23 Arwan

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Il primo senso a tornare è il tatto; sento il mio corpo pesante, premuto contro un pavimento liscio che accarezzo con le dita. Ho l'impressione di essere rimasto immobile per molto tempo. Un peso significativo mi schiaccia il petto, rendendo difficoltosa la respirazione. Il ricordo della zampa enorme che mi trafigge è la seconda cosa che mi sovviene. Contrariamente a quanto mi aspettassi, non sento alcun dolore allo stomaco. 

Sempre più confuso, sforzo la mia mente stanca, cercando di riprendere completamente coscienza. Il secondo senso che mi ritorna è quello dell'olfatto; un profumo meraviglioso invade i miei polmoni, portando con sé l'aroma di spezie e cibo delizioso. Per un istante, mi dimentico di trovarmi oltre il Velo, cullato dall'odore di un piatto fatto in casa.

Lentamente anche l'udito torna, stimolato dal lento ronzio della cappa della cucina. «Avevi anche degli chef?» Una voce femminile suona da una certa distanza, come se parlasse dall'altra parte della stanza.

«Non lo so... non ricordo di esserci stata troppo in cucina e i miei genitori erano decisamente troppo indaffarati per cucinare: probabilmente sì» Una voce diversa, questa volta quasi accanto a me. I miei neuroni iniziano a connettersi, mi sento sempre più rinvigorito e questa volta riconosco senza dubbio Charlotte.

«È un vero peccato sai, pensa che ho scelto questa casa proprio per la sua meravigliosa cucina. Il resto non mi serve» Fare due più due è facile, la seconda voce, quella che presumibilmente sta cucinando, è Angel. Un silenzio segue le sue parole, come se il mio angelo stesse rimuginando su qualcosa.

Provo ad aprire gli occhi con fatica, sembrano incollati. Anche la testa mi rimbomba, vittima di sintomi inspiegabili di una bella sbronza.

«Perché cucini? Non ci serve mangiare»

La prima cosa che vedono i miei occhi è un enorme ed elaborato candelabro, adornato da un'infinità di piccole lampadine di cui metà è spenta. Per fortuna la luce nella stanza è molto soffusa, i miei occhi non avrebbero sopportato troppi stimoli. Abbassando lo sguardo percorro tutta la mia figura, notando presto di essere steso su un divano rosso.

«Mi viene istintivo, lo faccio quando sono stressata; ora per la prima volta qualcuno può davvero assaggiare i miei piatti. Lo sai che noi fantasmi percepiamo i sapori molto meno intensi rispetto ai vivi? Il gusto del cibo è l'unico ricordo che ho della mia vita, quindi è stato semplice da capire» Questa deve essere la volta che Angel ha parlato di più, sembra che lo stato di apatia in cui ricade sia scomparso.

Presto mi accorgo del perché un peso mi schiaccia con insistenza il petto. Non riesco a vedere lo stato della mia ferita poiché un enorme gatto nero mi blocca la visuale. Deus è accucciato senza problemi su di me, il suo corpo leggermente scosso dai miei respiri.

«Mi dispiace, anche per non averti detto che Arwan non è davvero morto» Le parole di Charlotte sono sincere, le importa fin troppo di quello che pensano gli altri. Poco dopo sento le sue dita ghiacciate accarezzare le mie, solleticandomi i polpastrelli. Senza preavviso le afferro subito la mano, intrecciando le nostre dita.

«Sei sveglio!» Mi giro nella direzione da cui proviene la sua voce, trovando un fantasma bianco molto stanco. Anche se non dorme, i suoi occhi sono contornati da pesanti occhiaie scure, le labbra hanno perso qualsiasi colorito e lo sguardo è quasi maniacale; come se il suo corpo avesse riportato lo stress che porta mentalmente. Non mi piace vederla in questo stato.

Anche Deus si volta verso di me, i suoi occhi gialli mi puntano per un micro istante prima che lui si alzi dal mio corpo. Con passo felino, balza giù dal divano, allontanandosi da noi.

Un colpo secco mi batte la guancia destra, il bruciore è istantaneo dopo il contatto con la mano bianca di Charlotte. «Sei un imbecille, Arwan Rae!»

Accarezzo con fare addolorato il punto colpito, anche se in realtà non sento nulla di estremo, si è molto contenuta. Non sono per nulla sorpreso dalla sua reazione. Ora che Deus è sceso non percepisco più alcun dolore in tutto il corpo. «Pensavo avessi capito che non è cortese inveire contro un ferito.»

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