Alejandro mi guardava dritto in faccia. Era alto quanto me, occhi color corteccia, viso pulito, nessuna macchiolina a sporcare le guance, capelli ben pettinati, non come i miei che erano scompigliati, come se non sapessi usare la spazzola.
Provai a chiudere la porta, ma lui poggiò il palmo sull'anta e mi impedì di lasciarlo in mezzo al corridoio. Ero troppo stanco per oppormi, non avevo chiuso occhio.
«Voglio solo capire».
«Cosa?».
«Tu sapevi tutto?».
Sbuffai e alzai gli occhi verso il soffitto basso della stanza. Probabilmente nelle camere non c'erano i letti a castello perché non sarebbero stati comodi così vicini al soffitto.
«Che differenza fa?».
«Non hai detto nulla, non hai rovinato la vita di mio padre per qualche motivo... perché?».
Mi girai a guardare Julian che dormiva nel mio letto e feci segno ad Alejandro di seguirmi dentro la stanza. Non lo volevo lì, non volevo che guardasse più di qualche secondo mio fratello, né che potesse pensare di potermi stare simpatico. Lo odiavo, lo avevo odiato per una vita intera, non sarebbe riuscito a cambiare i miei sentimenti tanto facilmente.
«Per lui», dissi, indicando Juju, che proprio in quel momento sbuffò piano nel sonno. Aveva il piedino a penzoloni oltre il bordo del letto, scoperto dalle lenzuola, e io mi avvicinai per rimetterlo bene nel mezzo del materasso.
«Non capisco».
«Certo che non capisci, tu non sei nessuno e non sai niente. Julian è il bambino più dolce esistente sul pianeta terra, lui accarezza le foglie degli alberi in autunno perché quelle cadranno e avranno freddo; lui vuole far tornare vicini il sole e la luna; sussurra ai fiori complimenti e urla alle stelle di correre così che lui possa esprimere un desiderio; fa leggere i libri alle nuvole per non farle piangere; non allaccia le scarpe perché poi il coniglietto come fa a sentire? Lui conta le lentiggini, lui fa le domande più astruse, portandoti a doverti mettere nei panni di un bambino e scavare alla ricerca della fantasia perduta anni prima; lui vorrebbe salvare i cani di tutti i canili. Se avessi rotto le scatole a tuo padre, come ti piace definirlo, cosa mi assicura che lui non avrebbe fatto o detto qualcosa che avrebbe fatto soffrire Julian? Non lo merita. L'ho voluto tenere lontano da più dolore possibile e tuo padre è dolore allo stato puro per un bambino che è stato rifiutato».
Rimase in silenzio, non guardava me, bensì Julian che dormiva premendosi la mano sulla guancia arrossata. Non so quanto del mio discorso avesse recepito, ma dalla sua espressione sembrava aver compreso le parti fondamentali.
Quel silenzio paradossale venne interrotto da Chris, che si affacciò e attirò la mia attenzione con un tono di voce basso.
«Come sta? Ha dormito?».
Mi alzai e mi avvicinai alla porta. Chris si teneva con una mano allo stipite e con l'altra armeggiava con il laccio del cappuccio della felpa. Aveva un livido sull'interno del gomito, visibile perché la manica era stata rigirata più volte, e mi ricordai di aver abbandonato la squadra nel mezzo di una rissa e di non essermi minimamente preoccupato delle condizioni dei miei compagni. Erano tornati tutti in stanza o qualcuno era finito dal direttore del college? Qualcuno si era fatto male sul serio? Avevano spedito qualche stronzo in ospedale?
«Sta ancora dormendo. Ha impiegato un'oretta per addormentarsi, ma non si è svegliato per incubi o cose del genere. Voi come state? Qualcuno si è fatto male?».
Chris scosse la testa e fu in quel momento che riconobbe il ragazzo seduto sul mio letto. Mi guardò interrogativo e io mi girai verso Alejandro.
«È passato per farmi domande su suo padre e su di me».
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La teoria dei calzini spaiati
Aktuelle LiteraturSamuel Rivera è un ragazzo di appena diciotto anni; avrebbe potuto avere una vita come chiunque altro, se suo padre non fosse fuggito all'improvviso, portandosi via la sua infanzia, e se la madre, dopo aver partorito suo fratello Julian, non fosse c...