Capitolo 19

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Alla fermata Milano Greco Pirelli dove sono scesa, in un un bar dalle pareti giallo sporco e le sedie di plastica, i tavoli di plastica e un pigro ventilatore appeso al soffitto. Finisco il sorso, prendo un respiro, appoggio la bottiglia sul tavolo. Manca un'ora e mezza all'intervento, e io ci andrò ubriaca marcia.
Bevo, al mio dolore, che mi merito di provare.

Ho finito la bottiglia.

Il ventilatore ronza. Zzzzzzzz. Il rumore aumenta. Zzzzzzz. Entra nella mia testa. Zzzzz. Me lo sento nel cervello. Zzzzzz. È un rumore costante. Zzzzz. Un rumore continuo. Zzzzzz. Sento la terra tremare. Zzzz. È come una scossa tettonica. Zzzz. È un rumore tranquillo e tremendo allo stesso tempo.

Zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz

Sono ancora nel bar ma non so più dove mi trovo. È l'effetto dell'alcol.
Il ventilatore si trasforma nella luce al neon fredda dell'ospedale. Intorno a me, tavoli e sedie sono vuoti, pieni solo di ombre di quelli che sembrano esseri umani. Il mondo è diventato in bianco e nero. Io sono in bianco e nero. Sono finita dentro una vecchia TV.

Una voce mi sussurra all'orecchio parole incomprensibili. Mi volto e al mio fianco vedo un'ombra nera. Si avvicina, curvandosi verso di me e riesco a sentire le sue parole.

Bianco bianco bianco tenda tra le dita come velo da sposa come velo con cui giocavamo da piccola alla bella addormentata nero nero nero come la mia mente la mia disperazione come il mio grembo pieno.

L'ombra parla ancora, sussurra parole non estranee a me.

“Ucciditi.”

Esco dal bar


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