3 Charlotte

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Quando una casa spaventa persino un fantasma, c'è davvero da preoccuparsi.

L'orfanotrofio in cui Paul mi ha portato è orrido all'interno tanto quanto lo sembra dall'esterno. La carta da parati del corridoio è di un verde scuro, simile al muschio, che non si abbina bene con i drappeggi scuri davanti alle finestre e i tappeti ruvidi a vista. Il mio animo da artista è parecchio turbato, devo trovare Arwan e andarcene subito.

Mi affido all'istinto, seguendo la spinta che fin da subito mi ha portato vicino al bambino, e salgo le scale. Il nostro legame mi ha permesso di percepire la sua presenza quando sono arrivata; inconsciamente mi ero mossa verso di lui, ma solo ora, a così poca distanza, riesco a percepire la forza invisibile che mi ha condotta da lui.

Nell'ultima porta a destra del primo piano si trova Arwan. La sua stanza è piccola ma simile a quelle degli altri bambini. A differenza dei coetanei, però, lui è l'unico a dormirci. Non ci sono decorazioni alle pareti, né alcun segno di personalizzazione che suggerisca il carattere del bambino. È un ambiente spoglio e deprimente, che trasmette un senso di abbandono e tristezza, forse dorme in questa stanza da poco.

I muri, una volta dipinti di un colore vivace, sono ormai sbiaditi e coperti da macchie di muffa. L'odore di umidità stantio avvolge l'aria, penetrando nelle mie narici con una sensazione di disagio. Se potessi intervenire, trasformerei completamente questa stanza, partendo proprio dai muri.

Al centro della camera, un letto singolo con lenzuola sgualcite e coperte sbiadite occupa la maggior parte dello spazio disponibile. Mi immedesimo completamente nel ruolo di un fantasma e mi avvicino lentamente al piccolo letto. Accanto ad esso c'è un comodino con cassetti che si aprono a fatica, contenenti qualche giocattolo rovinato e alcuni libri dall'aspetto malconcio. Sopra il comodino vi è solo un grosso libro colorato.

Paul non mi ha mentito, sono davvero passati cinque anni ed Arwan ne è la prova vivente. I tratti paffuti del suo volto si sono affievoliti, lasciando spazio a un volto asciutto e infantile. Ha gli stessi capelli neri disordinati che ricordo, gli ricadono sulla fronte in leggere onde, troppo cresciuti. Il suo viso è contorto in un'espressione sofferente, come se stesse facendo un incubo. Ha le sopracciglia ravvicinate, un'espressione corrugata e gli occhi stretti e forti. Vedendolo così, un forte senso di malinconia mi pervade.

Mi avvicino subito a lui per consolarlo, ma mi fermo a pochi passi, non sicura di poterlo toccare o anche solo svegliare. In ogni caso, se anche potessi farlo, non voglio che mi veda per la prima volta come un fantasma che lo fissa nel cuore della notte.

Per il momento, mi sono assicurata con i miei occhi che è ancora vivo. Ora non posso fare molto oltre che fissarlo. Decido di uscire dall'edificio e tornare da Paul che mi ha pazientemente aspettato fuori.

Ho molte domande da fargli e poco tempo per porle. Quando il sole sorgerà e Arwan si sveglierà, voglio trovarmi al suo fianco. Le condizioni in cui ha vissuto fino ad ora sono riprovevoli e farò di tutto per portarlo via.

Quando esco dall'edificio, mi accorgo della presenza di un piccolo parco giochi, con un paio di altalene e uno scivolo parecchio arrugginito. Una solitaria palla da calcio giace sullo scivolo.

Paul si è appoggiato alla fiancata destra della casa. Ha una sigaretta tra le dita e fissa annoiato il cielo limpido. Questa volta ci mette poco ad avvertire la mia presenza; si gira poco prima che io mi avvicini, la sua bocca forma una smorfia di dispiacere.

«Sapevo saresti tornata, non mi hai nemmeno dato il tempo di parlare.» Mi avvicino a lui, appoggiandomi anch'io al muro e tirando un lungo sospiro. «Non puoi farci nulla, Lempicka, sei un fantasma ora e le faccende del mondo dei vivi non ti riguardano più.»

Beyond the veilDove le storie prendono vita. Scoprilo ora