"Era un mercoledì. Lo ricordo bene perché avevo il turno serale e toccava a me chiudere il locale. Il bar era pieno di gente, non era mai stato così. Io e miei colleghi eravamo nel panico: Argentea, il nostro capo, era malata, e a controllare la situazione c'era solo Stephen, che era suo figlio e da poco maggiorenne. Le persone continuavano ad arrivare, c'era una serata jazz e non riuscivamo a gestire i tavoli... Era il caos. La cantante continuava ad intrattenere il pubblico, ma questo non sembrava soddisfatto e varie lamentele provenivano dalla sala. C'era chi voleva più vino, chi intendeva pagare e desiderava il conto. Altri urlavano perché ubriachi. Non si sa come, però, la serata passò in fretta senza intoppi. Mary, la mia collega, ed io, siamo riuscite a prendere tutte le ordinazioni, a far pagare i clienti e a ripulire presto i tavoli. La cantante con la band uscì poco dopo di noi. Ecco, insomma. Era stata una serata ordinaria. Caotica, certo. Ma tutto nella norma."
Il detective mi guarda perplesso. Io deglutisco a fatica, ma cerco di mascherare la mia agitazione con una leggera tosse. Sono sotto torchio, non posso scappare. Il cuore mi batte forte. Spero che se la beva. Spero non abbia capito nulla.
"Quindi..."
Si sporge verso di me, gli occhiali che gli scivolano sul naso bitorzoluto.
"Lei non ha visto questo tizio?"
Tira fuori la fotografia di un ricercato dal viso scarno e gli occhi neri come la pece. Distolgo lo sguardo.
"No."
Il mio interlocutore continua a guardarmi, imperterrito, quasi volesse mangiarmi. Poi rimette in tasca la foto.
"Capisco."
È di poche parole. Lo sta facendo di proposito. L'ho studiato in psicologia. Vuole vedere se cedo, se il suo silenzio mi manda fuori di testa, se alla fine gli rivelerò tutto quello che so. Ma il signor Smith non sa che io sono brava a manipolare, e che so gestire lo stress. Rialzo il viso ed incontro il suo sguardo inquisitore. Lo guardo fiera, fingendo sicurezza mentre dentro sono un mare in tempesta. È tutta colpa sua. Ma questo, di certo, non posso dirglielo. Rimaniamo in silenzio per un po', finché lui non prende la sua tazza di caffè e sorseggia rumorosamente.
"Ascolti, signorina Scott."
Posa la tazza. Io aspetto.
"Lei è stata convocata qui quest'oggi perché quella sera, la sera del suo turno, fuori dal suo posto di lavoro, è stata vista dalle telecamere di sicurezza aiutare un uomo accasciato vicino ai bidoni dei rifiuti, per poi sparire insieme a lui un attimo dopo. Secondo i nostri database, la fisionomia dello sconosciuto corrisponde esattamente a quella di Hermes Franse, che, guarda un po', è il personaggio che le ho mostrato prima in foto."
Cazzo. Beccata in flagrante. Il cuore accelera, i battiti me li sento fin su per la gola.
"Posso... posso avere un bicchier d'acqua?"
L'investigatore sogghigna. Io mi sento mancare.
"Cos'è, si sente male?"
Mentre si alza per avvisare un poliziotto fuori dalla stanza, il mio cervello parte in quarta. Penso e ripenso a cosa dire, cosa fare, quale scusa inventare. Non devono sapere nulla di me ed Hermes. Non possono e non devono sapere di quello che abbiamo fatto, e perché l'abbiamo fatto. Io sono sua complice, ma anche la sua amante, il suo segreto più oscuro, il suo tutto. Se solo sapessero, moriremmo due volte. La prima, perché ci separerebbero. La seconda, perché stare in carcere equivarrebbe alla fine di tutto. La fine della nostra storia, della nostra libertà. La fine di me. Di noi. L'investigatore torna da me con un bel bicchiere d'acqua fresca. Mi guarda mentre lo bevo tutto d'un fiato.
"Meglio?"
Annuisco. Il freddo dell'acqua mi ha rinfrescato la gola. Sono più lucida. La mente si calma, il cuore anche. So perfettamente come comportarmi. Mi rimetto con la testa e schiena dritta, penso ad Hermes ed al fatto che mi sta aspettando. Non posso deluderlo.
"Allora, dicevamo..."
"Mi scusi."
Lo interrompo. Sono un fiume in piena. Devo esondare. Lui inarca un sopracciglio.
"Prego."
"Io ed Hermes ci siamo conosciuti quella sera, è vero. Ero appena uscita dal locale quando avevo sentito dei gemiti di dolore provenire dal retro. Preoccupata, ho fatto dietrofront e sono andata a controllare. Non so cosa mi sia preso in quel momento, ma aver visto un ragazzo, poco più grande di me, in preda al terrore e al freddo, mi ha fatto pensare che dovessi agire. Gli ho chiesto come si chiamasse, per capire se fosse cosciente, poi l'ho aiutato a rialzarsi. Ho visto che aveva una ferita d'arma da fuoco. Sanguinava a volontà, ed ho avuto tanta paura di vederlo morire tra le mie braccia."
Mi sfugge una lacrima.
"Io... io dovevo aiutarlo, capisce? Così ho stretto la mia sciarpa attorno alla sua ferita, l'ho retto forte e l'ho portato in ospedale. Gli ho salvato la vita. Dopo di ciò, posso assicurarle che non l'ho mai più rivisto. Mai."
Tossisco. Tossisco forte, e per fortuna c'è ancora un goccio d'acqua nel bicchiere. Il mio corpo sa che sto mentendo. Bevo quanto rimane. L'investigatore continua a fissarmi. Pare stregato dal mio racconto. Poi si risveglia, ed è peggio del previsto.
"Non metto in dubbio la sua bontà d'animo e umanità, cara Selena. Ma Lei ha salvato un assassino. Lo sa questo, vero?"
Non rispondo.
"Lo sa che è accusata anche Lei di omicidio? Lo sa che la sua fedina penale è stata macchiata? Lo sa che ci sono delle accuse sul suo conto circa la complicità con il signor Franse?"
Non mi piace. Non mi piace per niente. Voglio tanto uscire da questa stanzetta e non tornare mai più. Voglio raggiungere Hermes a casa, nel nostro rifugio, fare le valigie e non tornare mai più. La gamba sinistra prende a tremarmi. Il labbro anche. Smith mi guarda. Scuote la testa.
"Mi dispiace tanto, davvero. Ma non posso transigere su questo."
Si fa portare una cartellina da un suo collega, poi inizia a leggere.
"Selena Scott, accusata assieme ad Hermes Franse di spaccio, omicidio colposo, incendio doloso, furto, traffico di armi, rapimento con ostaggio, truffa..."
Elenca tutta una serie di crimini, ed è lì che capisco. Capisco che è finita. Che tutta questa storia non condurrà a nulla, se non all'isolamento e alla mia permanenza in cella. Mi eclisso. Penso ad Hermes, al suo sorriso, ai suoi baci, a quella ruga sulla fronte che spuntava quando era preoccupato. Alle pistole, alla prima volta in cui ne ho usata una. Alla fuga con quel camion scassato, al nascondiglio a Parigi e alle carte false. Al nostro sogno di raggiungere l'Irlanda e le sue campagne verdi. Alla famiglia che non costruiremo mai. Al riscatto che abbiamo perduto. Alla giovinezza buttata e ai desideri ora irraggiungibili.
"Scott."
L'uomo mi richiama. Con le lacrime agli occhi, accetto il mio destino.
"L'interrogatorio è stato inconcludente, se non inutile. In nome della legge e dei poteri conferitemi, La dichiaro in arresto."
Si alza ed io faccio lo stesso. Mentre mi ammanetta e apre la porta, mi sussurra nell'orecchio.
"Mia cara... per amore, a volte, si fanno cose davvero stupide."
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Per amore
Teen FictionTu cosa faresti per amore? Saresti disposto a buttare al vento la tua vita, a rischiare tutto e a lasciarti andare? A farti prendere alla sprovvista da uno sconosciuto e salire su una nave che non prevede di sbarcare? Selena tutte queste domande non...