È così che mi vedi?

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Riprendo a respirare solo dopo qualche istante.
Ferma sulle gambe rigide e tremanti di un'emozione che non saprei nemmeno dire se sia più terrore o altro, mi accorgo che vorrei girarmi- ma che improvvisamente mi risulta impossibile anche solo muovere un dito.
Sono letteralmente una statua di sale.
Solo i miei occhi riescono a muoversi nelle orbite, seguendo il corpo del professore mentre scivola davanti a me.
Forse ho davvero cantato vittoria troppo presto.
«Professore, io- davvero sono mortificata per ciò che ho fatto. E le prometto ancora che non accadrà mai più e-».
Ad interrompermi ora è la sua risata beffarda.
I suoi occhi scivolano su di me con aria quasi giocosa, divertita, oserei dire- se avesse senso.
Sembra quasi che trovi l'intera situazione in qualche modo esilarante.
«Ma dai!, è terrore quello che vedo?», sussurra poi, sorridendo affabile. «Perdi di credibilità, così- certo, ti guadagneresti il mio rispetto se mi dicessi cosa ti è saltato in mente di fare, ma-». Il suo sguardo si intensifica sul mio viso, quasi voglia cogliere dalla mia espressione se ci sia una qualche remota possibilità che gli confessi il motivo della mia bravata.
Subito dopo però scuote il capo e serra le labbra in un sorriso appena accennato. «Ovviamente no- non me lo dirai», aggiunge, guardandosi distrattamente attorno. «Allora- torni a casa con qualcuno? Tua mamma?».
Sbatto le palpebre, presa in contropiede.
No, non rende propriamente l'idea.
Diciamo che sono letteralmente stordita, ora.
Confusa a livelli inauditi.
«Il servizio scolastico dei trasporti dopo un certo orario non è garantito, lo sai», si affretta a ricordarmi, sondando poi la mia espressione come se temesse che stia per avere un malore.
E non è del tutto lontano dalla realtà, il suo timore.
«Sì, io-»
«Hai chiamato tua madre?», aggiunge, aggrottando le sopracciglia.
Scuoto il capo. «Mia madre è fuori città per lavoro», replico in un soffio di voce e il suo sguardo si accende di un velato disappunto.
«M-ma non è un problema, in una mezz'oretta dovrei essere a casa, se mi incammino adesso», aggiungo sorridendo, con la speranza che il suo viso si distenda e la smetta di guardarmi come se fossi un cucciolo di foca abbandonato su un pezzo di ice-berg in mezzo all'oceano.
«Sta diluviando, Joy», osserva lui, sfilandosi le chiavi della macchina dalla tasca. «Andiamo, ti accompagno io».
Ora, oltre agli occhi che si sbarrano sulla sua schiena, sento addirittura la gola gonfiarsi per contenere a forza un "no, non c'è bisogno".
Deglutisco, cacciando giù quelle parole e serro le labbra.
Non è il momento di fare la ragazzina impaurita.
Perciò, sussurrando un grazie che sicuramente non ha sentito, mi incammino dietro di lui verso l'uscita della scuola.
Le pesanti gocce di pioggia ci sferzano il viso, inzuppando in poco tempo i miei vestiti e rendendo i suoi lunghi capelli, solitamente raccolti in un tuppo improvvisato, una cascata di ciocche scure e gocciolanti.
Mi lancia un'occhiata e il suo sguardo scivola sul mio corpo. Poi scuote il capo.
Sembra divertito- ma stizzito al tempo stesso.
Appena salgo sulla sua Audi nera il profumo di cui è impregnata mi sferza in volto come un vero e proprio schiaffo.
I sedili sono intrisi del suo odore, tanto che mi sembra di essere entrata in una dimensione ultraterrena che ha il sapore di tutti i film mentali in cui questo benedetto uomo ha sempre avuto il ruolo di protagonista.
«Uhm- dove andiamo?», mi domanda, mentre le sue dita lunghe e affusolate azionano uno schermo incassato sopra la radio.
Smetto per un istante di respirare e i miei occhi si sbarrano sulla sua espressione concentrata, mentre continua a digitare chissà cosa su quell'aggeggio.
Sono in attesa che il suo sguardo si animi di una malizia che possa in qualche modo assecondare i miei pensieri, già librati in un volo pindarico nei cieli di Pandora.
E invece il suo volto resta impassibile, mentre accende il motore e sfiora nuovamente lo schermo col dito.
Poi, con un colpo di tosse si sistema meglio sul sedile e finalmente i suoi occhi accarezzano i miei, ancora sbarrati per via della sua domanda ambigua.
Perché dai- era ambigua e non può non essersene accorto.
«Dove abiti?», precisa infine, trattenendo una risata beffarda che ha certamente qualcosa a che vedere con la mia espressione sgomenta.
Bella prova del cazzo. Tanto che ci sono potrei sbattergli in faccia tutto e addio dignità, ché se tanto mi dà tanto peggio di questi sguardi denigranti resta solo la fossa scavata nell'estesa landa delle figure di merda firmate Joy Dawson.
Mi ci infilo dentro e addio a tutti.
«Wellington Road, 45», rispondo in un sussurro, allacciandomi la cintura.
«Grazie», sogghigna lui e scuote addirittura il capo mentre digita la via su quello che- ovviamente- è soltanto un semplice ed innocuo navigatore satellitare.
Cosa mi aspettavo che fosse? Il portale segreto d'ingresso alla terra degli unicorni alati?
Una lieve vibrazione nella tasca dei jeans mi ricorda che sono sicuramente in ritardo all'appuntamento con Tris.
Controllo l'ora sullo schermo del navigatore e aggrotto le sopracciglia. Mancano ancora venti minuti, perciò mi chiedo chi possa essere stato a scrivermi.
Sfilo il cellulare dalla tasca e, dopo aver scivolato ancora una volta lo sguardo sul volto del professore, do una sbirciata.
Quello che credevo fosse un messaggio di Tris, era invece una sua chiamata persa.
Ma non mi sembra il caso di chiamarla, ora che sono finalmente da sola con lui.
Non che mi aspetti chissà cosa durante questo breve viaggio che finirà in una decina di minuti, ma di certo non voglio passarlo al telefono con la mia migliore amica.
Una seconda chiamata mi fa stringere le dita attorno all'apparecchio, quasi a volerlo polverizzare.
Ne arriva una terza, accompagnata da un sospiro da parte del mio gentile accompagnatore.
«Guarda che non siamo a lezione. Puoi rispondere se vuoi», commenta laconico, saettando gli occhi dal parabrezza al navigatore per capire a quale incrocio svoltare.
«N-non è importante», replico e un sorriso lieve si apre sulle sue labbra.
«Come vuoi»
«Lei- sì, insomma-». Deglutisco, ma la gola è improvvisamente secca. «Io non le sto particolarmente simpatica», affermo infine, voltando il capo per osservare la sua reazione. «Sbaglio?».
Le sue sopracciglia si aggrottano di punto in bianco. «Che cosa te lo fa pensare?»
«Beh- il suo distacco, forse?»
«Si chiama non avere confidenza, Joy», risponde secco e il suo volto si distende mentre mi lancia un'occhiata furtiva.
«Sono certa che se al mio posto ci fosse un'altra persona, sarebbe più loquace», commento ancora, volgendo gli occhi al finestrino.
Una persona tipo Sienna Richmond- così per citarne una.
Con lei di confidenze sembra averne sempre abbastanza per ridere e scherzarci- tolti i pettegolezzi che li riguardano e cui io mi sono già da tempo rifiutata di credere.
«D'accordo. Di cosa vorresti parlare, quindi?», sospira lui, fermandosi ad un semaforo. «No, sul serio- sono curioso», aggiunge poi, dopo una mia occhiata forse un po' troppo esplicitamente risentita.
«Beh- non lo so.», rispondo, mordendomi le labbra.
«Non è un argomento molto valido»
«E allora mi chieda qualcosa-», ribatto, alzando le spalle.
Ma in tutta risposta lui ride sommessamente, scuotendo divertito il capo.
«Come non detto», sibilo, avvampando in volto per quel mio tentativo di approccio davvero penoso.
Cosa stavo facendo? Più che un tentativo di conversare, quello è stato un vero e proprio stupro verbale.
Sospiro, scrutandolo di sottecchi. «Mi scusi, sono solo un po'-»
«Diretta? Schietta e impertinente?», sogghigna.
«Stavo per dire a disagio», replico e lui pressa le labbra in una smorfia poco convinta. «Ma a modo suo mi ha appena risposto»
«Oh, non vorrai fare l'offesa adesso!», continua a ridere lui, prendendomi in giro come al suo solito.
Ma io non ho più voglia di rispondere alle sue provocazioni.
Lo fa sempre.
Anche in classe.
Inizialmente pensavo fossero frecciatine prive di significato, volte giusto ad alleggerire la lezione usandomi come capro espiatorio. Poi però è successo che quel suo prendersi certe confidenze- le stesse che ora sostiene non ci siano- ha sortito in me l'effetto più sbagliato e così quelle sue frasi pungenti hanno cominciato a darmi sempre più fastidio.
Succede sempre così, no? Quando una simpatia innocua si trasforma in una cotta trascendentale. Che poi, se rivolta addirittura al tuo professore, sei bella che fregata.
Le prese in giro si trasformano in veri e propri affronti e per quanto tu ti possa sforzare nel mostrarti al meglio delle tue capacità- per lui rimani solo una ragazza con la testa fra le nuvole, distratta e dal carattere difficile.
Dovrei imparare a mordermi la lingua, ché il discorso che ho intrapreso so per certo non si concluderà affatto bene.
«Ah, ho capito- è per via di ciò che ho detto in presidenza?», mi domanda dopo qualche istante e il suo tono di voce torna serio e cordiale.
«Dipende a cosa si riferisce». Morditi la lingua, Joy! «Ai miei difetti o al fatto che la mia condotta non è propriamente irreprensibile?», domando, alzando poi gli occhi su di lui.
«Sì, ma io mica volevo offenderti. Era solo un modo per far capire alla preside che per quanto tu non sia perfetta, di sicuro non sei una ladra», spiega lui e io non riesco a trattenere uno sbuffo contrariato. «Joy- mi spiace spetti a me darti questa brutta notizia, ma... nessuno è perfetto. Nemmeno tu»
«Oh beh, se a dirlo è lei, poi», commento infastidita.
«Perché? Cosa c'è di male?»
«Nulla- è questo il punto», rispondo prontamente, sentendomi formicolare il volto dalla delusione. «È persino legittimato a farlo, anzi- visto il suo essere sempre così infallibile. Solo che- è snervante per me, ecco. Essere giudicata così da lei, intendo», sibilo infine, sentendo le guance andarmi a fuoco e stavolta mi risulta impossibile pensare che non se ne sia accorto. «Sembra che non reputa nessuno alla sua altezza», aggiungo poi, ormai intrappolata da quelle stesse frasi che continuano ad uscire senza filtro dalla mia bocca. «Ed è legittimato anche in questo, a dirla tutta», concludo con un sospiro amareggiato.
Dopo queste perle di saggezza non avrò più il coraggio di guardarlo in faccia per il resto dell'anno scolastico- e oltre, fino al diploma.
Deglutisco piano, incollando la spalla alla portiera e lo sguardo al finestrino.
"Conta sempre fino a dieci, Joy, prima di parlare".
Le parole di mamma fanno capolino in un angolino della mente, ricordandomi ancora una volta di quanto io non ne sia proprio in grado.
E forse, tutto sommato, ha ragione lei così come ha anche ragione lui, visto che mi sto già pentendo di ogni singola sillaba uscita dalla mia tremenda boccaccia.
«Mi scusi- è stata solo una giornata molto lunga».
Tentativo davvero scarno di correre ai ripari, me ne rendo conto, ma le mie parole non sono del tutto lontane dalla realtà.
«No, no- figurati. Se ti ho dato quest'impressione è giusto che ora me lo fai presente», sorride lui, svoltando nella mia via. «Del resto, io ti ho dato della ragazzina diretta, schietta e impertinente- adesso almeno è chiaro che ci stiamo sul cazzo a vicenda»
«È quella villetta in fondo alla via», gli indico poco dopo, trattenendo un sorriso per via di quell'espressione poco professionale e prepotente- ma che sulle sue labbra ci è stata bene lo stesso, così come l'occhiolino con la quale l'ha accompagnata.
«Grazie del passaggio, professore», sospiro infine, scivolando lo sguardo sul suo viso.
Mi sorride, bello come solo un dio potrebbe esserlo, e mi chiedo se è consapevole del fatto che io sia cotta di lui da un anno ormai e che il suo credere che mi stia sul cazzo è la cosa più esilarante che io abbia mai sentito. 
«Ci vediamo a lezione, teppistella», sorride ancora, mentre scendo dalla sua Audi per fiondarmi al riparo dalla pioggia sotto al portico di casa.
Mi giro per salutarlo con la mano.
Lui mi risponde alzando e abbassando i fanali- dopodiché fa inversione e torna indietro lungo la mia via.

Joy D. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora