Amore non è sempre la risposta

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Quelle due parole mi continuano a rigirare nelle orecchie.
E come non bastasse, Joy ha deciso di orbitarmi attorno, questo pomeriggio.
È accanto a me mentre entriamo nella chiesa di Santa Maria Novella e a due passi da me mentre raggiungiamo Palazzo Vecchio.
È vicina a me mentre camminiamo lungo l'Arno e la trovo fin troppo vicina quando mi tocca sorbirmi la storiellina sui lucchetti di Ponte Vecchio.
Amori eterni. Promesse senza limite di tempo.
Ma io non ci credo più.
Non posso credere ancora al per sempre. Non ora che l'amore della mia vita, tornato da me a distanza di tre anni- come ho sempre voluto e sperato- ai miei occhi appare niente di più che un'estranea fra tante.
Non posso credere all'amore eterno, se il mio cuore ha deciso di tornare poi a battere per una ragazzina di appena diciassette anni.
Per quanto mi riguarda potevano anche evitare di chiedere alla guida la motivazione di tutti quei lucchetti.
Ora sono io a sentirmi uno schifo, intrappolato su ogni fronte. Dove mi giro e mi giro, i miei occhi scorgono solo vicoli ciechi e strade chiuse.

Da una parte Chelsea.
Dall'altra Joy.

Da una parte la donna che potrebbe darmi stabilità e certezze sul futuro, ma che mi ha già lasciato una volta, rendendo il mio amore per lei un'ombra che striscia nel presente credendosi ancora di questo tempo.
E dall'altra- beh, dall'altra parte c'è Joy.
Joy e tutto quello che abbiamo vissuto negli scorsi due mesi. Un tempo scarso, ma che lei è riuscita a riempire coi suoi sorrisi, col suo candore e coi suoi modi sempre nuovi di sporcarlo quando facevamo l'amore.
E con lei c'è anche il proibito, il vivere ogni istante come se dovesse essere l'ultimo, senza curarsi del futuro e del passato.
Con lei c'era solo il presente.
La cerco con lo sguardo, trovandola a pochi metri di distanza mentre cammina con le sue compagne sul marciapiede.
Firenze tutt'attorno e l'Arno alla sua sinistra la calzano divinamente.
O forse sono solo io che la trovo semplicemente irresistibile, a prescindere dal contesto in cui la osservo.
È irresistibile mentre si sistema i capelli scompigliati dal vento. Mentre guarda il cellulare e sorride a Carter, che le sta parlando.
Il suo modo di camminare, di muoversi, di guardarsi attorno, persino il suo solo respirare esercita in me una forza attrattiva impossibile da ignorare.
Ma per lei devo fingermi cieco.
Devo persino far finta che non stia provando nulla anche adesso, mentre saliamo le scale dell'albergo insieme agli altri studenti e lei è davanti a me. Le sue gambe strette nei jeans e il solito felpone a mascherare il suo fisico mozzafiato. La coda alta e lunga che ciondola ad ogni gradino.
E la sua voce- mentre borbotta con Beatris su chi delle due debba farsi per prima la doccia.
Le lascio in corridoio, dirigendomi verso la mia camera e per la seguente mezz'ora cerco di tenere Joy nel suo spazio, lontana dai miei pensieri.
Chelsea risponde subito, al terzo squillo. La sua voce mi giunge arrochita dal sonno, mentre mi chiede come me la stia passando.
Una favola. Che dire?
«Sono un po' stanco, a dire la verità. Ma- Firenze è meravigliosa», le rispondo, lasciandomi andare sul letto. «No, stasera rimaniamo in albergo. Domani andiamo alla Galleria degli Uffizi. Sì-», la ascolto per qualche istante, mentre vaneggia sulle opere che domani avrò modo di vedere.
E di nuovo l'apatia si prende tutto. Il tono della mia voce si spegne, la nostra conversazione si arena ed io mi ritrovo a doverla salutare dopo una scarsa manciata di minuti.
Ancora il suo ti amo- e ancora il mio silenzio in risposta, mentre nella mente quelle due parole risuonano prepotenti con un timbro di voce molto diverso.
E molto più sincero.
Lascio il cellulare sul comodino e decido di raggiungere la hall dell'albergo, così da ammazzare il tempo dell'attesa in compagnia di un gruppo di studenti che sta fumando all'ingresso.
Subito le chiacchiere si trasformano nella loro richiesta di andare ancora a fare baldoria come ieri sera.
«Lo sapevo che sarebbe finita così...», sospiro in tutta risposta, ché si sa come funziona il rovescio della medaglia quando ti mostri più indulgente ad un gruppo di adolescenti: offri loro il dito e subito ti ritrovi senza braccio.
«Avanti, professore! Ieri sera se n'è andato presto- stasera toccherebbe a lei svagarsi un po'!», insiste Sienna, scoccandomi un sorrisetto dei suoi, allusivo e fortemente accattivante.
Irremovibile scuoto il capo. «Ieri sera vi abbiamo accontentati, perché è giusto che vi divertiate-»
«Oh, ma noi lo facciamo anche per lei, professore!», continua la civetta bionda, posandomi una mano sul braccio.
«Ti assicuro che a me è bastata la scorsa notte», rispondo prontamente. «Li riporti tu a casa quaranta minorenni con in circolo un minimo di due birre?»
«Ma non dica così, non abbiamo bevuto più delle due birre che ci avete consentito di bere».
Schiocco la lingua contro il palato, ricordandole della bottiglia di vodka che stamattina è stata magicamente ripescata nella stanza di Darren. «Ho dovuto pregare la donna delle pulizie di chiudere un occhio. Non succederà di nuovo, Sienna»,
Sbuffa, la bellissima regina del John Keats, e mentre rientriamo si prende persino la briga di appendersi al mio braccio.
Mostrandomi il più stoico e indifferente possibile, cerco di districarmi dalla sua presa prima di raggiungere il ristorante, ché se Joy dovesse accidentalmente vederla tenermi a braccetto, temo che sarebbe in grado di tirar giù l'hotel, quindi meglio evitare.
Ad ogni modo Carter e Dawson ci raggiungono per ultime e vanno ad occupare gli ultimi posti in fondo al tavolo.
Ben lontano da me. Così magari stasera riusciamo a mangiare entrambi.
Finita la cena decidiamo di passare la serata nel cortile dell'albergo, dove io e Molinari ci occupiamo della parte noiosa e burocratica del viaggio: organizzazione degli spostamenti, orari per le visite guidate, tappe e pagamenti vari.
Una vera e propria rottura di coglioni.
«Allora- questi sono i soldi per la Galleria degli Uffizi», annuncia, infilando la busta in una cartellina trasparente. «E questi- sono i biglietti. Li distribuiremo domani subito dopo la colazione. Per il pranzo-»
«L'albergo ci fa trovare i panini- l'hai già detto dieci minuti fa», sbadiglio, battendogli la mano sulla spalla con fare esausto.
Siamo stremati, non c'è che dire.
Lo vedo ridere sommessamente e premersi le dita sugli occhi.
«Dai, dai, mancano solo due giorni», commento, rialzandomi dal tavolino per andare a richiamare l'ultimo gruppetto di ragazzi.
Gli ossi più duri. Sono rimasti fino all'ultimo giù con noi nella speranza di riuscire a convincerci ad andare a bere qualcosa.
«Io sono a pezzi. Se volete provare con il professor Molinari, fate pure- ma vi avviso che è più stremato di me», ribadisco la mia posizione per l'ennesima volta e finalmente i ragazzi si rassegnano, seguendoci dentro con la coda in mezzo alle gambe.
«Buonanotte ragazzi, a domani!»
«'Notte prof!», rispondo loro, scomparendo dietro le porte delle rispettive stanze.
Mi fermo quindi davanti alla mia e con un sospiro infilo la chiave nella toppa, pronto a dichiarare ufficialmente terminata anche questa lunghissima e sfiancante giornata italiana.

Oppure no.

Il rumore di una porta che si apre sul corridoio, infatti, mi mette in allerta e subito alzo lo sguardo per guardarmi attorno.
Pochi secondi dopo, è già tutto in quello sguardo.
Tutto si riassume in lei. Come sempre.
In lei che scivola oltre la porta.
Nelle sue mani che si posano piano sul legno e nei suoi occhi che si alzano sui miei, sicuri e allo stesso tempo incerti.
Respiro piano, consapevole che sia in attesa di un mio cenno accondiscendente, di un invito ad avvicinarsi- e allora che sia.
Getto una rapida occhiata alle mie spalle e in fondo al corridoio, prima di voltarmi ancora verso di lei e affondare gli occhi nei suoi.
Le labbra chiuse, serrate e apro la porta, assicurandomi che abbia colto il mio permesso a che mi raggiunga.
Pochi istanti dopo, la porta è chiusa, io sono davanti a lei e lei siede sul mio letto, con gli occhi fissi sul pavimento e le labbra schiuse, umide e tremolanti.
«Come ti senti?», le domando, giusto per rompere il silenzio.
Annuisce. «Più leggera».
Il suo sorriso impacciato accende anche il mio, ora. Mi pizzico piano il naso per celare la tensione e, muovendomi sul posto, mi schiarisco la voce.
«Joy, quello che hai detto ieri sera...», comincio così, subito al punto.
Inutile girarci attorno.
«Lo penso davvero»
«Sono parole piuttosto pesanti, non credi?».
Annuisce con veemenza. «Parecchio. È per questo che mi sento più leggera».
Rimango in silenzio e se pensa che nella mia mente stia prendendo piede un uragano di frasi o di pensieri confusi e allarmati, si sbaglia di grosso.
La mia mente è tranquilla.
Soffice e calma come la superficie di un mare piatto, come il lenzuolo su un letto ancora intatto, come un cielo terso.
Non un'increspatura. Non una grinza. Non una singola nuvola.
Prendo atto dei suoi sentimenti come se li avessi da sempre conosciuti e mi avvicino a lei, sedendomi al suo fianco con un profondo sospiro.
«Stai per dirmi qualcosa di molto serio e adulto, non è vero?», mi anticipa in un sussurro, mentre continua a guardarmi di sottecchi, come se si aspetti un rimprovero da parte mia.
«Tipo che ho solo diciassette anni e che non va bene che provi queste cose per te»
«Una cosa del genere», confermo ad occhi socchiusi.
Il punto è che per quanto sia consapevole che sono esattamente le parole che dovrei dirle- in realtà non le sento affatto mie.
E non suonerebbero nemmeno sincere ed oneste, soprattutto se considero il fatto che io stesso a trentadue anni comincio a pormi parecchi quesiti su cosa sia veramente l'amore e come funzioni.
«Posso baciarti?», mi chiede poco dopo, stringendo le dita a pugno sulle gambe.
E le sue guance diventano scarlatte.
Le sorrido, non posso farne a meno. Perché in quale altro modo si può reagire ad una richiesta tanto innocente e pura?
E forse mi dovrei limitare a sorriderle.
O a sorriderle e a lasciarmi baciare.
Ma ho smesso da qualche tempo di essere l'adulto irreprensibile e corretto, perciò dopo un bacio ne seguono altri e a quegli altri- si aggiungono le mie mani, di nuovo sul suo corpo.
E i vestiti ci abbandonano.

Finalmente, facciamo l'amore.
Di nuovo, dopo quasi un mese.

Dura troppo poco, ma è come essere ritornato a vivere.
Lo facciamo un'altra volta e nei suoi occhi ritrovo la mia dimensione.
Quella assurda, scomoda, tutta risate e controsensi- l'avevo persa di vista nelle ultime settimane.
Ho vagato per giorni sentendomi perso, alla stregua di un fuggiasco nella mia stessa pelle.
E ora, ritrovarmi a casa nei suoi occhi - poetico e melenso come può suonare a tanti - è davvero una presa di coscienza difficile da accettare anche per uno come me.
Ché va bene scopare e cadere più e più volte in tentazione, compiendo lo stesso errore ripetutamente.
La carne è debole e si sa.
Ma lo scoprire che la mia giusta dimensione trova il suo posto nel mondo solo e soltanto quando questa ragazza mi dorme sul petto- mi fa tremare.
Perché le cose sono due, a questo punto: o sono un pazzo oppure mi sono macchiato anche io dello stesso errore di cui si è macchiata lei.

***

I miei più sinceri auguri per un 2019 pieno di felicità e positività!

Joy D. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora