Capitolo 15

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Bussarono alla porta e, come al solito, chiunque fosse non aspettò che gli dessi il permesso per entrare.

Chris si affacciò e sorrise. Avevo cominciato a guardare diversamente quella sua espressione, non la giudicavo più inquietante, stava assumendo sfumature diverse. Da quando mi aveva aiutato la notte dell'appendicite di Julian, avevo iniziato a notare in lui atteggiamenti che non consideravo più eccessivi o fuori posto, anzi, cominciai a vederlo come un vero capitano sia in campo che fuori. Durante gli allenamenti successivi all'operazione di mio fratello, mi ritrovai spesso ad osservare Chris in compagnia dei membri della squadra, sembrava trasmettere calore con sorrisi e gesti. Solo in presenza di Drew sembrava trattenersi, era evidente che ogni tanto gli volesse dare una pacca di incoraggiamento sulla spalla o un abbraccio amichevole, ma si fermava appena prima di sfiorarlo, come se avesse paura di farlo arrabbiare.

«Samuel, posso chiederti una cosa?», sembrava enigmatico, ma compresi appena fuori la stanza il motivo per cui stava cercando di mantenere una certa discrezione.

«Dimmi», mi ero promesso che lo avrei ascoltato, dalla notte passata in ospedale ero tornato al college deciso a rispettarlo e comprenderlo. Non sarei più saltato a conclusioni affrettate.

«C'è una festa al campus dalla parte di biologia, vieni?», era ovvio che non volesse chiederlo di fronte a Julian, altrimenti lo gnomo avrebbe fatto di tutto per venire con noi alla festa, convinto di trovarci castelli gonfiabili, altalene e scivoli. Aveva ancora la sua idea infantile di "festa". Io ho abbandonato quell'idea abbastanza presto, ora mi basta un giorno libero da poter passare a letto per considerarlo una "festa".

«Non posso, lo sai. Non mi va di lasciare Juju da solo in stanza», guardai la porta chiusa dietro le mie spalle e per un folle momento pensai che, chiudendolo a chiave, non sarebbe potuto scappare. Come si farebbe con un gatto. Scossi la testa e tornai a guardare Chris, che aveva ricominciato a sorridere nel suo modo inquietante. Più avanti avrei compreso che sorrideva così quando aveva in mente qualcosa.

«Drew può tenerlo d'occhio, non viene alla festa perché... beh, è noioso e non vuole venire».

«E Drew lo sa che gli stai mollando un bambino?».

«Sì, sono stato avvertito da questo scemo poco fa con un messaggio», mi girai di scatto e trovai Drew in piedi davanti la sua stanza. Era imponente, nonostante avesse l'aria stanca. Avevo sentito non dormisse bene e che spesso passava le nottate a passeggiare per i corridoi nella speranza di stancarsi tanto da svenire.

A volte, quando mi svegliavo in piena notte e non riuscivo a riaddormentarmi, mi alzavo e mi avvicinavo alla porta, ma non uscivo mai perché, se davvero lo avessi incontrato in corridoio, motivo per cui sarei voluto uscire, non avrei saputo che dirgli, come motivargli la mia presenza senza dirgli la verità, cioè che mi incuriosiva e che volevo tempestarlo di domande scomode. Era ancora un enigma quel ragazzo, stronzo la maggior parte delle volte, ma in qualche modo sentivo di potermi fidare, in fondo, se fosse stato necessario, avrebbe avuto tutte le conoscenze per effettuare lui stesso un'appendicectomia, ormai.

***

Non riuscivo a divertirmi alla festa perché continuavo a pensare a Juju. Non era la prima volta che lo lasciavo di sera, ma sapevo che si sarebbe lamentato perché Drew non era a conoscenza della buonanotte speciale che gli serviva per prendere sonno. Mi ero completamente dimenticato e aspettavo da un momento all'altro che Drew si presentasse alla festa con Julian in braccio e che me lo mollasse perché esausto. Come nel gioco della patata bollente, gioco in cui ero particolarmente sfortunato.

Non arrivò mai, nemmeno una chiamata, e ciò, forse, mi fece preoccupare ancora di più.

«Smettila», mi girai di colpo e vidi Chris offrirmi un bicchiere stracolmo di birra. Ogni tanto bevevo, certo, ma mai abbastanza da sbronzarmi, soprattutto perché le parole di mia madre ancora mi ronzavano in testa. «Tu. Sei. Esattamente. Come. Me». Ma anche in passato in compagnia di Miguel mi limitavo a bere una bottiglia e basta. Avevo delle responsabilità e non potevo permettermi di mandare tutto a puttane solo per dell'alcool, anche se l'alcool mi avrebbe permesso una volta tanto di spegnere il cervello e smettere di pensare.

La teoria dei calzini spaiatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora