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L'anziano, il cui nome è Dan, mi lascia.

"Tutta tua, capo."

Hermes non risponde. Poi, in un attimo, mi prende per un braccio e mi trascina scompostamente con se'. Ha una presa salda, forse troppo. Ad ogni passo mi fa male, ed il calore della sua mano tatuata è tutt'altro che piacevole. Gli scagnozzi ci seguono rapidamente, e in un attimo passiamo gli scaffali, le casse, oltrepassiamo il corpo del povero indiano ed un'enorme chiazza di sangue. Poi usciamo. Iniziamo a correre. Sono letteralmente costretta a slanciarmi in avanti, visto che Hermes continua a tirare forte. Cerco di farglielo capire strattonandolo, ma lui mi tira ancora più avanti. Nessuno fiata. Siamo tutti concentrati a raggiungere quello che presumo essere il loro camper, quello che avevo visto prima all'angolo. Quando vi siamo davanti Dan e il socio più giovane aprono la portiera. Poi mi sollevano.

"Lasciatemi! Non rivelerò niente a nessuno! Sto scappando anche io!"

I due ridono.

"Sei pericolosa, gattina. Per noi è solo una precauzione. Giusto, Hermes?"

Lui non risponde. Mi fissa in silenzio, pensieroso. Forse è combattuto. Forse mi lascerà andare. Forse cambierà idea. Cerco una consolazione nel suo sguardo, ma tutto quello che vedo è nero, solo nero.

"Giusto."

Cado in avanti, nel corridoio del camper, letteralmente buttata come un sacco di patate. Il più giovane mi dà un calcio, intimandomi di alzarmi. Sussulto per via della botta.

"Ma che cazzo fai?"

Hermes lo prende dal colletto e lo sbatte contro il finestrino.

"Capo... era in mezzo alla strada!"

"Le donne non si toccano! Verme."

Le donne non si toccano ma si rapiscono, penso, ma faccio finta di niente. Una mano mi viene tesa. La stessa mano che mi ha strattonato fino a poco fa. La stessa mano che presumibilmente ha ucciso un uomo. La tiro via, e mi rialzo da sola. L'anziano entra per ultimo, e prontamente mi placca da dietro. Odio il suo tocco. Odio l'appiccicaticcio. Odio il suo fiato sul mio collo.

"E ora... tu te ne starai buona buona, magari zitta, in quell'angolo in fondo. Sarà il caso di legarla, non credete?"

Il più giovane, che si sfrega la testa per riprendersi dal colpo, annuisce animatamente. Hermes ancora una volta rimane in silenzio. Mi guarda, mi guarda, ed io questo momento vorrei solo dargli un calcio, saltargli addosso, strappargli quello sguardo così profondo dagli occhi, urlargli che è tutta colpa sua, che doveva morire, quella sera, e che io sono stata troppo idiota per aiutarlo. Avanza verso di me e mi prende di nuovo. Questa volta per una spalla.

"Faccio io. Metti in moto, Mark."

Mentre il più giovane si mette al volante e accende i fari, il più anziano si accomoda ed io vengo accompagnata verso il fondo, lungo dei sedili sporchi e alla vista scomodi. Nessuno dei due fiata. Mi sento nella tana del lupo, nelle fauci del leone, eppure, oltre a tanta rabbia, non sento niente. Niente. Sento solo uno strano fuoco dentro me, ma non ho paura. Sento ribellione. Sento coraggio. Sento che posso farcela.

"Ecco."

Hermes mi fa sedere, ed io lo lascio fare. Mi accomodo mentre lui tira fuori un laccio dalla tasca.

"Stai bene?"

Mi chiede poi, mentre si accovaccia verso di me e mi tira i polsi. Ora; una persona sana di mente avrebbe iniziato ad urlare, opporre resistenza, magari avrebbe tirato un calcio ad uno dei tre, sarebbe scappata alla prima occasione, avrebbe cercato aiuto. Ma io mi sento sotto uno strano incantesimo. Lascio che mi leghi le mani e i polsi, mentre i suoi occhi cercano disperatamente una conferma che non sto male, che va tutto bene, che non devo avere paura.

"Chiese la strega ad Hansel e Gretel."

Esorto, sicura di me, e lui si rialza. Poi sorride. Io scuoto la testa. La fiamma dentro me pulsa viva. La sento. Sono forte. Sono coraggiosa.

"Ma si può sapere che cosa ti sorridi?! Lasciami andare! Subito! Slegami, fammi uscire! Io voglio andare via! Voglio andare via, e non tornare più! A me non frega niente di voi! Basta! Lasciatemi in pace! Lasciatemi!"

Continuo così, urlo, urlo forte e senza pietà. È la disperazione di essere finita nelle mani sbagliate, la frustrazione di aver perso tutto, la tenacia che non sapevo di avere. Mentre il camper si muove velocemente, mentre abbandoniamo il luogo del misfatto, i due soci davanti sbuffano rumorosamente.

"Capo... la spegni, per favore?"

Chiede il conducente, e l'anziano ride. Una risata sguaiata. Sembra un maiale. Io continuo ancora, continuo con le lamentele.

"No! Io non sto zitta! Voi mi avete letteralmente rapita! Il mio nome finirà sui giornali, sarete ancora più nei guai!!! Ho un detective alle calcagna!! Lui, lui mi troverà e..."

Mugugno tra le dita di Hermes, che mi tappa la bocca con quella maledetta mano. Sento il freddo di un anello contro le labbra.

"Selena... non fare cose di cui potresti pentirti."

Sussulto. Il modo in cui pronuncia il mio nome, il fatto che sappia come mi chiamo, seppur non gliel'abbia rivelato, mi inquieta. Mi lascia libera.

"Come... come hai fatto a..."

"Il tatuaggio. Lì, sul braccio."

Mi ero completamente dimenticata che il mio nome è stampato a caratteri cubitali sul braccio destro. Un tatuaggio che ho fatto a diciotto anni, completamente ubriacata, un po' per ribellione e un po' per ricordare a me stessa chi sono. La mia migliore amica dell'epoca, venuta con me, si tatuò una stella marina. Ma il mio fu decisamente migliore. Selena. Con accanto un fiore. Non so dove sto andando, ma almeno so chi sono. La mia identità sarà sempre una cosa preziosa. Io sono unica. Io sono Selena. E rimarrò tale, fino alla fine.

"Dea della Luna, no?"

Annuisco, un po' a disagio. Ci guardiamo tanto, intensamente. Provo odio. Provo amore. Provo emozioni contrastanti. Provo il brivido del rischio. Provo tanto, e per la prima volta mi sento viva.

"Hey, Hermes... quando hai finito di familiarizzare... avremmo bisogno di un tuo parere..."

Lo richiama uno dei due davanti, ma lui non si sposta. Non si sposta da me, dai miei occhi azzurri, dalla mia faccia probabilmente gonfia e stanca. C'è un riconoscimento. C'è qualcosa. C'è un feeling, una connessione. Poi il camper prende una buca, e saltiamo tutti per aria. Lui mi viene quasi addosso, ma riesce a reggersi con una mano sul sedile accanto a me. I nostri visi si avvicinano. Spunta una collanina dal suo collo, una croce in argento che oscilla con l'andamento della vettura. Il tempo si ferma. Di nuovo, uno dei soci lo richiama.

"Capo! Dannazione! Vieni qui!"

A quelle parole Hermes scatta in avanti, lasciandomi sola, tra dubbi, pensieri, legata e relegata nell'oscurità.

Per amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora