Ingarbugliati senza speranza

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Giunti a questo punto, guardarsi indietro comincia a farmi paura.
E avanti non voglio nemmeno provare a sbirciare, ché qualsiasi cosa mi riserverà il futuro, stando a come sto vivendo nel presente dubito possa esserci qualcosa di positivo per il sottoscritto.
In primis perché so di star costruendo su un terreno davvero dissestato.
E poi perché so benissimo di non meritarmelo.
Non finché continuerò a comportarmi in questo modo con Joy e soprattutto con Chelsea. O forse con Chelsea e soprattutto con Joy.
Oppure soprattutto con entrambe.

Ogni mio tentativo di allontanare da me Joy, non fa altro che concludersi in un fallimento. E la stessa fine la fanno anche tutti i miei disperati sforzi di riportare a galla l'amore che ho provato per Chelsea.
Undici anni ad amarla- per arrivare a questo punto.
E lo so che non è colpa mia, che è stata lei ad andarsene e che io ho semplicemente voltato pagina nel frattempo. Ma ammettere a me stesso di non essere più innamorato di lei sarebbe deleterio, ora- solleverebbe altre prese di coscienza che non sono posso permettermi di accettare.
Per questo averla in casa mi aiuta a rimanere coi piedi puntati in ciò che è possibile e reale.
Recitare la farsa dell'uomo impegnato tiene lontani dalla mia mente certi pensieri prepotenti e inopportuni e in un certo senso mitigano la gravità delle volte in cui scivolo e cado di faccia, ingarbugliandomi sempre di più nella tela amorosa che Joy ci sta intessendo attorno.
Sempre più fitta.
Sempre più paralizzante.
Dalla volta in cui ci sono ricascato e sono andato da lei, per poi guidare fino ad un vecchio parcheggio sotterraneo abbandonato con lei appesa al collo, mi sono ripromesso che non sarebbe più successo.
E invece sono già scivolato altre volte, da allora.

Una in piena notte, due settimane fa. Mi ha chiamato piangendo, giusto per distruggermi a parole e dirmi che le mancavo e che non sopportava più questa situazione, che non riusciva nemmeno a trovare la forza di venire a scuola, perché sapeva che rivedermi la faceva soffrire maledettamente.
E io che ho avuto giusto l'accortezza di allontanarmi dalla camera da letto, prima di risponderle, visto che Chelsea mi stava dormendo affianco e quel suo pianto disperato era talmente forte da rompere il silenzio.
Non avrei potuto giustificarlo in alcun modo.
Ho cercato di calmarla, di prometterle che ne avremmo parlato ancora e ancora e che se tutta questa situazione le causava troppo dolore, a fine anno avrei fatto richiesta alla preside di cambiarmi di sezione- o quanto meno di affidarmi un'altra classe al posto della sua.
Ma ogni mia parola si è risolta inutile e Joy era sempre più affranta di dolore- il suo singhiozzare all'altro capo del telefono mi soffocava, tutto ciò che avrei voluto fare era montare in macchina e andare da lei per stringerla a me e rapirla dal mondo.
Perché? Perché mi sono sentito autorizzato a rovinare quella ragazza? E a rovinare me stesso, ormai indissolubilmente legato a lei a doppio filo?
Non sono riuscito a rimanere fermo sulle mie scelte. Non di fronte alle sue lacrime, ai suoi singhiozzi e alle sue preghiere di aiutarla a stare meno male.
Per aiutarla dovrei sparire, ma le mie responsabilità non me lo consentono. Non con l'anno scolastico che volge al termine, con due classi che stanno per affrontare gli esami del diploma e tutta la mia vita- qui, a Bournemouth.
Andai da lei, quella notte.
Presi quello scricciolo di ragazza fra le braccia e la portai con me nella sua stanza, rimanendo con lei ad asciugarle ogni singola lacrima fino all'alba.
Mi sono sentito fiero di me stesso per aver resistito alla voglia di lasciarmi andare, di compiere ancora quell'errore che stava rovinando entrambi e concedermi qualche ora di puro abbandono con lei, in quel letto.

Nei giorni seguenti Joy mi ha tempestato di messaggi in cui mi chiedeva scusa, mi implorava di dimenticarmi di quella crisi di pianto e mi prometteva che non sarebbe successo mai più. -Voglio solo che rimani nella mia vita, mi ha scritto.
Ma poi il destino ha voluto mettersi di nuovo in mezzo, facendo in modo che Chelsea ed io ci ritrovassimo a passare proprio dallo stesso piano del centro commerciale in cui Joy aveva deciso di trascorrere il pomeriggio con Carter.
L'ho vista subito da lontano, mentre Chelsea era ferma poco più indietro, col naso incollato alla vetrina di un negozio.
Stava uscendo da un negozio di erboristeria, con gli occhi fissi nel sacchetto aperto sotto al suo naso, quasi stesse controllando che i suoi nuovi acquisti non fossero scappati via.
In una frazione di secondo, ho sentito il pavimento cedere sotto le scarpe e quando il suo sguardo si è spostato davanti a sé-anche a metri di distanza i suoi occhi mi hanno scavato dentro, lasciandomi di pietra.
Fermo.
Immobile.
L'ho osservata allontanarsi con Beatris a passo svelto, sentendomi stritolare il petto nel vederla appoggiarsi alla parete in fondo al piano, girata di spalle e con la mano premuta sul volto.
Avrei voluto correre da lei? Più di ogni altra cosa al mondo- ché il mio sembra destinato a ruotare solo attorno lei.
Non riuscivo a pensare ad altro, mentre lo sgomento e il senso di colpa mi costringevano lì, coi piedi incollati al suolo.
E così... niente.
Non ho fatto niente.
Ho semplicemente aspettato che il pomeriggio di compere giungesse al termine, continuando a recitare con Chelsea al meglio di me nonostante il dolore, le lacrime che spingevano dolorosamente per uscire e la voglia di scappare via da quel posto, di nascondermi e di urlare fuori ogni strato di disperazione che si era intanto impossessato del mio animo.
Non ce l'avrei fatta a resistere.
Mentre guidavo verso casa con gli occhi ancora pieni dell'immagine di quella ragazza, del suo sguardo afflitto e vuoto, temevo che sarei esploso da un istante all'altro davanti a Chelsea.
Sul punto di crollare, una volta arrivati a casa, sono andato a infilarmi sotto la doccia per evitare il dramma di lei che mi vede piangere per via di un'altra.
Meglio di no.
Chiuso lì dentro, i pensieri si sono poi gonfiati fino a prendersi tutto e riempire ogni anfratto, riecheggiando contro le ante appannate e schiacciandomi al muro, da tanto pesante era il senso di colpa che avevano sollevato.
L'amarezza ormai dilaniante ha avuto ancora una volta la meglio su di me, soffocandomi e facendomi esplodere in un pianto sommesso e silenzioso.
Sono uscito dal bagno dopo quasi due ore, chiuso in un silenzio carico di mille pensieri cupi e assillanti.
"Vado a fare un salto al bar con William e James", ho detto a Chelsea prima di uscire- e con questa sola frase mi sono giocato ancora una volta la speranza di fare la cosa più giusta per Joy.
Ho fermato l'Audi a pochi passi da casa sua, l'ho chiamata e l'ho pregata di aprirmi, sotto la pioggia battente e con il cuore in procinto di collassarmi nel petto.
Ma lei non ne voleva sapere.
Mi urlava di andarmene, di tornare da Chelsea e di lasciarla in pace, che mi odiava e non voleva più vedermi.
Avrei voluto tirar giù quella cazzo di porta a calci, fare irruzione in casa sua e costringerla ad ascoltarmi- una buona volta.
Volevo dirle tutto.
Volevo dirle di come Chelsea mi aveva distrutto il cuore, riducendomelo in poltiglia e facendomi credere con fermezza che mai più sarei stato in grado di amare qualcun'altra, dopo di lei.
Volevo dirle di aver creduto il suo ritorno nella mia vita come un'occasione provvidenziale, ché stavo compiendo un errore imperdonabile a dedicare quel genere di attenzioni ad una ragazzina- ma forse con lei mi sarebbe stato più facile lasciarla finalmente andare e tornare a comportarmi da adulto.
Volevo dirle che mi ero illuso di poterlo fare davvero- e che tutte le precedenti erano cazzate che mi raccontavo per portare avanti quella farsa con me stesso e col mondo.
Ma quando Joy ha infine accettato di farmi entrare in casa sua- ancora una volta non le ho detto niente di quel che avrei dovuto e Chelsea si è allontanata sulla retta via, scomparendo con essa dalla mia mente non appena mi sono trovato di fronte a quei due occhi gonfi di lacrime, stanchi e spenti.
E sono caduto- ancora.
Ho passato l'intera notte con lei, nel suo letto, curando il suo dolore con l'unica cosa che potevo darle, per quanto non mi fosse concesso.
L'ho amata da pazzi.
Fino a perdere la ragione.
Poi sono rimasta a guardarla addormentarsi ancora nuda e avvolta nel lenzuolo, coi lunghi capelli sparsi sul cuscino e le mani abbandonate ai lati del viso.
Una dea.
La mia bellissima dea proibita- che non mi era concesso amare, ma che avrei voluto amare con ogni energia e fibra del mio essere.
Tornato a casa, non sono riuscito ad addormentarmi fino alle prime luci del mattino. Avere ancora addosso l'odore di Joy, sentire nella testa i suoi ansimi e percepire ancora le sue labbra sulla pelle, mentre Chelsea mi dormiva accanto, è stata davvero una sensazione alienante.
Eppure per quanto mi potessi sforzare, il senso di colpa per aver tradito quella che, nel mio immaginario di realtà imposta, era ancora la mia compagna- non si è fatto trovare da nessuna parte dentro di me.
Dover stare con lei era una semplice convinzione.
Niente a che vedere con ciò che volevo davvero.

Sono passati alcuni giorni e quel secondo scivolone con Joy non mi dà ancora pace.
Provo a distrarmi con un bicchiere in più, stasera, ma credo mi si legga in faccia ogni pensiero che sto cercando di distruggere e spazzare via.
A lezione mantenermi lucido e concentrato si è rivelata un'impresa titanica, visto che non appena posavo gli occhi su Joy, seduta in seconda fila, dentro di me sentivo gonfiarsi sempre di più la consapevolezza tremenda di aver letteralmente rovinato una giovane ragazza nel fiore della sua più bella età.
Quanto a lungo mi sarei dannato e maledetto per ogni singolo bacio che le avevo dato e per ogni singola volta in cui l'avevo fatta mia?

«Ti stai facendo una sega esistenziale, Harry»
«Dici- eh?», rispondo in un sospiro, portandomi di nuovo il bicchiere di birra alle labbra.
James in tutta risposta scrolla le spalle- ma uno scapolo incallito, geloso e fiero della sua indipendenza ed assenza di legami, non credo possa capire a pieno il mio punto di vista.
«Hai passato tre anni della tua vita a martellarti le palle per quella donna- e ora che è tornata sembri ancora più depresso di quando speravi che tornasse».
James e la sua solita delicatezza.
Ma quanto meno mi ha strappato un sorriso, ché le sue parole non avrebbero potuto descrivere meglio la situazione in cui mi trovo.
Alzo gli occhi su William e noto dalla sua espressione che lui trova tutto questo in qualche modo normale. O almeno così mi sembra di capire, visto che ha appena alzato le sopracciglia in maniera eloquente.
«Secondo me era anche ora che ti passasse».
Per l'appunto.
«Voglio dire- che non la ami più è chiaro come il sole. O almeno non come prima. Altrimenti non saresti andato a letto ancora con quella ragazza-».
James annuisce. «Ma appunto. Molla la vecchia e ficcati la nuova, Harry. Dammi retta»
«Peccato che la nuova sia un po' minorenne e alquanto una mia alunna», ribatto, sentendomi sempre più aggrovigliato in una situazione senza soluzioni o vie di fuga. «Oltre ad essere fermamente convinta di essere innamorata di me»
«Perché, tu non lo sei di lei?»
«Will-», mi acciglio, incapace di credere che mi abbia davvero domandato una cosa del genere. «Ha diciassette anni! Anche se mi fossi innamorato di lei, cosa potrei aspettarmi da una relazione a lungo termine? Perché è questo ciò che sto cercando- una relazione stabile, con un futuro certo e- dei bambini, un matrimonio-»
«Tutte cose che Chelsea- tua coetanea- ti ha dato, non è così?», mi interrompe James, con voce pungente e volutamente sarcastica. «È inutile che fai quella faccia. Chelsea ha trentatré anni, è persino più grande di te- e tuttavia non ha mai accennato a queste belle cose che ti aspetti dal tuo futuro»
«Forse ora è pronta, chi lo sa?»
«E tu faresti davvero un figlio con una donna che non ami?».
Non posso fare altro che chiudere la bocca e rimanere in silenzio, perché la risposta mi sembra alquanto implicita.
Ad ogni modo, quella domanda mi continua a perseguitare per tutto il resto della serata, mentre finisco la mia birra per poi esco a fumarmi l'ultima sigaretta del pacchetto.
Prima di tornare a casa devo ricordarmi di passare a prenderne uno nuovo.
Saluto i ragazzi, spengo il mozzicone nel posacenere e mi incammino a sguardo basso verso la macchina, la testa comincia a farmi male a causa di tutti i punti di domanda e gli interrogativi che quella semplice frase ha contribuito a sollevare nella mia mente.
Perché no che non ci si può accasare e metter su famiglia con una donna che non ami più, ma se faccio un rapido calcolo sulle probabilità di perdere la testa per un'altra donna, possibilmente della mia età, non sposata, senza prole e con le mie stesse prerogative sul futuro, di sicuro non c'è speranza che i miei piani vengano a compiersi tanto presto.
E io ho trentadue anni- voglio dire, non ho più quel che si dice ancora tutta la vita davanti.
A parte loro due, la maggior parte dei miei coetanei è sposata, con figli di tre o quattro anni e io nel frattempo cosa ho concluso? Un bel niente. Sto con una donna che non amo, che mi ha ferito a morte dopo otto anni di relazione durante i quali avevo cominciato a fare piani per il nostro futuro insieme, per poi ritrovarmi con il cuore distrutto e mille progetti calpestati e mandati a farsi fottere. E come se ciò non bastasse- ho sviluppato un interesse morboso e moralmente sbagliato nei confronti di una mia alunna diciassettenne.
Non va granché bene come quadro generale.
«Pronto», prendo la telefonata, pescando il pacchetto di sigarette dalla macchinetta automatica.
Chelsea mi chiede dove sono.
«Te l'ho detto- ero al bar con Will e James. Arrivo», rispondo piatto.
La sua voce mi suona stizzita e spero- anzi, mi auguro per lei che non abbia intenzione di farmi qualche scenata non appena entro in casa.
Non sarebbe il momento migliore per chiudermi spalle al muro.

Joy D. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora