17 Arwan

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Per anni ho plasmato la mia visione di questa dimensione, cercando di raccogliere quante più informazioni possibili su di essa. Parte delle mie aspettative è stata soddisfatta; non è diversa da ciò che immaginavo, ma ogni passo è accompagnato da sorpresa.

Pensavo di sentirmi fuori posto, a disagio tra i morti e gli Infernali, e anche se una parte di me si sente esclusa, l'altra si sente la benvenuta.

Abbiamo camminato per tutta la giornata, seguendo le strade desolate che collegano il paese. Non abbiamo ancora visto una sola anima viva, solo qualche Infernale che inevitabilmente si sente attratto dalla mia presenza. Charlotte li ha sterminati tutti con maestria, infilando i suoi pugnali senza rimorsi nelle masse scure.

Nel farlo, non ha nemmeno fiato corto, si è occupata tutto il giorno della nostra sicurezza senza mai riposarsi un attimo. Io invece sono stato pressoché inutile, limitandomi a dare direzione alla nostra camminata, cercando di non sbagliare strada. Il gatto marcia senza problemi, ignorandoci per la maggior parte del tempo.

«È arrivata la sera, dovremmo accamparci.» Charlotte si toglie lo zaino dalle spalle, frugando dentro alla ricerca della tenda che ho portato. I suoi capelli bianchi non hanno ancora smesso di ondeggiare, come ciocche distese su un velo d'acqua invisibile.

Si allontana verso uno spiazzo d'erba, guardandosi attorno con attenzione.

«Voi non avete bisogno di dormire, dovremmo continuare ancora. Non possiamo sapere quando Morana si muoverà di nuovo.» Le prendo lo zaino di mano, rimettendo la tenda al suo posto.

«Arwan» Il mio angelo bianco, dimostrando tutta la sua cocciutaggine, tira nuovamente fuori la tenda. «Tu sei la mia priorità, non ho intenzione di vederti svenire per l'esaustione. Abbiamo camminato tutto il giorno, devi riposarti.»

«Quando smetterai di essere così testarda, Charlotte?»

Vedendo la mia espressione poco convinta, la donna lascia cadere la tenda per terra e sbuffa. «Cosa devo fare per convincerti?»

È un gioco che facevamo spesso quando ero piccolo; alla fine ottenevo sempre ciò che volevo, accettando le sue semplici richieste. «Resti dentro con me?» Le sorrido beffardo, la sto prendendo in giro, ma voglio vedere fino a che punto è disposta a spingersi; e poi è divertente stuzzicarla.

Il suo sguardo sorpreso non mi colpisce; le guance le diventano rosse e si inumidisce distrattamente il labbro inferiore. Non riesco a trattenere le mie mani a posto quando sono in sua presenza; lei non sa di tutte le notti che la sua foto mi ha fatto compagnia, ma io me lo ricordo fin troppo bene.

«Finalmente le cose si fanno interessanti.» Deus si è appollaiato ai nostri piedi, guardandoci con i suoi magnetici occhi canarino. Charlotte approfitta della distrazione per evitare la mia domanda, occupandosi con la tenda.

Prima di partire, il gatto mi ha parlato, decidendo finalmente di farsi sentire. Non ero ancora del tutto convinto che potesse comunicare davvero, eppure le prove portano tutto a questo. La sua storia, comunque, mi puzza; Charlotte non mi ha raccontato i dettagli, ma è assurdo che un gatto possa parlare.

Nel giro di pochi minuti, io e la cacciatrice montiamo il necessario, buttando i sacchi a pelo a terra e i zaini sopra di essi. Ci sediamo nella tenda con i piedi fuori, davanti a noi il fornellino portatile si sta risaldando. Dopo un po' di persuasione, l'ho convinta a mangiare qualcosa.

Per diversi momenti, il silenzio tombale della dimensione ci avvolge, oscurando persino il suono dei nostri respiri. Ci manca ancora molta strada e, sebbene il paesaggio non sia dei migliori, non mi dispiace. Le ultime ore in compagnia di Charlotte e di Deus sono state migliori di certi anni della mia vita.

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