La prima lettera

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CAPITOLO II

12 marzo

“Dal giorno che l’abbiamo fatto per la prima volta, non faccio che pensare a te. Quei nostri baci, quelle nostre carezze riempiono avidamente i miei pensieri. Il tuo dolce sguardo su di me, tu che sfiori con le dita smaltate di rosso le mie guance. Mi sembra di vivere un sogno, Julia. Credevo che fosse un attrazione carnale, sessuale… ma è più di questo. E’ stato bellissimo, e non vedo l’ora che ci sia una seconda volta, e poi una terza, una quarta e ancora, nel tempo. Sia benedetto quel destino che ci ha fatto incrociare. Con te mi sembra tutto così diverso. Così… reale. Voglio che tu capisca quanto questo significhi per me. E spero che per te sia lo stesso. Perché se non è così, Julia, farò qualunque cosa. Mi getterò tra le braccia del Diavolo, e gli venderò l’anima. Correrò in eterno fino a raggiungerti. Vivrò nell’ombra affinché possa un giorno vedere la tua luce intensa. Per me niente ha più senso al di fuori di te, Julia. Niente ha più un senso se tu non sei al centro. E non importa quanta strada farò, non importa quanti ostacoli mi si pareranno davanti. Perché so che alla fine ti troverò, so che tu sarai lì in fondo, sorridente ad aspettarmi. E io ti vengo incontro, gustandomi la fine di un viaggio profondo, che ha te come ambito premio finale. Non mi interessano le paure e le difficoltà che affronterò, non mi interessano gli sguardi e le parole della gente, non mi interessa il pensiero di un uomo, che dice di amarti, e annega questo amore nell’alcol. Non mi interessa. Io ti amo, Julia. Ti amo profondamente. Ti amo come l’autunno ama le foglie. Io ti amo, Julia.”

Intorno a lui il silenzio più assoluto. David si fece letteralmente vitreo in volto. E non riusciva a muovere un muscolo. Tutte le sue miserabili certezze andavano in frantumi come cocci di vetro della bottiglia di whiskey. Nella sua testa rimbombavano mille pensieri, mille frasi, mille parole.

Erano le diciotto e quarantuno minuti. David era seduto sulla poltrona. Il busto era piegato in avanti, i gomiti premevano sulle cosce, e le dita delle mani disegnavano sulle tempie piccoli cerchi.
Era sconvolto.
Julia aveva un amante.
Questa idea, durante i tre mesi passati dalla sua scomparsa, non gli era mai balenata per la testa. E neanche prima. Quando, per i suoi problemi di alcolismo, la loro relazione aveva subito delle grosse battute d’arresto.
Ma ora non era così. Tutto gli appariva diverso. I lunghi ritardi. Le preoccupazioni inutili. E la mente altrove. Dio, che stupido che era stato. Trasportò la mano destra sul viso. E se la strofinò duramente sul volto. Gli occhi si fecero lucidi, e diverse lacrime scesero copiose dagli occhi dell’uomo. David esplose in un pianto senza pause né patemi. Strinse forte i pugni delle mani e si lasciò andare a un urlo liberatorio di dolore e disperazione. Alla morte della sua amata, si aggiungeva l’amara scoperta della presenza di un uomo che l’aveva profanata, e che diceva di amarla. Una affronto senza scrupoli. Come se non soffrisse abbastanza. Per la prima volta da quel maledetto giorno, trapelò nella mente dell’uomo una convinzione che fino ad allora non lo aveva ancora sfiorato. Quello che per tutti, lui compreso, appariva come un incidente, poteva essere stato un efferato delitto dai risvolti passionali.
Lo sguardo di David si caricò di coraggio, e asciugate le lacrime sul viso, alzò la cornetta del telefono e compose il numero dell'ufficio di Mick.
“Pronto, Mick Mitchum, sceriffo della contea di Rosewood, chi parla?”
“Mick sono io, Dave, ti devo parlare.”
“Dave, amico come te la passi? Senti… adesso sono un po’ incasinato. Che ne dici di farci un paio di birre da Spencer più tardi?
Dave sospirò.
“No Mick, ho bisogno di parlarti adesso.”
Mick inspirò con il naso. Non sopportava essere contraddetto in questo modo. Neanche se si trattava di Dave. Dall’alto della sua carica, gonfiò il petto e prese la parola.
“Dave, ti ho già detto che sono maledettamente incasinato. Dobbiamo andare a recuperare il corpo di un poveraccio che si è cappottato con l’auto sulla  116.”
La voce di Mick si fece più calma.
“Perché non andiamo a farci due birre da Spencer? Pago io. Così ti svaghi un po’. Altrimenti continuerai a rintanarti in quel buco per almeno altri vent’anni.”
Ci furono alcuni secondi di silenzio. Poi Mick continuò.
“Allora?”
“Ci sono.”, rispose David in modo serio.
“Perfetto, ti passo a prendere sulle nove.”
Quando attaccò, David si pentì di aver accettato. L’ultima cosa che voleva era passare una serata in compagnia di un orso come Mick, e magari in compagnia di qualche ragazza facile. Ma aveva bisogno di parlargli. Aveva bisogno di lui. Era l’unico che poteva riaprire il caso.

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