischi di non avecce più niente perché ti lascio”
“E poi che fai?”
“E poi me trovo qualcuno di meno stronzo”
“Nah… ti annoieresti”
“No, tu nun te preoccupà”
“La ribellione di Manuel Ferro ai soprusi del terribile marito Simone Balestra…”
“Eh, bravo! Proprio così!”
“Dai, cretino… cin?”

Manuel ci pensa, prima di far scontrare pianissimo i due calici.

“Cin”
Sorridono, guardandosi negli occhi, prima di portarsi entrambi i bicchieri alle labbra.
Sono nel loro ristorante preferito, quello in cui Simone l’ha portato per la prima volta dopo che erano tornati insieme una volta superato quel periodo di distacco.

Con il primo stipendio da contratto indeterminato, senza badare a spese, perché voleva fosse tutto perfetto.

“Oggi al lunapark era in ansia per te”
Non c’è bisogno che inserisca il soggetto. Simone parla di Aurora e Manuel lo sa bene, infatti sorride come fa solamente quando si tratta dei loro figli.

“Per i gettoni?”
“Sì, tantissimo. Per il fatto che ne avessi presi in più senza dirtelo. Più cresce e più ha un’apprensione per te incredibile”
“Cristian fa lo stesso con te…”
“No, non così. Ma guarda che mica sono geloso. Io impazzisco, quando la vedo così. E sono felice perché vuol dire che sei il padre migliore che potessi desiderare per i miei figli”
“Il migliore non lo so…”
“Sì, te lo dico io. Il migliore. E lo sei perché nemmeno te ne rendi conto”

La capacità di Simone di passare dal fare lo stronzo al ricordargli tutto l’amore che prova per lui è sempre alta.
Manuel pensa sempre di non fare abbastanza, da quando è nato, e Simone è sempre lì a ricordargli il contrario.

“Però non voglio che lei si preoccupi per me, e non voglio che cresca con quest’ansia di dovermi proteggere”
“Ma nessuno le ha mai detto di farlo. Ha solo quattro anni, è solo istinto, il suo. Lo fa perché si sente vicina a te, probabilmente ti vede più fragile, più dolce, più premuroso.”
“Lo sei anche tu”
“Sì, ma guarda che non devi rassicurarmi. Io sono davvero solo felice, lo sarei anche se volesse più bene a te e lo dicesse. E comunque io non sono come te, lo sanno anche i muri. Mi amano e mi ameranno esattamente per gli stessi motivi per cui mi ami tu, e quei motivi non saranno di certo le coccole nel letto”
“Ah beh, anche perché io di aiutarli con i compiti poi non ne voglio sapere. E manco di portarli a fare sport. E quando saranno grandi, i discorsi quelli seri glieli farai tu perché io col cazzo che devo andare in ansia per spiegare come si fa sesso protetto”
“Madonna, Manu… c’hanno quattro anni, mancano almeno dieci anni”
“Ma che dici anni, oh? Na ventina”
“Sì, certo. Come no. Comunque si, non te lo dicevo per quello. Ma perché quel tipo d’amore non cambierà mai, ed entrambi ti amano tantissimo”
“Lo so… infatti io ormai non c’ho più paura di niente. Nemmeno di rimanere da solo”

Simone sorride. Lo guarda e finalmente vede un uomo più sicuro di sé, nonostante le mille fragilità.
Si guardano entrambi per alcuni secondi, fino a quando sono costretti a guardare il cameriere che porta ciò che hanno ordinato.

“Io ti amo principalmente per du cose. Anzi, tre!” dice Manuel, addentando il primo boccone, “La prima è perché sei tu e me sento male ogni volta che te guardo. La seconda è perché m’hai regalato la famiglia che ho sempre sognato…”
“E la terza?” si aspetta una grande cazzata.
“Mi offri sempre le cene pazzesche!”
“Ecco, lo sapevo”
“Amore, è importantissimo”
“Non chiamarmi amore in questo modo…”
“Che modo?”
“Questo. Perché poi mi verrebbe voglia di mollare la cena e tornare a casa”

Manuel ride, con l’indice della mano destra che oscilla come un pendolo per simulare un “NO”.
“Non ci pensare. Io devo mangiare, non lo vedi che sono dimagrito?”

Lo squillo del telefono di Simone li distrae entrambi, e si guardano per un attimo perché sullo schermo appare la scritta “Papà”.

“Ohi, Pà. Che è successo?” lo chiede già preoccupato, perché non è mai capitato che Dante li chiamasse dal nulla durante la loro serata del venerdì.

Manuel ha già lasciato tutto il cibo nel piatto, e vorrebbe avere la capacità di sentire cosa gli stia dicendo dall’altra parte del telefono. Non fa nemmeno in tempo a chiederglielo, perché Simone si alza di scatto e gli fa cenno di seguirlo.

“Simò che è successo?”
“Come sta? Che si è fatto?” lui continua a parlare con suo padre, e allo stesso tempo con il signore alla cassa del ristorante che li guarda senza fare nemmeno una domanda. “Il conto, per favore. Andiamo di fretta”

“Simò che cazzo è successo?”
“Cristian è caduto dalle scale”
“Che vuol dire che è caduto dalle scale? A quest’ora dovrebbero essere a letto. Che si è fatto? Come sta?”

Simone quasi strappa dalle mani del ristoratore la ricevuta di pagamento ed esce dal locale pronunciando un secco “Arriviamo” a suo padre prima di chiudere la chiamata.

“Simò, cristo”
“Manu, non lo so. Non lo so che cazzo è successo, ha detto mio padre che si è alzato dal lettino da solo, perché stava dormendo. E loro hanno solo sentito il tonfo”
“Ma come sta?”
“Pensa si sia rotto qualcosa”
“Io lo sapevo che non li dovevamo lasciare da soli, lo sapevo”
“Oh, Manuel!” si blocca in mezzo alla strada, quasi gridando. Il suo livello di preoccupazione è già alto, e suo marito non migliora la situazione. “Se la smettessi di tartassarmi, arriveremmo prima. E comunque, anche si fosse rotto una gamba sticazzi. La gamba si aggiusta. L’importante è che non abbia battuto la testa. E se fai così diventi un peso aggiuntivo!”

Manuel non dice più niente. Rimane totalmente freddato da quella risposta ad alta voce, a muso duro, come una sorta di rimprovero ad un bambino.
Sale in macchina e resta zitto per tutto il tragitto. Non ha nemmeno il modo di pensarci, a quella risposta. Adesso nella sua testa ha solo Cristian.

“Dove sta?” entrambi scavallano i corpi dei due nonni che hanno iniziato a giustificarsi fin dalla porta d’ingresso.

“Cri! Amore… come stai?” lo raggiungono entrambi con il cuore in gola, ma da un lato sollevati di vederlo sveglio, vigile e seduto sul divano.

“Mi fa male il braccio”
“Lo riesci a muovere?”
“Sì, ma la mano no…”
“Ok… non è successo niente. Adesso ti portiamo dai dottori che ti fanno una mega fotografia per vedere se è tutto a posto e poi al massimo ti mettono una fasciatura, così poi starai meglio” è Simone a parlare, perché Manuel è impegnato a lasciargli mille baci sulla fronte.

“Io volevo solo andare dai nonni perché avevo fatto un brutto sogno, ma non erano in camera e sentivo la tv accesa giù…”
“Non fa niente, amore. Succede, di cadere. L’importante è che stai bene. Hai battuto la testa? Ti fa male qualcos’altro?”
“No, però voglio dormire nel lettone con voi…”
“E certo, che ci dormiamo. Tutti e quattro insieme. Però adesso andiamo all’ospedale dei bambini, ok?”

Se fosse successo ad Aurora, con ottime probabilità avrebbe iniziato a piangere dallo spavento perché i dottori non le piacciano, nonostante loro abbiano cercato di spiegarle tante volte che sono buoni e che la fanno stare bene.
Cristian, invece, si lascia convincere con poco e in breve tempo sono tutti e tre al pronto soccorso, mentre i nonni sono rimasti a casa con Aurora. Questa volta al piano di sopra, accanto a lei, con il senso di colpa che li divora. 

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