Prologo

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Non importa quante lauree tu possieda,
di fronte alla fantasia di un bambino
c'è sempre da imparare.

Quando la gente ti dice: «Sarà bello essere un fratello maggiore», ti sta ingannando.

Non è bello dover nascondere le sigarette perché il marmocchio di tre anni si diverte a vederle galleggiare nel water, per poi urlare euforico quando lo sciacquone le fa sparire; non è bello ricordarsi di non lasciare sul tavolo la Coca-Cola, perché il quattrenne se la beve come fosse acqua e poi rimane sveglio tutta la notte a saltare sul tuo letto; non è bello dover ricevere le telefonate dalle maestre perché tua madre, probabilmente collassata sul divano dopo l'ennesima sbronza, si è dimenticata di andarlo a prendere a scuola; non è bello dover correre a coprire gli spigoli con la mano a conchiglia quando il bambino di due anni sta scoprendo le gioie della corsa sfrenata attraverso tutte le stanze della casa; non è bello dover ripetere l'alfabeto e censurare ogni tipologia di parolaccia in sua presenza.

Quando ti annunciano che sarai un fratello maggiore, pensaci bene, perché forse l'unica possibilità di mantenere una sorta di libertà è quella di fuggire il più lontano possibile.

Io non sono scappato, nonostante avessi tutte le ragioni per farlo. Sono rimasto con l'idea che forse, in questo mondo di merda, un fratello sarebbe stato quell'unica persona sulla faccia della terra che mi avrebbe apprezzato per quello che sono. Su questo, almeno, ci avevo visto giusto. È tutto il resto che è stato un gran casino del cazzo.

A tredici anni ho ricevuto la grande notizia, mio padre aveva fatto centro un'altra volta. Non sarebbe stato affatto un problema se non fosse che già io ero di troppo nella loro vita. Casa nostra era una topaia, mio padre passava più ore fuori casa che con noi e mia madre faceva il possibile per occuparsi di me, della casa e continuare a presentarsi al lavoro. Era una donna in carriera che, però, viveva in una topaia perché il marito cercava di seguire il proprio sogno di allenatore di uno sport che non praticava più da quando aveva più o meno vent'anni. Si era rotto i tendini della cuffia dei rotatori, insomma, per un lanciatore di baseball non era stato un infortunio tanto facile da superare. Dopo la riabilitazione, i movimenti non erano più fluidi come prima e così la squadra lo mise in panchina, per poi cacciarlo un anno dopo. Non aveva mai superato questa "sconfitta", aveva deciso che avrebbe messo insieme una squadra talmente forte da sconfiggere quella che aveva pensato di mandarlo via. Un illuso, infatti, dopo aver sperperato quasi tutti i risparmi della famiglia in giocatori che non sapevano distinguere nemmeno la casa base da una prima base, aveva pensato di vivere sulle spalle di mia madre, donna fin troppo innamorata per cacciarlo di casa con un calcio in culo.

No, piuttosto lei si era fatta rimettere incinta. Forse nella speranza di riconquistare l'amore del marito, ma non aveva preso in considerazione che un cambiamento del genere, un secondo figlio, avrebbe potuto allontanarlo ancora di più.

Quest'uomo, che non si può definire padre, infatti, sparì proprio quando il suo ultimo regalino venne al mondo: un piagnucoloso, produttore di cacca, muco e urla.

Per mia madre fu un colpo davvero duro da dover digerire. Si rifugiò in se stessa, completamente isolata dal mondo e lontana da me. Non si presentò più a lavoro, si fece licenziare e cominciò a bere, un vizio che non riuscì più a togliersi, anzi, che incrementò fino a diventare una vera e propria alcolizzata. Non dovrei fargliene una colpa, era stata abbandonata dal marito, l'uomo che amava, e aveva sulle spalle due figli. Fu lecito il suo crollo, ma ciò che non posso perdonarle è la sua totale mancanza di volontà nel rialzarsi. Insomma, non dico che avrebbe dovuto reagire subito, ma aveva due figli, un buon motivo per provare a rimettersi in piedi.

Beh, evidentemente, io e mio fratello non eravamo una ragione per cui lottare. Questo me l'ha fatta odiare per tanto tempo, davvero. Ero solo un ragazzino e dovevo affrontare la nascita di un nuovo disturbatore nella mia vita, la fuga di mio padre e l'alcolismo di mia madre. Per di più, dovetti iniziare a fare un piano per risparmiare, perché altrimenti saremmo finiti in mezzo alla strada non appena i risparmi, che diligentemente mia madre aveva nascosto a mio padre, fossero finiti.

Comunque, già dopo la prima settimana di vita di mio fratello avevo capito che la vicina di casa, quando mi aveva detto che sarebbe stato bello essere un fratello maggiore, mi aveva bellamente ingannato.

All'età di sedici anni ho scoperto che il marmocchietto aveva imparato ad aprire il cassetto mezzo rotto del mio comodino, come l'ho scoperto? L'allagamento del bagno dopo che il piccolo genio aveva otturato il water con tutte le mie sigarette.

All'età di diciotto anni, beh, avevo ripetuto all'incirca un milione di volte la canzoncina dell'alfabeto, quella cantilena che dovrebbe servire a far imparare le lettere ai bambini; avevo trasformato la casa in un luogo sicuro per uno gnomo iperattivo; avevo aggiustato il cassetto del mio comodino, mettendoci una serratura, e avevo compreso che, in fin dei conti, essere un fratello maggiore era una fregatura, ma poteva anche essere qualcosa di positivo, questo finché la presenza di mio fratello non è diventata un ostacolo per il mio futuro.

La teoria dei calzini spaiatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora