Capitolo 41

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Scendo.
Un passo di cui colgo ogni passaggio, prima sollevo il ginocchio, poi lo tendo e lascio che tocchi il marciapiede, sposto il peso su quel piede e con l'altro mi spingo verso il basso, alla fine arrivo, con entrambi i piedi che poggiano sulla strada.
Lo zaino non è pesante. Non ci sono bottiglie di alcol, dentro.
Non mi sento brilla, anche se vorrei davvero tanto scolarmi un'altra birra, solo per sentire la testa girare e non dover pensare o affrontare tutto questo.
Il mio primo passo da donna libera.

Mi guardo intorno: ero così presa dai miei pensieri che non l'ho mai fatto veramente prima, se non per cercare un numero civico che non trovavo.
Una tabaccheria all'angolo della via che si chiama proprio "All'angolo". Sembra che sia lì dagli anni Settanta: l'insegna è scritta con una grafia antiquata e la saracinesca chiusa (oggi è lunedì) è ingiallita dal tempo. C'è anche un'insegna con la T di tabaccheria con varie icone, tra cui quella della ricarica telefonica e del fax. Sì, dev'essere un negozio vecchio.
Una signora anziana con gli occhiali e una collanina dorata che aspetta in coda alla panetteria sul lato sinistro della strada. Mi chiedo che tipo di pane comprerà.
Un ragazzo con la maglietta bianca e i pantaloncini rossi porta a spasso il barboncino color caramello, sembra quasi che i ragazzi non sentano il freddo. Persino Pietro, ora che ci penso, era sempre in maglietta e pantaloncini. Occasionalmente si metteva una felpa e dei jeans, ma solo in pieno inverno. Chissà perché.
Un singolo albero spicca sull'asfalto, stranamente rigoglioso e alto, molto diverso dagli alberelli striminziti del cortile del mio liceo. Fa ombra. Le foglie verdi sembrano gridare io ci sono.
Una bambina di circa cinque anni cammina dietro alla madre, che spinge un passeggino che trasporta un bimbo di non più di un anno. "Ciao albero!" esclama la bambina, stringendo la sua bambola di plastica fai capelli stopposi. La madre le fa eco "Ciao, albero" e nella sua voce colgo una certa stanchezza.
Per terra, asfalto intervallato da piccole piante infestanti che si sono fatte strada in quella muraglia dura.
In alto, nuvole bianche passeggere fanno da contorno al sole. Ha piovuto poco, in fondo. La pioggia non ha neppure lasciato pozzanghere.

Respiro.
Sento il fiato che mi riempe prima le narici e poi i polmoni, ossigena il mio corpo per un secondo e poi via, esce dalle mie labbra.

Conto fino a dieci.
Uno, devo andare all'ospedale ma mi manca solo una camminata di pochi minuti, quindi ho tempo di respirare un po'.
Due, quanto ho speso per l'alcol in questa settimana. Ci penso e faccio un'approssimazione. Una bottiglia di superalcolico al giorno nel pomeriggio. Almeno due grosse bottiglie di birra a pasto, se non si conta la colazione con una lattina o una bottiglia piccola da uno e cinquanta. A occhio e croce direi, un minimo di sessanta e un massimo di cento. Qualcosa deve cambiare. E subito.
Tre, se voglio essere una persona migliore devo iniziare adesso.
Quattro, lasciare Pietro e Beatrice è di certo un passo avanti ma devo prendermi le mie responsabilità.
Cinque, per esempio come mai mi sono lasciata avvicinare da due personalità manipolatrici, perché non me ne sono andata.
Sei, qual è la vera ragione per cui non parlo più con mia madre?
Sette, perché me lo ha detto Pietro. Ora è chiaro, voleva solo isolarmi. Forse posso fare qualcosa per rimediare.
Otto, è vero che ho subito bullismo, che gli insegnanti che ho avuto erano dei mostri, ma adesso sono adulta.
Nove, è il caso che io smetta di cercare di farmi girare la testa con l'alcol e inizi a.
Dieci, capire come mai ho dato finora tutta la colpa della mia infelicità a chi mi ha fatto del male.

La risposta è semplice: era più facile così.

È vero che le persone che ho incontrato non pensavano al mio bene. Che hanno cercato di distruggermi in ogni modo. Ma io posso ricostruirmi. Posso mettere un fermo a questa continua voglia di cercare amore negli altri e non in me stessa. Posso cercare un sorriso guardandomi attorno. Posso ascoltare le mie parti, anche le più oscure, senza temere che mi facciano del male.

È vero, una parte di me resterà sempre ferita. Vorrà sempre cercare di nascondersi o sparire. Ma devo ricordarmi che tutti hanno un'ombra. Tutti hanno qualcosa di rotto. La parte di me che voleva gettarmi sulle rotaie, l'ombra, non è altro che qualcosa che non ho mai accettato o voluto ascoltare e allora lei ha cercato in tutti i modi di farsi sentire. Per questo è venuta fuori così violentemente. Per questo la mia parte bambina è spaventata e mi manda visioni di morte. Perché non la ascolto, esattamente come l'ombra.

Ma posso iniziare ora.

Perché bevo? Per non sentire. Allora mi darò la possibilità di pensare e sentire tutto. Così le mie parti potranno parlare liberamente.

Cosa sento?

Dolore. E so bene il perché. Non mi sento all'altezza. Non mi concedo di poter provare a sbagliare e ad essere me stessa. Non mi do' la possibilità di provare gioia.

E se invece mi concedessi della gioia?

Sorrido.

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