Giustizia o vendetta

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Erano le dieci e undici minuti. David era davanti allo specchio e si stava radendo la barba con un vecchio rasoio usa e getta. Ricordò di Julia, quando per errore lo tagliò.
Quanto si divertivano insieme.
Il tempo, tra di loro, sembrava volare. Ora c’era Rebecca. Ma non era la stessa cosa, pensò tristemente.

Entrò nel pick-up, diretto verso casa di Matthews. Era ansioso di guardarlo in faccia e sentire cosa ne pensava della visita di Amberson. Se c’era andato. Le parole di Mick sull’investigatore lo avevano scosso. Ma del resto, era la sua unica speranza. Gli altri costavano troppo, e forse erano meno risoluti. La prima avvertenza che Amberson gli aveva fatto era che non avrebbe certo guardato per il sottile. Questo, non significava, vendetta sommaria. David però aveva pensato a lungo. E una volta trovato il colpevole, adesso sapeva che cosa avrebbe fatto.

Girò l’angolo e avvistò la casa dello psicologo. Nel giro di pochi minuti vi fu davanti, pronto a scrutare la sua anima dietro agli occhi.
“Signor Moverman, prego. Entri.”
La casa era calda e accogliente. Lo era ogni volta sempre di più.
“Allora, ci sono novità?”
“Sì, qualche novità c’è in effetti. Tuttavia, vorrei chiederle se…”
“Il detective Amberson. Gran bella persona, davvero.”
Trasudava sincerità.
“Immagino l’abbia riempito di domande. Spero che non le abbia dato fastidio.”
“No, e perché mai? A dir la verità, dato il mio lavoro, sono più abituato alle risposte che alle domande. Ma no, nessun disturbo, anzi è stato un piacere collaborare e poter dimostrare la mia innocenza. Vuole sapere cosa mi ha chiesto?”
“No, no, non ha importanza, signor Matthews.”
L’avrebbe chiesto a Amberson il giorno dopo.
“Bene, dunque. Come va con quella donna? Rebecca, giusto?”
“Sì, esatto. Alla grande, cioè, c’è molta attrazione.”
“E’ innamorata?”
“Credo di sì.”
“E lei lo è?”
“Sì, presumo di sì.”
“Però ha paura.”
Sapeva arrivare sempre al punto.
“Sì, molta. Ho paura che non funzioni, e che possa soffrire. Ancora.”
“Signor Moverman, questo dipende da lei. Se Rebecca è innamorata, e lei anche, perché non provare? Non potrà rimproverarsi il fatto di aver fallito.”
“La mia paura è proprio quella di fallire.”
“Sarebbe folle il contrario, signor Moverman.”
“Perché folle?”
“Perché le persone folli non hanno paura di niente, non provano colpa né rimorso.”
“Lei crede che l’assassino di mia moglie sia una persona folle?”
“Potrebbe essere. L’amore porta alla follia, quindi sì, perché no. Ma per folle, signor Moverman, non intendo le frasi sdolcinate dei ragazzi con la valigia in mano. Per follia, intendo il dolore che ti scortica l’anima e che ti rende una persona differente. Una persona strana, folle.”
“Come crede che debba comportarmi quando scoprirò chi è?”
“Lei ha già un idea?”
“Forse, ma… lo scoprirò davvero solo in quel momento.”
“E se potesse scegliere? Se far prevalere la giustizia o la vendetta? La pace del valore morale o dei suoi sensi?”
“E’ un po’ come scegliere tra il bene e il male, giusto?”
“Più o meno.”
“Non saprei.”
“Quale limite morale è disposto a superare pur di ottenere giustizia?”
“Perché mi fa questa domanda?”
“Perché se supera quel limite, non sarà più la stessa persona di prima.”
Anche quella seduta finì, tra le parole, tra le verità. Ora David aveva le idee più chiare. In realtà non sapeva se avrebbe superato quel limite. Non poteva saperlo fino a quando Amberson non avesse bussato a casa sua per rivelargli l’amara verità. Chiunque può considerarsi un uomo dall’etica ferrea. Fino a quando una serie di eventi che scombussolano il tuo piccolo, magico mondo ti portano a superare quel limite etico. David sapeva cosa avrebbe fatto virtualmente, ma nella realtà non era ancora pronto. Comunque, decise che avrebbe superato quel limite. Non gliene importava nulla delle considerazioni morali di Amberson. Una volta scoperto l’amante e l’assassino di Julia avrebbe agito senza pensarci  due volte. Non avrebbe avuto il benché minimo briciolo di pietà.

Erano le sette e trentasette minuti. David stava dirigendosi verso casa di Rebecca. L’avrebbe passata a prendere e insieme sarebbero andati a mangiare in un elegante ristorante di Norton. Rosewood, sotto questo punto vista, era carente. Arrivò davanti casa sua, e Rebecca era già sulla porta. La donna salì in macchina, e una coltre di profumi e aromi invase l’auto. Aveva una vestito nero scollato e una gonna blu abbastanza attillata. Rebecca aveva classe da vendere. David si pentì un po’ della sua giacca a frange beige, ma lei non aveva bisogno di essere stupita.
“Ciao Rebecca, sei uno schianto, fattelo dire.”
“Ho solo messo le prime cose che ho trovato.”
Faceva la modesta.
“Allora, in che locale mi porti, scrittore?”
“Aspetta e vedrai.”
L’aveva intravisto quando era andato da Amberson. E aveva deciso che ci avrebbe portato Rebecca. Durante il tragitto verso Norton, fecero un piccola deviazione per vedere le luci delle case di Rosewood, dalla sommità di una piccola collina. Essendo abbastanza tardi, decisero di tornarci dopo cena.
Arrivarono a Norton alle nove meno un quarto, David passò per l’ufficio di Amberson, e sul punto di indicarlo a Rebecca, esitò. Non sapeva bene perché, ma era prevalso il senso di proteggerla.
Nel giro di pochi minuti furono davanti al locale. Era di un colore bianco molto chiaro, era davvero chic, e si presentava con un’entrata a due ante molto raffinata. All’interno vi erano colori di ogni bellezza. Dal bianco delle pareti al giallo oro delle tovaglie. E poi un miscuglio inebriante di odori, dalle candele profumate al pesce che veniva cucinato con inerzia e bravura all’interno della cucina. Una bellissima e solare ragazza mora, sulla trentina, dopo aver verificato la prenotazione di David, li fece accomodare a un tavolo poco distante al centro della sala.
“Gran bel posto, vero?”
“E’ bellissimo, Dave.”
La sua felicità poteva essere scrutata dentro i suoi occhi.
“E’ un posto carissimo, guarda il menù. Come fai?”
“Per una sera, Reby, cosa vuoi che succeda? Anche con Julia era così. Non importava quanti soldi avevamo in tasca. Quello che contava era stare insieme.”
“Sono contento che mi hai parlato di lei.”
“Già. Ma non prenderlo come un paragone. Anzi, voglio dimostrarti che non sarà un ostacolo.”
Rebecca lo guardava con aria più che felice.
“Posso farti una domanda, Rebecca?”
“Certo.”
“Dopo la morte di tuo marito… se non lavoravi, come hai fatto a mantenerti?”
“Aveva un bel po’ di soldi in banca. Inoltre dopo la sua morte, sono andata a riscuotere alcuni suoi titoli, e ora vivo di rendita.”
“Capisco.”
“Ora posso fartela io una domanda?”
“Tutto quello che vuoi’”
“Mi ami?”
Aveva colto nel segno.
“E tu?”
Si erano toccati la mano a vicenda, e lei si era morso il labbro inferiore. Quindi, valeva come un sì.
Finita la cena, si diressero verso l’uscita, e David pagò il conto. La serata li aveva sommamente soddisfatti.
Durante il tragitto di ritorno, si fermarono su quella piccola collina, da cui era possibile scrutare la città di Rosewood. David le prese la mano, e la guardò dolcemente, ricevendo in cambio, un magnifico sorriso. Sembravano due fidanzatini.
“E’ bellissimo, Dave.”
“Già. Hai visto che stelle?”
“Come non notarle?”
Le prese il viso tra le mani, se lo portò alla faccia, e la baciò con vigore, con quella foga mista a dolcezza che li mandò in estasi. Sì, erano proprio innamorati. Persi.

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