Capitolo 19

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«Alejandro...», si presentò il lanciatore avversario. «...Alejandro Rivera», ed ecco la bomba ad orologeria che avevo fatto in modo, per anni, che non scoppiasse. Eccola lì, con il suo fragoroso e assordante BUM.

Non conoscevo il suo nome, non lo avevo mai chiesto, semplicemente, quando avevo scoperto della sua esistenza, avevo fatto il bravo bambino e non avevo detto nulla a mia madre perché «I bravi bambini non fanno soffrire la mamma». Che stupido che ero stato a credere che a quell'uomo potesse davvero importare di sua moglie, che stupido a credere che potesse abbandonare l'amante e continuare a vivere con noi, che stupido a credere che la nascita di Julian potesse in qualche modo rimettere in sesto la famiglia.

A diciott'anni, comunque, avevo compreso l'errore madornale che avevo fatto tenendo quel segreto e lasciando che quell'uomo potesse continuare a prosciugare i soldi nostri, ma una cosa buona l'aveva fatta, anzi due, dare metà del patrimonio genetico per dare vita a Julian e sparire dalle nostre vite. Perché ora che guardo la mia vita da una prospettiva un po' più ampia, posso dire che la sua fuga sia stata un punto di svolta, decisamente positivo per quanto mi riguarda.

«Rivera?», si intromise Adam, a fine partita avevo imparato i numeri per distinguere i gemelli.

«Rivera come...», si aggiunse Chase.

Lanciai loro un'occhiata, per poi tornare a guardare davanti a me, sempre con Julian premuto contro il fianco. Si era incuriosito nel sentire il nome dell'altro ragazzo, ma probabilmente la sua mente ingenua non era arrivata ancora alla soluzione dell'enigma. Forse si stava chiedendo ancora come fosse possibile che al mondo esistessero altre persone con il nostro cognome.

Guardai il guantone che Alejandro teneva appeso alla cintura e piegai la bocca in una smorfia divertita. «Lanciatore, buon sangue non mente», e lui si girò a guardare l'uomo, nonché suo allenatore e... padre.

«Conosci mio padre?», mi chiese e mi resi conto dell'errore madornale che l'allenatore della squadra avversaria aveva fatto. Non ero io quello che doveva conoscere qualcuno, perché io ero già a conoscenza della sua esistenza. Era Alejandro a non avere idea di chi io fossi e di chi era l'uomo che lui chiamava padre.

Risi perché non riuscii a trattenermi. Avevo mantenuto il segreto con il terrore che un giorno l'amante o il figlio dell'amante potessero inciampare nella nostra vita, come fossimo degli insignificanti sassolini. Mi ero sempre sbagliato, perché loro non sarebbero mai venuti a cercarci. Loro non erano al corrente della vita di quell'uomo. E ora che avevo il coltello dalla parte del manico, ero pronto a conficcarlo nel costato di quell'uomo per rigirare la lama nella sua carne e guardarlo morire dissanguato ai miei piedi.

Avrei mosso un passo verso Alejandro molto volentieri, giusto per fargli notare la somiglianza che ci accomunava, come i capelli castani, l'altezza o la muscolatura. Anche nel modo di muovere da un lato all'altro gli occhi eravamo simili. Inquietantemente simili. Ma Juju mi assomigliava di più, lui era una mia copia, non a caso con lui condividevo entrambi i genitori.

«Se conosco tuo padre? No, per fortuna non posso dire di conoscerlo, non come lo conosci tu. Ma posso dire di avere abbastanza info per affermare che è un uomo di merda», avrei dovuto tappare le orecchie a mio fratello, ma aveva tutti i diritti di sapere cosa pensavo di nostro padre.

«Come ti perm...», non lo feci finire, sembrava davvero sconvolto per il modo in cui mi ero rivolto al padre.

«Lascia che ti racconti una storiella, che ne dici?».

«Ma di che stai parlando?», povero, piccolo ingenuo, non era pronto a scoprire la verità. Ma in fondo chi mai potrebbe esserlo?

Non mi soffermai a chiedermi perché nostro padre ci avesse messo in quella situazione. Non mi chiesi il motivo per cui quell'uomo avesse fatto in modo che fossi io a rivelare la verità al suo figlio prediletto. Perché era ovvio che io avrei spifferato tutto, che avrei fatto in modo di infliggere più dolore possibile ai componenti di quel nucleo familiare che aveva portato alla rovina la mia piccola e disastrata famiglia.

La teoria dei calzini spaiatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora