Postura sicura, sì, ma dietro le sue orme

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Eveline accanto alle mani di Harry sembra persino più piccola di quanto già non sia, quasi potrebbe starsene comodamente raggomitolata su un suo palmo.
Il ritorno a casa, a tre giorni dal parto, profuma di neve, pannolini e tutine morbide.
Harry mi cammina davanti sul vialetto ghiacciato, reggendo l'ovetto della piccola con una mano e il mio borsone dell'ospedale con l'altra.
«Fa' attenzione a non scivolare», mi dice, voltandosi indietro non appena raggiunge la porta.
Ma l'aderenza del mio corpo col suolo si sviluppa nell'inoffensivo scricchiolio delle All Stars, mentre ne calpesto la neve solidificata sotto la suola. Ed io ne resto sorpresa, che possa fare tanto rumore sotto le scarpe.
Mi accorgo che sono tanti, in realtà, gli accorgimenti che negli ultimi giorni mi stanno sorprendendo. È un po' come essere tornata nuovamente bambina e che i miei occhi si stiano aprendo e posando sul mondo circostante in una seconda prima volta.
Harry, inutile dirlo, è già perfettamente calato nel suo ruolo di papà mentre io, per il momento, sto per lo più seguendo le orme lasciate al suo passaggio.
Non tanto come un cucciolo- ché quel ruolo l'ho già ceduto di diritto ad Eveline, nonostante lo abbia calzato a pennello anche io fino a non troppo tempo fa. Il mio seguirlo adesso è più un pacifico accettare di dovermi fare spessa sulle gambe e imparare a smettere di trotterellargli dietro, per cominciare invece ad incedere sicura e ferma al suo fianco.
Si tratta solo di aumentare un po' il passo. Ancora un pochino- e levigare le ultime posture disarticolate dell'adolescenza.
Di certo una non può apparire adulta e credibile così, dall'oggi al domani, per il solo fatto di aver messo al mondo una bambina.
Perciò osservo lui.
E nel farlo imparo subito a reggerla esattamente come la regge suo padre, prima preferendo tenerla con entrambe le braccia- e poi, maturata la sicurezza direttamente dall'istinto, facendomene bastare solo uno come lui, mentre la sorreggo saldamente con le dita tra le gambette arricciate.
La alzo con la stessa delicatezza in cui la solleva lui, ché per quanto le infermiere siano state esaustive nell'indicarmi i delicati approcci da osservare nei confronti di mia figlia, c'è da dire che la loro professionale sicurezza nel prenderla e rigirarla come una bambolina di pezza hanno finito solo col confondermi.
Meglio ripartire da zero, osservando le mani premurose e gentili di papà.
Vederlo eseguire tutte quelle posture adulte e decise mentre si prende cura insieme a me della bambina, mi regalano una seconda ondata di innamoramento furioso nei suoi confronti.
Esattamente come la prima volta, in quanto ad intensità- ma più feroce e rapido.
E così, mentre sto cambiando Eveline sul fasciatoio nella sua cameretta, vederlo osservarmi sorridente con la schiena appoggiata alla finestra mi fa sentire nervosa al pari di quando in classe mi scrutava dalla cattedra durante una sua verifica.
Affondo i denti nel labbro, Eveline si pasticcia il visetto con la manina. Non mi guarda- ancora non mi può vedere né suggerire, questo cucciolo di umano che devo imparare a capire, gestire e anticipare in ogni suo bisogno e versetto.
«Mmm», mi acciglio, ché sicuramente come pannolino è enorme per lei, ma d'improvviso mi sembra anche piuttosto storto.
Per la decima volta stacco una linguetta e la sistemo più dritta.
Harry sbuffa un sogghigno, ma lo vedo quanto si sta trattenendo, mentre si morde a forza le guance per non scoppiare a ridere.
Stacco e riattacco anche l'altra.
Eveline continua a pasticciarsi annoiata la faccia.
Le riabbasso di nuovo il braccino, temendo possa ferirsela con le unghiette.
«Può andare?», domando infine ad Harry.
E lui, tornato serio, si sporge sul fasciatoio, annuendo greve.
«Non da primo posto per il concorso PanPers, ma penso se lo farà andar bene- avrai tempo per allenarti». La sua risata gli storpia la voce, ora, mentre gli scocco un'occhiata risentita.
Inutile dirlo- lui riesce a metterglieli alla perfezione.
«Amore», sospira, allungando il viso verso il mio orecchio. «Sai dove finirà il tuo lavoro di precisione millimetrico-centellinata fra due ore? Nell'immondizia- insieme agli altri cinque da stamattina».
La sua voce esce calda, soffiandomi i suoi sussurri sulla pelle come venticelli torridi in pieno inverno.
Deglutisco.
E lui si acciglia di sorpresa, tirandosi indietro.
«Stai arrossendo?»
«No- sì», fremo in un sussurro, guardandolo intimidita dal basso.
«In mezzo a quest'odorino- che coraggio!», sogghigna, alzando la piccola con la sua solita, irresistibile, instancabile sicurezza di uomo adulto.
E prima ancora che possa lanciarmi in qualche rimostranza circa le mie altrettanto instancabili frustrazioni ormonali, con la mano libera lui mi sfiora il mento e mi schiocca un bacio sulle labbra.
Regge Eveline verso l'esterno, attirandomi contro il fianco per concedermi l'altro lato libero del suo corpo.
E mi bacia un po' di più.
Faccio per parlare, ma i pensieri vengono morsi via dalla sua bocca prima che possa dar loro voce. Consapevole di me e dei miei desideri, Harry sorride e ritira piano il viso.
«Mettiamola a dormire prima, mmm?».
Eveline attorno alle sette di sera in questi tre giorni in ospedale si è sempre addormentata di sasso- per poi darmi i primi assaggi delle classiche notti in bianco da neo mamma.
Oggi invece ha deciso di muovere e agitare manine e piedini per qualche altra ora, sdraiata sulle chilometriche gambe piegate del papà.
Seduti sul divano, la guardiamo menare pugnetti e calci all'aria senza stancarsi un solo istante, deliziando il mondo intero con quelle smorfiette esilaranti.
Sì, fanno ridere ogni volta come la prima.
«Chissà cosa vuole dirci», domando rapita, provando ad indovinarlo da me. A tre giorni di vita il cervello è ovviamente già funzionante, ma immaginare cosa si muova lì dentro, quali generi di emozioni e sensazioni traduca, tra tutte le ombre che la circondano, mi riempie di stupore e curiosità.
Sono già pensieri intelligenti, rispetto al normale? Sì, non può che essere una bambina geniale quella che ho offerto al mondo, rubando un po' di geni da Harry.
Mi accoccolo al suo fianco, sondando in silenzio quel piccolo scrigno di misteri per minuti e minuti.
Poi arriva il momento della poppata.
E del cambio del pannolino.
Si addormenta attorno alle dieci, quando finalmente la adagio nella carrozzina accanto al nostro letto.
«Non abbiamo neanche cenato»
«Hai fame?», mi domanda Harry, puntellando il gomito nel materasso.
«Non particolarmente»
«Vado a prenderti qualcosa»
«Non ho fame, Harry- non di cibo»
«D'accordo, l'ho capito quello- ma stai allattando, Joy», ribatte fermamente. «Ti servono energie».
Lo lascio fare e con diligenza mangio tutto quello che porta con sé in camera- dal riso che ho preparato a pranzo al pane e prosciutto improvvisato da lui con le poche scorte rimaste in casa.
«Dobbiamo andare a fare la spesa», sbadiglia. «Mi viene già da ridere- carrello e carrozzina sarà nuovo anche per me», aggiunge, strappando un pezzo di pane coi denti.
Quel rumore fa esplodere nella mia mente un altro giro vorticoso di accorgimenti in seconda battuta e per qualche istante mi ritrovo affranta- sorpresa dalla perfezione della natura, che ha deciso di dotare gli esseri viventi di una doppia fila di piccole ossa taglienti, posizionandole in bocca assieme alla lingua molle e delicata.
«Che c'è? Hai sete?», mi domanda, ma prima ancora che possa rispondergli, si rigira nel letto per afferrare la bottiglia dal comodino e passarmela.
Bevo qualche sorso, rapita dal fatto che anche quelle azioni mi riescano del tutto automatiche ed involontarie.
So che l'epiglottide sta chiudendo per me le vie aeree, consentendo all'acqua di venire spinta dal gozzo giù per l'esofago, fino allo stomaco.
È così che ci dissetiamo ed idratiamo, senza rischiare di inzuppare i polmoni e morire soffocati.
«Joy- ti senti bene?».
La sua domanda mi piove addosso mentre sto scrutando l'etichetta della bottiglia.
Persino l'acqua ha un sapore nuovo nella mia bocca. E anche il suo scintillio rinchiuso nella plastica mi risulta più vivido.
Voglio capire come funziona la rifrazione della luce sulle superfici liquide e trasparenti-
«Ehi-».
Sorrido, lasciandogli la bottiglia.
«Sei un po' persa, devo preoccuparmi?»
«Credo- di essere scivolata di nuovo nella fase dei perché», rispondo con un sospiro, accoccolandomi al suo fianco.
«Oh- bene», ride lui, aggrottando le sopracciglia. «Cerchiamo di superarla prima che la cominci lei, allora»
«Sono seria, mi sembra tutto così- nuovo e mai visto, attorno a me».
Sorride, mentre alzo il volto per guardarlo.
«Sì», sospira poi, stendendosi sul mio corpo. Posa la testa sul mio seno gonfio e subito mi accingo a scivolargli le dita tra quelle ciocche mosse di cioccolata. «Credo di aver capito cosa intendi»
«Davvero?»
«Mm-mm», annuisce, puntando il piede contro la carrozzina. «Dopo che sono uscito dalla sala parto, mi è sembrato che l'intero pianeta fosse cambiato. Che si fosse rigirato- non saprei spiegarlo in un'altra maniera», mi spiega, scivolando le dita avanti e indietro sul mio ventre ancora rigonfio. Non ne sembra disturbato- non quanto me.
«Tipo- sottosopra?»
«No, più... come se si fosse girato- per guardarmi in faccia».
Lo fa anche lui, ora. Rialza il volto dal mio petto e mi inchioda gli occhi coi suoi, verdi e luminosi come fanali nella notte più buia.
Le mie guide nelle tenebre.
Dei fari, in tutto e per tutto.
Sfacciatamente bello, sbuffa un sorriso dal naso e ci dà dei filosofi consumati, di quelli che non ci hanno creduto abbastanza.
«Tu- se mai», mi offendo, ridacchiandone subito dopo con lui. Ma io sono molto gelosa di quel che mi sta capitando.
È una piccola fetta di questa grande magia che è la nascita di una nuova vita. Io e lui facciamo parte del pacchetto originario che l'ha resa possibile, per questo forse ce ne sentiamo tanto toccati e rapiti.
Dimenticandoci di noi, alla fine ci addormentiamo sul letto.
E al nostro risveglio, poche ore dopo, Eveline si sta cimentando nell'ennesima prova dei suoi polmoni nuovi di zecca, strillando e urlando dalla carrozzina.

Joy D. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora