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Sono su questo camper da ore, ormai. Non ho idea di dove stiamo andando, e non riesco nemmeno a capirlo. Dal finestrino impolverato posso vedere che ci siamo allontanati di molto dalla città e dal centro. Siamo immersi nelle campagne, nel verde, colline e campi di lavanda si ripetono all'infinito. Se non fosse che sono stata letteralmente presa come ostaggio, mi farebbe piacere fermarmi qui, abbandonarmi alla terra, magari accarezzare qualche pecora che vedo scorrazzare liberamente. Come ho fatto a ritrovarmi in questa situazione? I polsi mi fanno male, le dita sono intorpidite ed ho paura che le mie gambe rimarranno bloccate per sempre. Se non mi alzo, se non mi muovo, la circolazione ne risentirà. Ma non posso fare altro se non muoverle energicamente, anche a costo di sembrare una bimba capricciosa che non ne può più del viaggio in auto con i genitori. Il tizio più giovane, che si è dato il cambio con l'anziano, mi guarda stranito.

"Che c'è? Sei schizofrenica?"

Hermes si gira subito verso di me. È seduto dall'altra parte del van, accanto al conducente, ma ciò non gli impedisce di sporgersi e lanciarmi un'occhiata. Non rispondo, continuando a muovere le gambe, questa volta più forte. Ho un'energia dentro me che rischia di esplodere, di far saltare tutti.

"La vuoi finire?! Mi dai sui nervi!"

Continua il tizio, ed io, per dispetto, mi alzo in piedi e prendo a saltellare. Saltello forte, quasi volessi liberarmi, fuggire a gambe levate, rompere i finestrini e diventare anche io una pecora, magari brucare, mangiare foglie, prati, forse per sempre. Il mio interlocutore si alza, pronto a fare chissà cosa, ma Hermes lo precede e lo spinge con forza sul sedile. Lui si risiede con un tonfo. Quando arriva verso di me, la figura imponente, il piercing al naso, gli occhi neri e furbi, mi fanno immediatamente rimettere a posto. Deglutisco a fatica mentre si accomoda verso dei sedili accanto al mio. Evito di guardarlo in faccia. Evito di avere a che fare con il male. Perché lui è il male. Ma mi sento osservata, da capo a piedi. Sento che mi squadra tutta, da cima a fondo. Si starà soffermando sulle scarpe da ginnastica sgualcite, la tuta e le mani gonfie. Sulle mie trecce sfatte, sul livido che sento di avere sulla guancia destra. Mi starà analizzando come fossi un'opera d'arte, un quadro di suo interesse. Peccato, però, che al momento mi dia fastidio. Faccio per tirargli un calcio, ma lui blocca il mio piede a mezz'aria.

"Che cosa credi di fare?"

"Lasciami!"

Lui lo fa. Non esita. Sbuffo, spostandomi di qualche centimetro. Lui mi insegue. Si avvicina ancora di più.

"Te lo ripeto... Che cosa credi di fare?"

Finalmente lo guardo. È serio. Mi scruta imperterrito. I suoi occhi si muovono sul mio viso. Studia ogni parte di me come fosse un ricercatore sul campo, un astronomo con le stelle.

"Io... non lo so."

Ammetto, abbassando la testa. Muovo nervosamente le mani legate, gioco con il laccio, mi mordo le labbra. Mi innervosisce, mi agita. Lui mi rialza delicatamente la testa con un dito.

"Guardami quando ti parlo."

Il mio cuore perde un battito. Sono costretta ad avere a che fare con lui. Niente più distanza. Niente di niente. Non vuole. Così lo guardo, e mi concentro anche io sui dettagli del suo viso. Noto che non ha rasato bene la barba. Ha i capelli ricci. Ha un tatuaggio poco sotto l'orecchio. Un simbolo. Una chiave di violino. Rimaniamo in silenzio, come un pittore che rimira la sua tela bianca, in cerca di ispirazione. Poi lui rompe il ghiaccio, di nuovo.

"Comprendo che la situazione non sia delle migliori, ma devi fare uno sforzo... Ora sei qui, accettalo e vai avanti. Non puoi sapere cosa succederà dopo."

Sembra un padre che fa la spiega alla figlia. È pacato nei modi, la voce suadente e melliflua. Lo sento sincero. Ma c'è una parte di me, quella piena di rabbia, che comunque mi mette in guardia.

"Ah, ma lo so già cosa accadrà dopo! Mi ucciderete, penso, e butterete il mio cadavere in qualche discarica. Come avete fatto con l'indiano."

Scoppia a ridere. Ride di gusto, e la sua risata mi affascina e spaventa.

"Ma sei normale?"

Mi sfugge, all'improvviso, e lui smette di ridere.

"La normalità è noia."

Alzo gli occhi al cielo. Si sposta di qualche sedile, e questa volta invade totalmente il mio spazio personale. Ora è praticamente attaccato a me. La sua gamba sfiora la mia. La sua guancia è a pochi centimetri dalla mia.

"Senti... io non so a che gioco tu stia giocando, ma..."

"Ti uniresti a noi?"

La sua domanda mi spiazza. Così, su due piedi. "Hey! Entra nella mia vita da criminale! Vedrai che divertimento!". Continuo a pensare che quest'uomo sia completamente fuori di testa. Hanno ragione i telegiornali. Hanno ragione i poliziotti. Sembra essere pronto a tutto e a tutti. Sembra essere incontrollato, sfacciato. Indomabile. Prima che possa rispondere qualsiasi cosa, parte alla carica.

"Pensaci... hai detto che hai un agente alle calcagna... sembravi essere in fuga, con quello zainetto e tutto... hai assistito ad un crimine, ma non hai battuto ciglio. Hai provato a fuggire, ma non hai toccato né me né i miei soci. Alla fine sei rimasta qui, certo, con qualche lamentela e borbottio, ma non hai dato problemi. Non sei scappata, non hai cercato aiuto... O sei masochista, o ti piace l'adrenalina. Forse entrambe le cose."

Lo ascolto, rapita da un monologo da vero persuasore. È sicuro di se, allettante. Sembra mi stia vendendo un prodotto. È un commerciante pronto a barattare. Ad arrivare a fine mese. A prendere il bottino, senza pietà.

"Sei venuta a cercarmi dopo avermi portato in ospedale. Sei venuta a cercarmi per avvertirmi. Per salvarmi di nuovo. Sei incredibile, ed io ti voglio. Ti voglio nella mia squadra. Mi sei sembrata una donna con le palle. Mi sei sembrata una donna che può e sa come resistere al dolore. Una donna che è stufa della sua vita monotona, e che vuole un cambiamento. Sa che se lo deve. Sa che è tempo ed è giusto farlo."

Alza una mano e me la posa sulla guancia. Il suo tocco... stranamente è rincuorante. Il suo tocco mi fa pensare che tutto andrà per il meglio. Che, anche se sono in mezzo al fango, forse riuscirò ad uscirne. Magari indenne. Magari più sporca di prima. Ma non posso saperlo.

"Dolce... dolce Selena... unisciti a noi."

Prende ad accarezzarmi il viso, tracciando con il dito la guancia, la mandibola, divertendosi a scoprire i miei connotati. Ad averlo così vicino... a sentire il rumore del suo respiro... un contatto così bello come questo... Sembra un diavolo tentatore. Lui è la mia tentazione. Il mio male. Mi risveglio, però, e me lo scrollo di dosso. Lui sembra confuso.

"Per ora... Per ora verrò con voi. Poi si vedrà."

È tutto quello che dico, ancora frastornata dalle sue parole. Cerco di riprendermi alla svelta, di non cedere. So che tutto questo potrebbe andare storto. Ma era così bello. Ripenso alle sue mani sul mio viso. Vorrei gridargli di posarle ancora una volta. Di cancellare la paura che ora sento.

"Se vieni con noi, fai parte di noi. Non esiste un poi si vedrà. Si vede ora."

Alla fine esordisce, ed io mi sento mancare. Poi si rialza, continuando a guardarmi.

"E per la cronaca... se mi avessi detto che intendevi scendere ed essere lasciata in pace, l'avrei accettato. Libero arbitrio!"

Il bastardo mi ha fregato. Ancora una volta. Mi ha fregato quella notte dietro al locale, e mi ha fregato ora. Praticamente avevo una chiave. La chiave della mia salvezza. Ma l'ho mangiata, sprecata, ed ora ho mal di stomaco e forse inizia anche a sanguinarmi il naso. Mi sono messa nei guai. Sto affondando. Hermes sorride mentre torna al suo posto.

Per amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora