Capitolo 16

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Mi baciò. Chris, il Ken di barbie, il finto modello dalle battute squallide, fece combaciare le nostre labbra in un bacio caldo e disarmante. Quando si staccò, continuando a premere i palmi contro le mie guance, mi guardò negli occhi. Il sorriso era sparito, ora la sua espressione era seria e preoccupata. Non avevo bevuto abbastanza per lasciarmi andare completamente, ma ero stordito.

Deglutii e sostenni lo sguardo. Gli occhi verde oliva erano lucidi, la bocca sfessurata e le sopracciglia erano inarcate fin quasi a toccare l'attaccatura dei capelli. Era sorpreso quanto me per ciò che aveva fatto.

Cercai di trovare qualcosa di sensato da dire, ma ogni parola perdeva di significato prima ancora di trovare strada nella mia bocca.

«Forse ho esagerato, forse intendevi qualcos'altro».

Scossi la testa e gli sorrisi.

«No, mi hai permesso di dimenticare per un istante chi fossi».

«Davvero? Uh, bene allora», e mi baciò di nuovo e ancora una volta e una ancora, ancora e ancora. Mi dimenticai di dove ci trovavamo, mi dimenticai perché avesse il sapore della birra, mi dimenticai chi fosse lui e come mi chiamassi io. Mi dimenticai di tutto, ma non smisi di pensare, anzi, il mio cervello si accese, cominciò a far vorticare i pensieri più assurdi, come "Posso davvero farlo?", oppure "Non bacio qualcuno in questo modo dai tempi di Miguel", anche "Credo di dover respirare", o "Devo, devo proprio respirare". Mille pensieri, mille parole che giravano e si rincorrevano. Di tutto un po'.

Non so bene come sia continuata la festa, io e Chris ci allontanammo e ci ritrovammo sul sentiero oltre il nostro dormitorio, quello che si poteva intravedere dalla finestra della mia stanza. Non ricordo come ci impedimmo di baciarci e toccarci, ma successe, riuscimmo a mantenere un contegno almeno finché non fummo in una zona un po' più riservata.

Mi era piaciuto, baciarlo. Davvero molto. Sentivo il bisogno di riprendere da dove avevamo interrotto, di assaporarlo di nuovo, di fargli sapere che ero pronto a fare quelle cazzate di cui mi aveva parlato, ma che non le ritenevo tali, perché per me un bacio aveva pur sempre un significato. Non esisteva nella mia mente la possibilità di baciare per sbaglio. Non esiste errore del genere, uno è portato a baciare qualcun altro per un motivo ben preciso, il fatto è conoscere tale motivo.

Io avevo baciato Chris perché avevo bisogno di un diversivo dalla vita, non per sbaglio, ma perché era lui la mia miglior opportunità, la miglior fuga dalla realtà. Lui mi aveva dato una scappatoia da Samuel Rivera e gliene ero grato.

Individuammo una panchina, legno scheggiato, piena di scritte sbiadite di studenti di passaggio. Era un ottimo punto di appoggio per le nostre esistenze in fase di rimodellamento. Eravamo come fumo che stava cambiando forma, cercandone una più consona al momento che stavamo vivendo.

Alzammo il viso verso il cielo e sospirammo all'unisono, questo mi permise di credere che fossimo collegati in qualche modo, ma eravamo ancora in quella fase di ristrutturazione, stavamo cercando di tirare su i muri portanti della casa futura e non avevamo idea di quanto potessero pesare i mattoni. Era solo il primo bacio, i primi sette per la precisione, non potevamo già pensare al futuro e a come le nostre vite si sarebbero adattate l'una all'altra.

Allungò la mano verso la mia e intrecciammo le dita. Non sentii alcuna scossa, roba da film o da libri, qui si trattava della vita reale, sentii solo il suo calore invadere la mia pelle.

«Probabilmente cambierà qualcosa», disse, con quel suo mezzo sorriso che mi confondeva. Non riuscivo a capire se fosse un problema o se ne fosse felice. Io stavo già iniziando a creare dei film mentali, momenti che avremmo potuto condividere o che avremmo potuto raccontare in futuro. Forse pensavo ancora troppo. Dovevo smetterla, aveva ragione Drew.

La teoria dei calzini spaiatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora