Ho dieci chiamate perse. Tutte da Carl. Le ho ignorate dalla prima all'ultima, mentre mi sono vista passare davanti barelle, sedie a rotelle, infermieri concitati e famigliari sconvolti. Ho passato le ultime quattro ore su questa scomoda sedia di plastica in sala d'attesa, in cerca di notizie su uno sconosciuto. Quando l'hanno fatto entrare erano tutti scioccati; perdeva così tanto sangue che temevano fosse già morto. L'hanno subito trasportato in sala operatoria con codice rosso, mentre un'infermiera dal volto stanco mi aveva fatto accomodare. Quattro ore. Il mio corpo dà segnali di cedimento: lo stomaco mi brontola, gli occhi bruciano e la stanchezza mi assale. Non ho dormito né mangiato. Avevo solo in mente il suo nome, Hermes, ed i suoi occhi. Ho pregato e sperato. Guardo l'orologio: le sette del mattino. Questa sera ho un altro turno al bar, ma credo proprio che avviserò Mary e Stephen. Inventerò una scusa, una qualsiasi, e prenderò un giorno di ferie. Lavorare oggi sarebbe troppo.
"Franse?"
Chiama un medico, e nessuno si alza. Nemmeno io. Mi guardo intorno. Magari è il figlio di qualche genitore che sfortunatamente è in bagno. Oppure è il nonno di qualche nipotino che è appena andato via. Troppo dolore da sopportare. Non mi scompongo, e riattacco nuovamente il telefono quando ricevo un'altra chiamata da Carl.
"Hermes? Franse?"
Balzo in piedi. È il suo cognome allora.
"Sì. Ecco!"
Raggiungo l'infermiera in fretta. Lei sospira, poi mi fa cenno di seguirla. Mi porta davanti alla stanza numero 120, la sua stanza. Poi ci fermiamo fuori. Dal vetro posso vedere il suo corpo steso su un lettino, una flebo al braccio ed il petto avvolto in delle bende.
"È stabile. Se fosse arrivato soltanto un minuto più tardi, probabilmente non ce l'avrebbe fatta. Lei è...?"
Arrossisco.
"Oh... nessuno. L'ho... l'ho trovato fuori dal locale dove lavoro. Probabilmente è rimasto coinvolto in una rissa."
Mento. L'infermiera scuote la testa.
"Ne dubito. Aveva una pallottola conficcata sotto la spalla."
"Si riprenderà, vero?"
Sussurro, e lei alza un sopracciglio.
"Signorina, vada a casa. Qui non c'è niente da vedere. Il suo lavoro l'ha fatto, ha salvato una vita. Ora ci penserà la polizia."
Sgrano gli occhi.
"In che senso la polizia? Cosa succede?"
D'un tratto mi impanico. Il pensiero di averlo incautamente messo in trappola mi tormenta. L'infermiera mi prende delicatamente per un braccio e mi scorta lungo il corridoio.
"Vede... Hermes Franse è un ricercato. Un criminale tutto d'un pezzo. Praticamente questa notte ha fatto un favore alla contea a portarlo qui. Ora si rilassi, e vada pure."
Bypasso completamente le parole "ricercato" e "criminale", e penso solo al fatto che vorrei tanto impuntarmi, tornare indietro e avvisarlo, svegliarlo e urlargli di scappare, di non voltarsi, che lo vogliono incastrare. Ma un po' per la stanchezza e l'inerzia, annuisco e prendo la mia borsa. Mi sento tanto in colpa ad abbandonare l'ospedale, ma non posso fare altro. Lui è un criminale, io una brava persona. Non abbiamo niente in comune, e deve finire qui. Giusto? Quando esco dalla struttura, noto già una volante della polizia con le sirene accese.
"Salve."
Mi saluta un ufficiale quando gli passo accanto, ed io borbotto una specie di saluto. Non posso fare a meno di guardare uno squadrone di poliziotti dirigersi verso l'edificio, alla carica. Per loro probabilmente è una giornata qualunque, una giornata di arresti. Per me no. Non so il perché, ma le mie gambe si muovono veloci verso il retro dell'ospedale, dalla parte del cortile. Raggiungo tutta una serie di finestre affacciate sul bel giardino di rose e tulipani. Mi concentro, cercando di indovinare quale possa essere la stanza di Hermes. Era al piano terra, per mia fortuna, quindi non dovrebbe essere difficile. Mi acquatto sotto le verande, ed inizio a sbirciare nelle varie stanze. Nella prima vedo una bambina che legge un libro ad un signore anziano, forse una nipotina con il nonno, e mi si stringe il cuore. La seconda e la terza sembrano vuote, un'altra è occupata da una donna di mezza età che mangia un budino da un vassoio. Vedo tanti altri pazienti, a letto o svegli, pimpanti o assonnati, ma non lui. Sto per perdere ogni speranza, quando lo vedo. È rivolto verso la finestra, ha gli occhi semi chiusi, ed un raggio di sole gli illumina il viso. Ha una cicatrice sulla fronte ed un labbro spaccato. Non avevo fatto caso a questi dettagli prima. Il piercing che ha al naso, un brillantino, splende alla luce. Di nuovo, ho come l'impressione che sia un angelo. Senza pensare, sbatto rumorosamente contro il vetro della sua finestra. Lui apre gli occhi, lentamente. Mi alzo in piedi per farmi notare. Ci guardiamo. Lui scuote la testa. Io inarco un sopracciglio.
"No."
Mima con le labbra, ed io gli busso ancora più forte. Alza gli occhi al cielo. Poi, tenendosi un'anca con le mani, si alza dal letto e si dirige verso di me. È alto, imponente, e nonostante sia debole ha un'andatura decisa. Apre la finestra bruscamente.
"Chi sei e che cosa vuoi?"
Ha una voce bassa e roca, e all'improvviso avvampo. Mi faccio piccola piccola, non sapendo cosa rispondere.
"Io... ehm..."
Lui mi guarda, imperterrito. Sembra fissarmi nell'anima.
"Tu cosa?"
Ribadisce, scocciato. Mi schiarisco la voce.
"Mi chiamo Selena. Ti ho salvato la vita. Ti ho portato qui questa notte. Eri ferito."
Non risponde. Continua a fissarmi. Mi squadra da capo a piedi, e all'improvviso penso al fatto che non ho ancora fatto una doccia, che avrò i capelli sfatti ed il trucco della sera prima. Noto un ghigno da parte sua.
"Oh... Già. Mi hai salvato, eh?"
Mi prende in giro, è chiaro. Non so cosa mi aspettassi sinceramente, ma mi arrabbio e sbatto un piede a terra.
"Che c'è? Avrei dovuto farti morire?"
"Sì!"
Sbotta, alzando la voce.
"Lo avrei preferito! Sai com'è, tra la prigione e la morte..."
"Quindi lo sai?"
Lui sbuffa.
"Senti, crocerossina, vattene. Hai creato solo un casino. Un enorme casino."
Richiude la finestra con uno scatto e tira anche la tenda. Ci rimango male. Io l'ho salvato! Quasi quasi volevo anche aiutarlo a scappare.... E lui cosa fa? Mi ignora?! La suoneria del cellulare mi aiuta a rinsavire. Rispondo.
"Carl?"
"Ma si può sapere dove sei?!!"
Urla, agitato, ed io mi incammino verso il parcheggio sotto gli occhi di un giardiniere, che probabilmente ha assistito a tutta la scena. Gli sorrido imbarazzata. Lui rimane impassibile.
"Ho avuto un contrattempo. Sto arrivando."
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Per amore
Teen FictionTu cosa faresti per amore? Saresti disposto a buttare al vento la tua vita, a rischiare tutto e a lasciarti andare? A farti prendere alla sprovvista da uno sconosciuto e salire su una nave che non prevede di sbarcare? Selena tutte queste domande non...